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Emilio Ursomando
La famiglia, secondo una definizione ormai acquisita da molti, costituisce la prima cellula, la prima espressione della società.
Pur riconoscendo la fondatezza di tale asserzione, non possiamo non rimarcare, come figliuoli di Dio e seguaci di Cristo, un’altra verità oggi poco considerata e ancor meno vissuta: la famiglia è la prima espressione del Regno.
Nella famiglia biblica, possiamo cogliere l’espressione della natura stessa di Dio: Dio-Padre = l’autorità (espressa dall’uomo); Dio-Figlio = l’ubbidienza (espressa dalla donna); Dio-Spirito Santo = la testimonianza, il frutto di questo rapporto d’amore (espresso dal figlio).
Lo stesso rapporto, la stessa armonia Dio ha stabilito che esistessero nel seno di ogni famiglia: dove non c’è questo non c’è famiglia e purtroppo, Dio vede ben poche famiglie oggi sulla terra.
Padri che non sono padri, madri che non sono madri, figli che non possono essere figli. La crisi della società moderna si identifica con la crisi della Chiesa. Per questo considerando alcuni problemi etico- sociali, intenderemo riferirci ai loro corrispondenti nel seno della Chiesa.
Il mondo è in crisi; la Chiesa è in crisi: una crisi soprattutto di identità, una crisi che trova la sua origine nella decadenza o già nella “caduta” della famiglia. La solitudine dell’uomo nel contesto dell’umanità, non è che un risvolto della sua solitudine nell’ambito della famiglia. Le frustrazioni dell’uomo nell’ambito dell’umanità, di cui pure è parte, sono la proiezione delle frustrazioni che vive all’interno della sua famiglia, la conseguenza del non-realizzarsi.
La famiglia biblica, abbiamo detto, esprime la natura di Dio. Essenziale è quindi la funzione di colui che rappresenta l’autorità, di colui, cioè che è chiamato a rappresentare la persona del Padre.
La decadenza della famiglia moderna è imputabile all’assenza di questa autorità e, quando l’autorità non è espressa, a ben poco serve anche la volontà di sottomissione della donna.
“… il Padre, dal quale ogni famiglia, nei cieli o sulla terra, prende nome” (Ef. 3:15) Senza padre non c’è famiglia, e non c’è padre se non dal Padre.
I giovani di oggi, i “figli” di oggi. Senza padri, senza famiglia, senza ideali, senza nulla. Sono nati nell’era dell’uomo, nell’era della libertà. Ma vivono da schiavi. Non credono nulla, non hanno nulla non sono nulla.
Il caos, la tristezza, la rabbia, l’abulia, la morte. La conseguenza della separazione da Dio continua ad essere e sarà sempre la morte. E se abbiamo il coraggio di guardare, noi vedremo qualcosa di simile anche nella Chiesa;: cristiani che vagano, cristiani in cerca di identità, cristiani profondamente sconvolti dal conflitto di dover annunciare ad altri quanto essi stessi non stanno realizzando; cristiani poveri, pieni di grandi parole, ma con un grande vuoto di Spirito, con un grande vuoto di vita sanno di essere soli; i cristiani di oggi dicono: “Siamo UNO!”, ma sanno di essere soli; i cristiani di oggi gridano a se stessi: “Ci amiamo!”, ma il loro cuore è così vuoto di amore non ricevuto, così gonfio di amore non dato.
Manca una guida, nella chiesa, che soprattutto sappia portare i cuori l’uno verso l’altro. Si dirà che questo tocca allo Spirito Santo farlo, che allora accadrà; ma non sta accadendo, non accade da tanto e non ditemi che lo Spirito Santo non vuole, che Dio ha modificato la Costituzione della Sua Chiesa. No! Il comandamento del Nuovo Patto resta immutato; come immutata rimane ogni parola pronunciata da Cristo (Marco 13:31). La volontà di Dio espressa dal Figlio, per la Chiesa è: “Amatevi! Come io vi ho amati!”
E l’amore è rapporto, è incontro, è comunione, è patto, è sevizio. In più l’amore di Dio è per sempre.
