Parliamo di politica? Un sasso nello stagno…
Giovanni Traettino
“«Costruite case e abitatele; piantate giardini e mangiatene il frutto; prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli, date marito alle vostre figlie perché facciano figli e figlie; moltiplicate là dove siete, e non diminuite. Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il SIGNORE per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene».” Geremia 29:5-7
Una chiesa per la città
Nella prima parte di quest’anno, il pastore Carlos Mraida, promotore con altri leader evangelici argentini di una significativa esperienza unitaria di impegno spirituale e civile in favore della città di Buenos Aires e dell’intera Argentina, ci ha incoraggiati – sotto il tema “Una chiesa per la città” – a riflettere sulla possibilità e l’importanza di accogliere nel nostro orizzonte spirituale la sfida a costruire un contributo autenticamente evangelico alla guarigione delle nostre città e del nostro paese. I pensieri che qui condivido vogliono solo essere un contributo alla riflessione, in parte già avviata nel nostro paese.
Una crisi profonda
Mentre scrivo si registra un nuovo stallo della situazione politica italiana. E’ in pieno svolgimento la crisi del governo Monti, e il futuro sembra farsi ancor più minaccioso. In questo clima ho ripensato al messaggio di fine anno scorso del Presidente della Repubblica agli italiani. In esso avevo apprezzato due cose in particolare: 1. L’appello ai giovani (“Non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente”); 2. L’importanza di riscoprire la politica (e l’impegno in politica) come passione civile e via maestra alla ricerca del “bene comune” (“Lessi molti anni fa e non ho mai dimenticato le parole della lettera che un condannato a morte della Resistenza, un giovane di 19 anni, scrisse alla madre: ci hanno fatto credere che ‘la politica e’ sporcizia o è ‘lavoro di specialisti’, e invece ‘la cosa pubblica siamo noi stessi’). Questo, resistendo alla vecchia tentazione italiana, in specie meridionale, di rinchiudersi “nel proprio orizzonte personale e privato”, nel proprio particulare.
In questa direzione mi ha sempre colpito, come metafora del rapporto tra pubblico e privato nel nostro paese, l’evidente sproporzione tra cura per gli interni e disinteresse per gli esterni delle nostre case. Penso – come campione di questa mentalità – al territorio della nostra provincia. Grande attenzione per il salotto o, al massimo, per il cortile di casa; grande trascuratezza per il fronte strada, gli spazi pubblici, le campagne (i rifiuti tossici!) e la cosa comune. La cronaca ne è piena! Non così in altri paesi e culture.
Una condizione di cattività
Ed ho pensato all’esortazione di Geremia all’Israele in cattività: “Cercate il bene della città dove io vi ho fatto deportare, e pregate il Signore per essa; poiché dal bene di questa dipende il vostro bene».” Gr 29:5-7
Io non so se per la nostra situazione si possa parlare di cattività. Ma è certo che molti abitanti, non solo ormai di questo territorio, vivono con un grande senso di impotenza, con un sentimento di costrizione morale, con un malessere crescente. La criminalità organizzata, la corruzione della classe politica, la mala burocrazia, la disoccupazione, la sporcizia per le strade, i rifiuti tossici e la mala sanità danno vita ad una miscela velenosa che corrode drammaticamente e alla radice, oltre che i corpi, l’anima, la fiducia, e perfino la speranza (“la speranza a lungo differita fa languire il cuore” Pr 13:12). Soprattutto delle nuove generazioni.
Continuando in questo modo verremo inevitabilmente sempre di più consegnati, soprattutto le nuove generazioni, in mano al pessimismo e alla disperazione di un cinismo che ti porta solo più a scommettere su furbizia (una virtù nazionale!), compromesso, e ricerca spregiudicata di soldi, carriera, potere. Troppo forte è il combinato di violenza sorda e di disprezzo palese esercitato sull’uomo della strada. Aderiremo sempre più alla mentalità passiva e subalterna, profondamente organica a questo sistema, della raccomandazione e della disinvolta egoistica ricerca dell’interesse personale?
Conosco qualcuno?
