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di Ernesto D. Bretscher
Da millenni, l’uomo si dibatte nei problemi della convivenza con i suoi simili. Già Caino non sopportava gli atteggiamenti e la disponibilità di Abele e arrivò a odiarlo a tal punto da ucciderlo. E da allora il problema è rimasto lo stesso, per¬ché “il cuore dei figliuoli degli uomini è pieno di malvagità” (Eccl. 9:3). Ogni uomo, come Cai¬no, guarda al proprio “sacrificio” e lo crede migliore di quello degli altri: pensa particolar¬mente a se stesso, soprattutto a se stesso, a costo di ledere gli altri.
Da questo derivano le “opere della carne” elencate in Galati 5:19-21: “inimicizie, discor¬dia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invi¬die … e altre simili cose”, che sono soprattutto problemi di rapporti umani. In Genesi 6:5 leggia¬mo addirittura: “E l’Eterno vide che la malvagi¬tà degli uomini era grande sulla terra e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano al¬tro che male in ogni tempo. E l’Eterno si penti (ebraico: dispiacersi) d’aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò (ebraico: rattristarsi) in cuor suo”.
La legge: L’ammaestramento di Dio
Più tardi, Dio decide di dare una legge scritta (un ammaestramento) che regoli il comporta¬mento e la convivenza dell’uomo e gli mostri co¬m’è che Egli intende siano vissuti i rapporti uma¬ni. E già in questa legge data a Mosè Egli dà il co¬mando: “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono l’Eterno”, e per maggiore chiarezza ag¬giunge: “Rispetti ciascuno sua madre e suo pa¬dre … non ruberete e non userete inganno, né menzogna gli uni a danno degli altri … non op¬primerai il tuo prossimo … il salario dell’operaio al tuo servizio non ti resti in mano … non andrai qua e là facendo il diffamatore… né attesterai il falso a danno della vita del tuo prossimo … non odierai il tuo fratello in cuor tuo … non ti vendi¬cherai e non serberai rancore …” (Levitico 19:3¬18).
La legge di Dio tratta fin nei minimi dettagli i rapporti tra il popolo di Dio. Sapendo però che
una legge scritta non sarebbe bastata a guidare tali rapporti, Iddio promette: “Questo è il patto che farò con la casa d’Israele: io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore e io sarò loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Geremia 31:33). E Gesù: “Non pensate ch’io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io son venuto non per abolire ma per compiere: poiché io vi dico in verità, che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto” (Matt. 5:17).
La legge tratta le relazioni
Il Regno di Dio è “giustizia, pace e allegrez¬za nello Spirito Santo” (Rom. 14:17). Giustizia è essere, tramite Gesù Cristo, nella giusta rela¬zione con Dio, nella giusta relazione con i fami¬liari e nella giusta relazione con il prossimo. La legge tratta le relazioni. Ed essere a posto nella mia relazione con Dio e con gli uomini produce in me la pace: pace con Dio e pace con gli uomi¬ni, per cui anche pace con me stesso. La pace produce, a sua volta, un profondo senso di gioia, di godimento e di soddisfazione. E Paolo aggiun¬ge: “…nello Spirito Santo” perché è Lui l’auto¬re di questo “miracolo”. Paolo ancora esorta: “Non abbiate altro debito con alcuno se non d’amarvi gli uni gli altri; perché chi ama ha adempiuto la legge. Infatti il non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non concu¬pire e qualsiasi altro comandamento si riassumo¬no in questa parola: ama il tuo prossimo come te stesso … L’amore, quindi, è l’adempimento della legge”. (Rom. 13:8-10). Ed è per questo che lo Spirito Santo può affermare in 1 Giov. 4:7 che “chi non ama non ha conosciuto Dio”.
Però …
Fin qui è facile essere tutti d’accordo, sul pia¬no teorico almeno. Nella pratica invece si risco¬prono tutti i soliti problemi della “convivenza” umana.