Oggi la Chiesa soffre per mancanza di padri; di uomini col cuore del Padre. Oggi ci sono tanti pastori, è vero, ma questo non include che ci siano altrettanti padri. Non basta essere un pastore per essere, automaticamente, anche un padre; ma è essenziale essere un buon padre per poter essere anche un buon pastore. Invece oggi si tende a pensare al nostro cristianesimo come a qualcosa da cominciare a vivere e ad esprimere solo al di fuori della famiglia. E’ un errore di molti, è stato anche il mio. La prova di quanto dico è nella chiesa malgovernata. L’affermazione di Paolo è valida anche nel senso opposto: “Chi non sa governare la chiesa non sa governare neanche la propria famiglia”.
Ma il Regno di Dio comincia nella mia relazione con il mio prossimo, e non c’è un prossimo più prossimo della mia famiglia.
Il Regno trova la sua prima espressione nella famiglia: mia moglie è Regno, mia figlia è Regno. Le preghiere impedite, di cui parla l’apostolo Pietro (1° Pt. 3:7) sono una conferma di quanto sia importante per Dio cha la famiglia viva la vita del Regno.
Tutti impegnati ad essere pastori, dottori, anche apostoli! Tutti presi dal nostro ministerio dimentichiamo la priorità del ruolo di marito e di padre. Tanti ministri, ma quanti padri? Quanti a posto davanti a Dio, con la loro famiglia? Quanti amano la moglie come se stessi? Quanti la stanno servendo come Cristo ha servito la Chiesa? Quanti si stanno preoccupando di farla apparire pura e santa davanti al Signore, quel giorno? Quanti la considerano, in pratica, la prima sorella da curare e guidare?
Pochi mariti, pochi padri, poche famiglie! E’ urgente che Egli produca in noi quel frutto che farà del nostro cuore un cuore di padre.
Se parliamo con dei genitori, certamente sentiremo che la colpa di tutto è dei figli: “Se non fosse per alcune loro idee, la famiglia non avrebbe problemi” (ma la famiglia dipende dal padre non dal figlio).
Se parliamo con dei pastori, udremo le stesse cose : “Va tutto bene, abbastanza bene, grazie a Dio, esclusi i soliti problemi, la zizzania; se non ci fosse quella …”. Ma, a parlare con i figli, a parlare con le “pecore” la musica è diversa, ed è una musica che si trascina monotona da tanti anni.
La maggiore sofferenza è ancora una volta la solitudine, l’incuria. La chiesa è come una grande famiglia, che, checché ne dicano i genitori, soffre la mancanza dell’amore e dell’autorità di un padre.
Ogni padre dal Padre
L’uomo che non vive una vita di totale ubbidienza a Dio, si ritrova totalmente privo di questo amore, senza questa autorità. E non ne ha altra da esprimere perché “non c’è autorità se non da Dio” (Rom 13:1). L’uomo potrà imporsi, potrà dominare, ma non esercitare autorità. L’autorità viene da Dio, l’autorità è l’espressione di Dio. L’autorità è amore nella giustizia.
Il nostro amore, poi, è troppo condizionato, troppo dipendente da fattori esterni, troppo relativo per potervi basare una relazione di tutta una vita.
Ma l’amore di Dio è immutabile e d eterno.
L’uomo è chiamato ad essere in autorità, e può esserlo solo nella misura in cui si sottomette a Dio. L’uomo è chiamato ad essere padre, ma può esserlo solo nel Padre.
L’ordine di Dio
Dio parlò e la vita fu. Noi viviamo in funzione di quella parola, in funzione di Dio (Col. 1:17; Ebr. 1:3). Nella creazione, Dio stabilì un ordine da cui non si poteva e non si può impunemente prescindere.
Nel Cielo
Guardiamo il cielo: sono trascorsi migliaia di anni dal lontano giorno della creazione, ed il sole continua ad illuminare, le stelle a risplendere. I giorni seguono alle notti, le estati alle primavere. Perché? Perché l’ordine di Dio è ancora rispettato: il giorno in cui venisse alterato, anche nel cielo non vi sarebbe che la morte.
Una serie di collisioni apocalittiche e stelle senza più luce, i pianeti tristemente erranti in un universo senza senso. Il caos, poi, ancora una volta, inevitabilmente, la morte. Come tra le stelle così tra gli uomini, come nel cielo così sulla terra, come nella società così nella Chiesa. Ovunque l’ordine di Dio è mantenuto c’è pace ed armonia, dove invece esso è violato, c’è oscurità confusione e morte.