Se dunque devo fare un banale certificato o ottenere un importante permesso dalla amministrazione pubblica, la prima cosa a cui automaticamente penserò è: Conosco qualcuno? A chi mi posso rivolgere? Chi mi può fare il piacere? E poi, nel rapporto con gli uffici, mi rassegnerò all’esperienza mortificante di funzionari che non mandano avanti la pratica, o non la “pescano” se non “incoraggiati”; di amministratori che non rilasciano la licenza se non “sensibilizzati” o, peggio, cointeressati … L’indolenza e l’inefficienza insomma come arma e precondizione necessaria per ritagliarsi uno spazio di potere per “la scrivania”, funzionale magari all’arricchimento personale o alla “costruzione del consenso…”. E’ profondamente umiliante! Un muro di gomma kafkiano! Un’esperienza di impotenza disperante!
Chiaramente in tutto questo i gruppi organizzati, o non hanno proprio difficoltà o ne hanno molte di meno del cittadino senza potere. Il cittadino in quanto tale – è l’esperienza di una vita all’interno di una minoranza – ha poca o nessuna importanza. Quasi non esiste! Pesano, quelli si, i gruppi organizzati (non importa se di centro, destra, sinistra o trasversali) le corporazioni, i partiti, i sindacati, le chiese stabilite, i gruppi di pressione. Lo scenario è talvolta dolorosamente assimilabile ad una guerra per bande!
E noi che c’entriamo?
In questo quadro, quale significato e rilievo può avere il contributo dei cristiani (quelli veri!) e degli evangelici in particolare? Cercando una risposta a questa domanda un’immagine si è presentata alla mente: quella di un’isola in mezzo ad un mare che, sempre più triste e agitato, la separava dalla terra ferma. Quell’isola ben rappresentava la nostra condizione! Lontananza e sostanziale distacco dalla “terra ferma” della vita comune. Disinteresse e isolamento (teorico e pratico) dalle dinamiche “politiche” della vita quotidiana. Quasi che amministrazione pubblica e buon governo delle nostre città, lavoro e integrità dei nostri rappresentanti, economia ed etica pubblica non siano anche affare di noi cristiani. Salvo far ricorso – come pure ci capita – alla richiesta di favori, alla raccomandazione, al voto di scambio e al compromesso, necessari all’occorrenza per trovare risposta ai nostri piccoli e grandi bisogni. Sia personali che – cosa che in qualche modo riteniamo più nobile – comunitari.
Ed ho immaginato zattere e ponti che collegassero l’isola alla terra ferma.
Il nostro dilemma rimane purtroppo la scelta tra separazione (il come se non e l’in ma non del) e trasformazione. Ambedue categorie cristiane. Ma occorre riconoscere che come eredi del cristianesimo radicale, abbiamo fin qui avuto la tendenza ad utilizzare quasi esclusivamente la prima.
Costruire ponti
Negli ultimi anni sono stati fatti in verità alcuni tentativi – talora anche lodevoli – di attraversare “lo stretto”. Ma è mancata – a mio avviso – una riflessione organica che, senza diventare ideologica, enucleasse chiare linee guida e stabilisse alcuni paletti. Da parte di alcuni si è infatti immaginato, con qualche approssimazione e precipitazione, un “partito evangelico”; che le comunità locali potessero diventare “sezioni di partito”, ed i pastori “segretari politici”. Da parte di altri, che le chiese potessero – dove possibile per consistenza numerica – essere utilizzate come meri serbatoi di voti per obiettivi di carattere personale o – nell’ipotesi migliore – comunitario. Al servizio comunque di un limitato “particulare”. Senza vera attenzione alle problematiche della città. Laddove è evidente che l’impegno politico per il cristiano non può che essere impegno per il bene comune,; come ha detto qualcuno: “una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”[1], “l’organizzazione sociale della carità” .
In aggiunta a questo, come per buona parte degli evangelical d’oltre atlantico, la giusta preoccupazione per la difesa – di fronte all’avanzare della secolarizzazione e del relativismo – dei valori della tradizione giudeo-cristiana (vita, persona, famiglia, ecc.), si è tradotta anche in politica – per un riflesso automatico – nella adozione dell’intero pacchetto conservatore, attento e sensibile alle ragioni della libertà individuale; non altrettanto – per prendere in prestito il trinomio della rivoluzione francese – a quelle dell’uguaglianza (solidarietà) e della fraternità (responsabilità).[2]
Ora il cristianesimo ha nel suo fondamento costitutivo, nella sua stessa radice spirituale, l’una e le altre.[3] Perché ha come suoi valori di riferimento fondamentali la persona e la comunità. A partire dallo statuto fondamentale della Trinità. La stessa iniziativa del suo fondatore Gesù Cristo, ha come obiettivo di redenzione (il nuovo statuto!) e di trasformazione la persona e la comunità.[4] Non solo la persona. Anche la comunità.[5] E ambedue per la città (“il mondo” di Gv 3:16!). Viene dunque fondata la responsabilità per la comunità!
