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di Giovanni Traettino
La crisi contemporanea è particolarmente grave perché, dopo aver sondato in lungo e in largo l’universo e la condizione umana con tutti gli strumenti a sua disposizione, dopo aver anche spregiudicatamente giocato tutte le carte ch’era in grado di giocare, l’uomo si è appiattito nel soggettivismo e nel relativismo inevitabili figli dell’umanesimo.
Un millennio, il secondo del cristianesimo, si avvia a finire. Il bilancio è titanico nei confronti del resto della storia. Un gigante scaltro e raffinato, sofisticato e spregiudicato è stato costruito. Molteplici sono le sue risorse ed è senz’altro più intelligente, complesso, ricco ed attraente di quelli costruiti nei millenni precedenti. Inno e monumento alla grandezza di un uomo diventato quasi Dio.
E tuttavia esso è minato alla radice dalla sua sostanziale indipendenza ed autonomia dall’Autore e Padre di tutte le cose.
L’uomo adulto e maturo dei politici e dei filosofi, dei religiosi e degli artisti è radicalmente insicuro, drammaticamente sballottato tra paura e speranza, diviso al suo interno da una crisi di identità senza precedenti. I mali che può temere da nemici esterni sono minori di quelli che deve temere da se stesso.
“Dio è morto” aveva profetizzato Nietzsche per i sacerdoti della cultura moderna.
“Non abbiamo più bisogno di Dio”. “Siamo adulti”. “Non abbiamo più bisogno di padri”. “Non abbiamo più bisogno di pastori”. “Non c’è più posto per l’autorità”, è stata l’eco che quell’iniziale messaggio ha avuto nelle menti e nei cuori dei nostri contemporanei.
E così, con “Dio è morto” è stato messo in liquidazione tutto quello che partecipava del suo servizio alla vita: i padri come simbolo e sintesi dell’autorità intesa come guida, ma anche come servizio e responsabilità; il matrimonio e la famiglia cristiana come luogo dell’amore-dono di se all’altro; la chiesa come comunità avamposto del regno di Dio, espressione della possibilità della solidarietà e dell’amore cristiani in questo mondo.
La libertà, ch’era intesa a dare vita all’uomo, sganciata da Dio è diventata lo strumento per dare morte all’uomo.
La famiglia, coma la chiesa – che è la famiglia di Dio – è nell’attesa dolorosa e quasi disperata di nuovi padri.
La ripresa e la piena e concreta riproposizione dell’intenzione di Dio per la Sua Chiesa e per il Suo popolo comincia di qui. Ancora come ai tempi di Giovanni il Battista: il rapporto padri-figli nella famiglia e nelle Chiese (Luca 1:17; Malachia 4:5-6).
Dacci, o Padre, padri che somiglino a te, uomini che conoscano te di prima mano, che abbiano imparato da te, il cui carattere rifletta il tuo, che siano consumati dalla visione di quello che tu vuoi fare sulla terra.
Affinché venga il tuo regno, la tua volontà sia fatta.
Questa è l’invocazione che si è fatta grido e pianto di tutti quanti anelano alla manifestazioni della vita di Dio sulla terra: una nuova paternità, portatrice di autorità spirituale e di responsabilità. Persone che come l’apostolo Paolo possano dire: “siate miei imitatori”, e come Pietro e Giovanni: “Guarda noi”. Uomini di cui ci si possa fidare in ogni circostanza della vita e a cui si possa essere legati senza temere di essere mai traditi.
La Parola scritta e la Parola predicata devono di nuovo farsi Parola incarnata. Nel Corpo di Cristo che è la Chiesa. A cominciare dai pastori e dai padri.