Inutile negare che la maggior parte di noi pastori spende gran parte della propria vita e del¬le proprie energie nel tentativo di risolvere uno per uno i problemi di convivenza che emergono giorno dopo giorno tra i membri delle nostre co¬munità. E non solo: i rapporti sono spesso diffi-cili, se non impossibili, persino tra noi pastori tra le nostre chiese e missioni. Ma è questo ciò che Dio si aspetta da noi? Certamente no, anzi ciò Gli è in abominio. Troppi cristiani si portano dietro la vecchia natura umana che continua a far da padrone nella loro vita, nelle famiglie e nelle comunità, per cui, anche nella Chiesa, il problema della “convivenza umana” continua ad essere pressoché lo stesso che nel mondo. Ma che dice lo Spirito Santo? “Se uno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama il suo fratello che ha veduto, non può amar Dio che non ha veduto” (Giov. 4:20).
Secondo la regola più comune, amiamo una persona a condizione che: ci sia simpatica, ci ri-spetti, ci voglia bene, sia disponibile, sia d’accor¬do con noi o quanto meno ci dia quasi sempre ra¬gione, non sbagli né con le azioni né con le parole nei nostri confronti e sia, possibilmente, membro della nostra stessa chiesa od organizzazione. Dif¬ficilmente amiamo in altre condizioni! Ma, non fu Gesú a dire che un simile amore l’aveva¬no anche i peccatori? (vedi Matt. 5:46 e Luca 6:32-33).
Gesú venne ad abitare per un tempo tra noi non solo per riconciliarci con il Padre attraverso il Suo sacrificio, ma anche per esserci di esempio: nella vita, nei rapporti con Dio, nei rapporti con gli altri e nella messa in pratica della legge di Dio (non peccò mai!), per dire alla fine del Suo ministero: “Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io”, e: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri … come io ho amato voi …” (Giov. 14:15,34).
E nella preghiera al Padre: “Siano uno come noi siamo uno, io in loro e tu in me, affinché sia¬no perfetti nell’unità” (Giov. 17:23).
È un’utopia?
Vediamo, dunque, che questo problema dei rapporti, dell’amore e dell’unità tra gli uomini è qualcosa che Dio si porta in cuore fin dalla crea¬zione ed è deciso a non mollare fino a quando non piegherà l’indipendenza e l’individualismo dell’uomo. Utopia? Ma è per questo che ha dato la legge, è per questo che ha mandato Gesù, ed è ancora per questo che ha sparso lo Spirito Santo: per dar origine alla Chiesa, quella che doveva es¬sere il coronamento della Sua aspettativa. Dio ha sempre voluto un popolo che gli appartenesse in modo speciale, che vivesse ed esprimesse il Suo cuore in termini di rapporti e convivenza. Che abbia fallito? Che sia stato troppo ottimista? No! II duello è ancora aperto. “Neppure uno io¬ta o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto”. In altre parole verrà il giorno in cui tutta la legge di Dio sarà adempiuta nei nostri cuori.
Qualcuno potrebbe obiettare che non siamo più sotto la legge. Già, a condizione però che es¬sa si trovi scritta nei nostri cuori, altrimenti ri¬maniamo sotto la sua condanna. E chi non riesce ad amare come Dio ama, è ancora sotto, la con¬danna della legge, in quanto continua a trasgre¬dire gli ammaestramenti di Dio. L’amore è l’a¬dempimento della legge. Paolo dice che la legge è santa, giusta e buona e che è il mezzo che ci porta a diagnosticare i nostri mali, a renderci conto dei nostri errori. Solo allora potremo ravvedercene (vedi Rom. 7:7).
Perciò non giustifichiamo più la mancanza di amore nelle nostre relazioni con gli altri o la mancanza di unità in seno e tra le nostre comuni¬tà. Perché è Gesù a dire:
“Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
“Amate i vostri nemici e fate del bene a colo¬ro che vi odiano, benedite quelli che vi maledico¬no, pregate per quelli che vi oltraggiano”.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” (Giov. 14:34; Luca 6:27; Matt. 19:19).
E Paolo: “Per quanto dipende da voi vivete in pace con tutti gli uomini” (Rom. 12:18).