Ma per quale via?
In alcuni ambienti evangelici, non solo italiani, in parallelo con la crescita numerica, ritorna la vecchia tentazione “cattolica” (ma anche riformata! Ricorda il “cuius regio eius et religio”!) di puntare su Costantino per la legittimazione della fede o per la difesa e l’espansione del cristianesimo. C’è infatti nel nostro caso un fervore di piccole iniziative, talvolta anche in difficoltà tra di loro, affascinate dall’idea che sia sul piano della conquista del potere che si giochi il destino vittorioso della chiesa. E che ci si debba comunque collocare in posizione strategica per ripararsi da eventuali futuri e-venti contrari.
E’ una tentazione cui ha più volte ceduto nel corso della sua lunga storia il cristianesimo e di recente, anche se con modalità diverse, buona parte del cristianesimo evangelical americano. Si tratta di una vecchia tentazione cui periodicamente è esposta la chiesa. Altra è infatti la
responsabilità per il bene comune e l’impegno per la città, altro è sperare che la nostra liberazione venga dal potere…
Occorre piuttosto operare ispirandosi ai principi contenuti nelle immagini del seme che muore per portare frutto, del lievito che si disperde nella pasta per fecondarla, del sale che si scioglie nella terra per darle sapore e della luce che splende nelle tenebre per illuminare il mondo. Si tratta di attitudini e valori molto più evangelici e legati allo stile e al messaggio di Cristo. Lo specifico della chiesa e’ la profezia[6] più che la conquista del potere, la testimonianza (martirìa) del Regno che viene più che l’insediamento in questo mondo, il potere e la ricchezza.
“Il cristiano che fa politica deve avere non solo la compassione delle mani e del cuore, ma anche la compassione del cervello.” Tonino Bello
[1] Paolo VI
[2] “La prima si diffonde progressivamente a spese dei totalitarismi. La seconda ha conosciuto le sue ore di gloria nelle società del benessere, ma oggi è minacciata. Quanto alla terza per lo più fa difetto. Tuttavia questa nozione di responsabilità individuale o collettiva è al centro di ogni opera di rinnovamento. La responsabilità del cristiano, qualunque sia il suo posto nella vita, è, come il solito, enorme ed esigente.” Jacques Delors
[3] Come qualcuno ha detto: “Libertà, uguaglianza, fraternità, sono la traduzione secolare dei migliori valori cristiani nutriti nel culto della persona e della comunità. Fondati nella regola d’oro evangelica: “Fai agli altri quello che vuoi che sia fatto a te” ”
[4] «La teologia, sottolineava Hans Urs Von BALTHASAR, non ha competenza diretta nelle questioni di struttura di questo mondo. Essa lascia che il cristiano vi si avventuri con una immagine dell’uomo. Partendo da essa e a suo favore egli potrà strutturare le società umane il meglio possibile.”
[5] “Vivere accanto e non connettersi. Questa è verosimilmente la base di quel declino della convivenza collettiva che a molti appare addirittura come una regressione civile. Guardiamoci dentro e attorno: viviamo tutti come componenti solitarie di una società che ha perso luoghi, occasioni e meccanismi di integrazione sociale. Le lotte per la liberazione individuale hanno rotto le connessioni di famiglia, di gruppo parentale, di osteria o circolo, di parrocchia, di comunità locale; la storia degli ultimi anni ha rotto il ritrovarsi dei singoli in ideologie, partiti, sindacati, luoghi e lotte di lavoro. Restiamo molecole che possano accostarsi ma che non si legano e integrano fra loro: facciamo «mucillagine»” Giuseppe De Rita
[6] “Il profeta è colui che legge il presente. Non colui che predice il futuro. Per una lettura evangelica, vale a dire profetica, della realtà. A partire da Gesù e il suo messaggio.” (Paolo Ricca)