Sulla Terra
… i due lasceranno …
Mogli siate soggette (sottomissione); il marito è il capo …(autorità).
Mariti amate le vostre mogli … (servizio).
Noi ci realizziamo solo nel rispetto di questi ruoli, e possiamo rispettarli solo mantenendo un’attitudine di totale obbedienza e sottomissione a Dio.
Torniamo al cielo: vi troveremo un esempio illuminante che ci permetterà di comprendere meglio quanto stiamo dicendo. Consideriamo la relazione SOLE – TERRA – LUNA. Il Sole è la sorgente di luce (lo identificheremo con Dio). La Terra (l’uomo) illuminata dalla luce del Sole(luce + autorità di Dio) e stendete questa luce ad illuminare la Luna (la donna). Fintanto che la Terra resterà in relazione con il Sole reggerà e governerà la Luna senza fatica e la Luna vivrà nella luce, nel riposo e nella sicurezza della sua orbita. Ma se la Terra uscisse dall’azione del Sole, tutto questo meraviglioso ordine andrebbe distrutto. La Terra prenderebbe a vagare e condannerebbe a vagare anche la Luna in quanto, non essendo più sostenuta essa stessa dal Sole, non avrebbe la forza di reggerla. Al che potrebbe seguire un altro errore della Luna: è l’errore-problema della donna d’oggi. “Vaga” e crede che staccandosi dalla terra, realizzerà la libertà. E si stacca e guadagna la sua indipendenza, ma non la libertà. E si stacca e guadagna la sua indipendenza, ma non la libertà. Adesso la situazione si è aggravata. Oltre a continuare a vagare, abbiamo più netta, la consapevolezza di precipitare. E non sappiamo come frenarci…
L’indipendenza non da libertà se costruita sulla ribellione, sulla violazione dell’ordine stabilito da Dio. Giovanni 8:32-36 ci dice che solo in Dio, solo nell’obbedienza a Lui, siamo liberi. Possiamo anche renderci indipendenti da Lui (è la cosa più facile), ma vagheremo, per poi precipitare.
La soluzione non è nello staccarsi dalla Terra (si vagherebbe), ma che la Terra torni nella giusta relazione col Sole. Allora anche la Luna ritroverà la sua identità ed il suo equilibrio.
Nella Famiglia
Do-Padre = autorità, che presuppone la sapienza e l’amore. Tutte cose che solo in Dio è possibile trovare. Da cui l’essenzialità di essere NEL PADRE per essere padre.
Dio-Figlio = la moglie, che trova la sua forza nella sottomissione e nella obbedienza.
Dio-Spirito Santo = il figlioletto, colui che testimonia di ciò che avviene tra madre e padre. “Egli (lo Spirito) prenderà del mio e ve lo annunzierà” (Giov. 16:14).
Noi costruiamo con la nostra vita la testimonianza che i nostri figli porteranno al mondo. Preoccupiamoci, dunque, di diventare buoni figli di Dio, figli di cui il Padre possa compiacersi, e, automaticamente, saremo buoni padri per i nostri figli. Perché è vero: senza padre non c’è famiglia; ma esiste, dietro di questa, una verità ancora più grande: “Senza il Padre non c’è famiglia!”
Nella Chiesa
La Chiesa è la famiglia di Dio. Assicuriamoci allora che ci sia veramente il Padre (Giov. 15:14), assicuriamoci soprattutto che Egli possa esercitare la Sua autorità nella nostra vita, o potrà esserci famiglia, non potrà esserci Chiesa.
“… il Padre … dal quale ogni famiglia prende nome …” (Ef. 3:15) significa che la nostra famiglia, la nostra chiesa, per essere tale, deve essere stabilita nel nome di Dio, deve vivere nel rispetto e nell’osservanza dei ruoli che Egli ha stabilito. A questo p unto della questione, torna utile e risolutrice un’affermazione del Signore Gesù: “Ora che sapete queste cose, siete beati se le fate!” (Giov. 13:17). Diventiamo buoni figli, per essere buoni padri e buoni mariti.
Cerchiamo Dio, cerchiamo il suo governo in noi, per estenderlo poi, dalla nostra famiglia nella chiesa, affinché ci sia quella manifestazione di potenza e di gloria che il Signore ha stabilito e che il mondo attende, attende … continua ad attendere.