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di Geoffrey Allen
Abitavo, fino a poco tempo fa, vicino ad un grande istituto per handicappati. Insieme ad al¬cuni fratelli, ci andavo a visitare un ricoverato che era credente e nello stesso tempo cercava¬mo di evangelizzarne altri.
Faceva impressione vedere queste persone – molte ancora giovani – ridotte in condizioni pietose da malattie o da incidenti. Alcuni, quasi completamente paralizzati, erano costretti su sedie a rotelle; altri, in grado di camminare, ma in preda a spasimi muscolari che producevano smorfie e gesti grotteschi. Come avrei voluto ve¬derli risanati, pieni di forza, correre e saltare con movimenti liberi, belli e armoniosi!
Fu uno shock per me rendermi conto che co¬me questi handicappati, così oggi è Gesù. Infat¬ti la Bibbia ci dice: “Voi siete il corpo di Cristo, e membra d’esso, ciascuno per parte sua” (1 Cor. 12:27).
Vediamo forse che Cristo viva oggi nel mon¬do in un corpo vigoroso, pieno di salute, spriz¬zante energia da tutti i pori, come la Chiesa “ neonata “ di cui leggiamo negli Atti degli Apostoli? Non credo che nessuno definirebbe così lo stato attuale del Suo corpo.
Un Cristo paralitico
Il Gesù dei Vangelo guariva gli zoppi e i para¬litici. Ma oggi vediamo un Cristo “handicappa¬to” che ha Egli stesso bisogno di guarigione. Molte parti del Suo corpo non funzionano affat¬to. Non sono state “mozzate”, queste membra – fanno ancora parte del corpo – ma sono pas¬sive e non. attive; penzolano inutili anziché svol¬gere un ruolo e una funzione indispensabile. Molti cristiani, infatti, non sono assolutamente consapevoli di quale debba essere la loro parti¬colare funzione nel Corpo. La Chiesa – per cambiare metafora – è oggi una nave con molti passeggeri e poco equipaggio. Ma Dio non in¬tende che sia una nave da crociera, bensì una nave da guerra!
Quando, poi, le membra del corpo funziona¬no, lo fanno spesso in maniera individualistica, non coordinata, senza riferimento l’uno all’altro. In questo modo noi presentiamo al mondo un “Cristo spastico”, che neanche così è in condi¬zioni di far molto per “dare vita al mondo” (Giov. 6:33).
Bisogna convenire che il principale motivo dello scarso impatto del cristianesimo nel mon¬do, oggi, è che la Chiesa, prima di tutto, ha bi¬sogno di guarigione.
Chiamati a servire
Quando Gesù è venuto sulla terra, Egli ha co¬sì definito lo scopo della Sua missione: “Il Fi¬gliolo dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dare la vita come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:45).
Se noi, i credenti, siamo ora il Suo corpo, lo strumento attraverso il quale Gesù oggi conti¬nua la Sua missione, ne consegue che anche, per noi il motivo della nostra continuata presen¬za in questo mondo è “… per servire” coloro per i quali il “prezzo di riscatto” è stato già pagato. La Chiesa è per sua natura una “Chiesa serva”.
Purtroppo siamo ostacolati nel capire ed applicare questa verità da una tradizione che ri¬serva ad una categoria speciale di credenti il ti¬tolo di “servitore di Dio” o di “ministro” (paro¬la che vuoi dire semplicemente “servo”). Se siamo cristiani, siamo tutti servitori di Dio; tutti siamo stati chiamati al ministero! Naturalmen¬te, con ciò non intendiamo dire che tutti siano pastori, o tutti predicatori. Ma se la nostra vita di chiesa si limita a delle riunioni di culto, in modo che quasi l’unico “servizio” da svolgere è quel¬lo di predicare, siamo ben lontani dalla chiesa dei Nuovo Testamento.
“Ci sono varie forme di servizio, ma il Signo¬re è lo stesso” scrive Paolo (1 Cor. 12:5). C’è chi serve insegnando ed esortando; c’è chi serve guarendo i malati; c’è chi serve lavorando molto e dando i soldi; c’è chi serve lavando i pavimen¬ti. Possiamo servire evangelizzando o tenendo la contabilità; intercedendo o cucinando. Ma se non siamo impegnati a servire gli altri, non sia¬mo membri utili dei corpo di Cristo.
Giocatori o spettatori?