Cominciamo da noi
E’ facile incolpare gli altri quando i nostri rapporti non vanno bene. “È lui che non mi può vedere” – “È lei che ce l’ha con me”. Ma cosa facendo cerchiamo di scaricare sugli altri anche le nostre proprie responsabilità. Bisogna comin¬ciare con l’essere onesti con noi stessi e saper am-mettere quali responsabilità sono nostre laddove i rapporti non vanno.
Valutiamo obiettivamente i nostri veri senti¬menti nei confronti delle persone che «non ci vanno» e con le quali non riusciamo a fraterniz¬zare. Chiediamoci perché Tizio e Caio «non ci vanno»; perché, secondo noi, si comportano male nei nostri confronti; perché si scostano da noi, sparlano di noi, ci disprezzano, ci guardano male o semplicemente si sono chiusi in sé. Esami¬niamo onestamente la possibilità che certi nostri atteggiamenti di diffidenza, antipatia o fierezza possono avere creato un muro tra loro e noi. In¬fine poniamoci la domanda: Li amo veramente? Li accetto così come sono? Sono ben disposto verso di loro?
Non era solo un “suggerimento» quello di Gesù, di amarci gli uni agli altri come Lui ha amato noi, bensì un comandamento) Se siamo nati da Dio, l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato da¬to (Rom. 5:5). Questo vuol dire che l’amore c’è, ma va esercitato, espresso, educato, vissuto. Non è un “colpo di fulmine” che mi fa innamorare in un momento di tutti gli esseri umani che mi circondano. È un sentimento divino che mi viene affidato perché venga usato, curato, guidato e cresciuto. Siamo noi a decidere verso chi, come e quando convogliare tale sentimento. Basta che io lo voglia, mi è concesso – per-la grazia di Dio – di amare qualsiasi persona in qualsiasi momen¬to, perché sono nato da Dio. Ho la sua natura. Perciò, dipende ora tutto da me. E se la mia uni¬ca ragione di vita è diventata quella di esprimere, sempre e in ogni circostanza, il cuore del Padre – anche a costo di soffrire, di affrontare rinunce, umiliazioni, sacrifici e sforzi – io amerò co¬me Lui ama, chiunque.
E’ ora una decisione che spetta interamente a me. O decido di ubbidire al Padre, che mi co¬manda di amare gli altri come Lui ama me, o continuo ad affidarmi ai miei sentimenti umani nella scelta di chi amare, nel qual caso tutta la mia fede è vana. Sarò uno di quei “credenti” che Gesù non ha mai conosciuto (vedi Matt. 7:23).
L’amore va quindi esercitato. Ecco perché bi¬sogna incominciare stringendo dei rapporti veri con altre persone. Dei rapporti che non siano su¬perficiali, lenti e incerti, perché Dio ci chiama a dei rapporti che ci, impegnino l’uno con l’altro, nel volerci bene, nell’esserci fedeli e nel sostener¬ci a vicenda. Siamo chiamati ad avere dei rappor¬ti tra noi che siano della stessa qualità dei rap¬porti di Dio.
Un patto a garanzia dell’amicizia
La Scrittura ci rivela che Dio trattava Abra¬mo da amico (Isaia 41:8) e che parlava con Mosè faccia a faccia come un uomo parla col proprio amico (Esodo 33:11). Gesù considerava i suoi discepoli amici. “Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici se fate le cose che vi comando … vi ho chiamati amici …” (Giov. 15:13-15; vedi anche Luca 12:4). La qualità dei rapporti di Dio con l’uomo è di vera amicizia. E la garanzia di tale amicizia è l’impegno alla fedeltà che viene chiamato «patto» o «alleanza».
Quando Dio prometteva qualcosa al suo ami¬co Abramo, Egli soleva suggellare la sua promes¬sa con un patto (Genesi 17:2-4; Esodo 2:24); così faceva anche con Mosè. Quando più tardi venne la crisi e la progenie di Abramo con la sua ribel¬lione esasperò l’Eterno, questi si ricordò del Suo patto stretto con Abramo e non gli distrusse la discendenza. Il patto proteggeva l’amicizia di Dio con Abramo e la sua discendenza. Anche Gesù, seguendo le orme del Padre, strinse un’al¬leanza con tutti coloro che avrebbero creduto in Lui e Gli si sarebbero sottomessi. E’ un patto che garantisce la sua amicizia verso di noi, anche se ci dovesse capitare di sbagliare nei suoi confron-ti. “Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati e … purificarci da ogni iniquità” (1 Giov. 1:9). “Se siamo infedeli, egli rimane fedele” (2 Tim. 2:13).
Anche per noi
Ogni volta che Dio ha voluto esprimere o ri¬cordare all’uomo la sua amicizia, Egli lo ha fatto stringendo con lui un patto che impegnava en¬trambi alla reciproca fedeltà. Se Dio riteneva tanto importante specificare i termini del suo rapporto con noi attraverso un patto, non do¬vremmo noi fare altrettanto? Seguendo l’esem¬pio del Padre, non potremmo specificare con un patto i termini dei nostri rapporti fraterni? Per¬ché non prometterci fedeltà impegnandoci a vo¬lerci bene, a non sospettare il male tra noi, a non dare ascolto alle maldicenze, a rimanere amici qualsiasi cosa accada e a stare vicini nel bene e nel male? Perché non potremmo noi pure stabili¬re tra di noi, con il Signore per testimone, dei patti di amicizia e fratellanza, visto che comun¬que siamo già – noi che apparteniamo a Cristo – partecipi del nuovo patto nel sangue di Gesù? Davide e Gionathan non fecero altrettanto? (1 Samuele 18:4). Gli Israeliti non solevano garanti¬re la loro amicizia con un’alleanza nel nome del Signore? (vedi 2 Samuele 3:22).
Certo, dovremmo poterne fare a meno, visto che dovrebbe essere normale per un credente in Cristo essere fedele ai propri fratelli ed impegna¬to con essi, ma visto che in pratica non è così, im¬pegniamoci in termini concreti alla fedeltà reci¬proca. Potremmo farlo in questi termini: “Si-gnore, mi impegno, per la tua grazia, ad amarti ed esserti fedele, ad amare questo mio fratello (prendendogli la mano) e ad essergli fedele. (E quindi rivolgendoci al nostro fratello o sorella) Fratello, ti amerò, non ti lascerò mai, non sparlerò di te né accetterò accuse contro di te se non in tua presenza. Ti accetto così come sei, ti sarò ve¬ramente amico e niente e nessuno potrà mai se-pararmi da te, perché siamo uno in Gesù nostro Signore. Sia il Signore testimone della nostra al-leanza”. E l’altro fratello o sorella direbbe al¬trettanto. Naturalmente, non intendo stabilire un rituale sul modo di impegnarsi, è solo un sug¬gerimento pratico. Ma qualunque siano le moda¬lità, facciamolo!
Non sono teorie
Vi era un fratello che io avevo difficoltà ad accettare, apprezzare e amare. Era una di quelle persone che «non mi andavano». Un giorno venne da me e mi chiese: «Ernesto, vogliamo stringere un patto d’amore e d’amicizia?» Ebbi difficoltà a deglutire: mi aveva incastrato. Pote¬vo dirgli di no e che non me la sentivo quando Gesù mi comanda di amarlo come Egli ha amato me? Pregai tra me: «Signore, non riesco ad amarlo, ma perché tu me lo chiedi, mi impegno a farlo». E stringemmo il patto. Cominciammo a frequentarci reciprocamente e a conoscerci me-glio: strano, cominciavo a volergli bene e ad ap¬prezzarlo. Con il tempo questo amore è cresciuto fino al punto in cui posso oggi dire di sapermi ve¬ramente UNO con lui. Oggi gli voglio tanto be-ne. Chi ci ha fusi in tal modo? Solo il Signore, che ha visto la nostra disponibilità ad ubbidirGli, tanto più che anche lui, per il passato, aveva avu¬to difficoltà ad accettare me. Oggi so che mi vuo¬le altrettanto bene. Alleluia!
E tutte le persone con le quali ho stretto simili patti mi hanno dimostrato il loro impegno in ter-mini molto concreti soprattutto nei giorni della crisi, del disaccordo, della tensione e della prova. Niente finora è riuscito a spezzare tali legami d’amore e quando siamo stati tentati a farlo, ci siamo ricordati del nostro patto, stipulato in pre¬senza di Dio. La nostra fedeltà reciproca è un’impegno a vita perché così l’ha voluto Gesù, il nostro Signore.
Costruire e riparare i rapporti
Come iniziare un rapporto? Ecco qui alcuni consigli pratici da tener presente perché possa es¬sere instaurato un rapporto fraterno. I medesimi consigli valgono nel caso si debba riparare un rapporto e restaurarlo.
1. Essere convinti che è COMANDAMEN¬TO di Gesù amarci reciprocamente come Lui ha amato noi, al punto da dare la nostra vita l’uno per l’altro (1 Giov. 3:16).
2. Decidere di iniziare tali rapporti (o ripa¬rarli).
3. Chiedere al Signore di mostrarci con chi iniziare tra quelli che lo riconoscono come Signo¬re.
4. Se questa persona è disposta a cominciare, o ricominciare, un rapporto d’amicizia con noi, prendendoci per mano, ci impegneremo alla re¬ciproca fedeltà chiamando il Signore per testimo-ne.
5. Se invece è una persona che si tiene distan¬te da noi, ci avvicineremo a lei con la massima delicatezza ed umiltà, essendo pronti a ricono¬scere onestamente ogni nostra responsabilità in eventuali errori commessi, e a chiarire ogni pos¬sibile malinteso.
6. Avere sempre un atteggiamento di assolu¬ta onestà, anche nel riconoscere eventuali errori propri. Essere sempre leali, aperti e trasparenti.
7. Rimanere fedeli a qualsiasi costo. Nel ca¬so scopriamo aspetti che ci turbano, parlarne im-mediatamente con la persona interessata.
8. Non permettere ad alcuno di turbare il nostro rapporto con allusioni, maldicenze, accu¬se. Se altri hanno qualcosa da dire, vadano per¬sonalmente dall’interessato.
9. Non permettere al risentimento di farsi strada in noi per azioni o parole con le quali la persona impegnata potrebbe averci feriti. Se non dovessimo riuscire a passarci sopra, chiarire, e, se è il caso, perdonare.
10. Frequentarci in modo naturale, non solo negli incontri di chiesa, ma anche in famiglia. Essere naturali l’uno verso l’altro evitando di ap¬parire troppo “spirituali”. Si può essere ottimi cristiani senza dover per forza parlare sempre di cose spirituali quando si è tra fratelli. Neanche però scivolare nell’altro estremo.
“L’amico ama in ogni tempo, è nato per es¬sere un fratello nella distretta”. “L’olio e il pro¬fumo rallegrano il cuore, così fa la dolcezza d’un amico coi consigli cordiali”. (Proverbi 17:17; 27:9).
L’uomo è stato creato per i rapporti; è stato fatto per essere un amico. Amico di Dio e amico del suo simile. Ed è solo entrando in questa di¬mensione ch’Egli trova la sua sicurezza, la sua pace e la sua gioia, è solo così che può sentirsi ve¬ramente realizzato. Dio ha stabilito che fosse co¬sì. E ogni uomo che non entra in questa visione è condannato a non conoscere Dio, a rimanere un solitario, un emarginato, un insicuro e ad essere una persona frustrata, anche se in apparenza sembrerà essere un ottimo credente! L’uomo può avvicinarsi alla perfezione e maturità di Dio (Ef. 4:13) solo quando avrà imparato ad amare vera¬mente e ad avere molti amici.
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figliuoli del Padre vostro che è nei cieli, poiché Egli fa levare il suo sole sui giusti e sugli ingiusti … Voi dunque siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro cele¬ste” (Matt. 5:44).
Figlio di missionari svizzeri tuttora attivi in Italia, Ernesto D. Bretscher è cresciuto e ha studiato nel nostro Paese. È il fondatore e anziano responsabile della “Comunità cristiana” di Salerno, dove risiede con la moglie Christa e i quattro figli.