Viviamo in una nazione di “sportivi”. Ma per i più, questo vuoi dire andare a vedere la partita allo stadio o in TV, leggere i giornali sportivi e giocare la schedina; tutt’al più, farsi vedere in giro in tuta e scarpe da corsa! Sono relativamen¬te pochi quelli che praticano attivamente uno sport, con l’impegno, la disciplina e il sacrificio che ciò comporta. E la stessa mentalità si trova anche nella chiesa. Sono molto più numerosi gli “spettatori” – magari fedeli – che i “giocato¬ri”.
Qualcuno ha detto che la tipica chiesa evangelica è un po’ come un autobus. Davanti c’è uno che guida, mentre tutti gli altri stanno sedu¬ti, tutti rivolti nella stessa direzione, e non fanno niente; e ogni tanto viene uno a prendere i soldi! Ma quando si vuole cambiare questo schema, si incontrano delle resistenze. Un pastore, pieno di zelo per l’opera di Dio ma bloccato dalla cattiva salute, presentò al comitato di chiesa un piano dettagliato con cui avrebbe delegato loro i vari aspetti del suo ministero. Essi risposero: “Pa¬store, noi ti paghiamo per fare questo lavoro. Se non sei in condizioni di farlo, troveremo un altro che ne sia capace. Noi non siamo qualificati per fare queste cose, e poi abbiamo altro da fare!”
Se non viene abbattuta una simile mentalità – che altro non è che il concetto cattolico del “clero” e dei “laici” – non potremo mai realiz¬zare il disegno di Dio per i nostri tempi.
Il tappo nella bottiglia
Spesso invece sono i pastori o anziani delle chiese che sono come il tappo di una bottiglia. Finché la chiesa dorme, va tutto bene, ma quan¬do comincia a fermentare il “vino nuovo” dello Spirito e gli altri credenti vogliono muoversi nel servizio di Dio, si sentono minacciati. Riservan¬do a se stessi il “ministero”, comprimono la li¬bertà dello Spirito finché la pressione diventi ta¬le da provocare un’esplosione!
Il modello biblico di guida nella chiesa è inve¬ce quello del discepolato: io formo altri per pren¬dere il mio posto, fino a rendermi superfluo! Co¬sì Dio mi potrà promuovere ad un servizio più ampio. Fu questo il principio seguito da Gesù: benché si desse al servizio della moltitudine, con insegnamenti, guarigioni e miracoli, la Sua priorità era quella di formare i Dodici per essere in grado di continuare questo servizio. Così poté tranquillamente tornare da Suo Padre dicendo: “Ho compiuto l’opera che tu m’hai data a fare” (Giov. 17: 4). Aveva delegato e moltiplicato il Suo ministero, e ora poteva dire: “Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato lo¬ro nel mondo” (17:18).
Ogni responsabile di chiesa che capisca la sua responsabilità ha cura di delegare ad altri tutto quello che può. Bisogna vincere l’orgoglio che dice “lo sono indispensabile”, e la paura che gli altri sbaglino. Un padre saggio permette ai figli di commettere degli errori che non avran¬no gravi conseguenze e di fare un lavoro meno ¬perfetto di lui stesso. Una madre sensata inco¬raggia, magari costringe, la figlia ad imparare a cucinare, anche a costo di dover mangiare dei pasti meno appetitosi, pur di prepararla al futuro ruolo di moglie e di madre. Così un saggio con¬duttore spirituale permette ad altri di “farsi le ossa” servendo in tutte le sfere di cui siano ca¬paci.
Ci sono vari ministeri
In Romani 12:6-8, Paolo ci esorta a far frut¬tare i doni differenti che ciascuno ha ricevuto da Dio, “secondo la grazia che ci è stata data”. Egli cita sette generi diversi di servizio, tutti es¬senziali perché si realizzi il piano di Dio per la Chiesa. Non sarà certo una lista esauriente, tut¬tavia possiamo distinguere qui alcuni modi fon¬damentali di servire il Signore e la gente.
Innanzitutto, però, notiamo che per far fun¬zionare tutti questi “doni”, dobbiamo avere un tipo di chiesa che viva una vera vita comunitaria e non solo una vita di incontri (si veda l’articolo “Il regno di Dio: una nuova società” nel numero scorso). Metà dei doni sono di “azione” e non di “parola” e possono funzionare bene solo quando usciamo dalle sale di culto ed entriamo nelle case l’uno dell’altro! Parecchi cristiani non sono né dotati né chiamati per predicare, in¬segnare, esortare o testimoniare pubblicamente e fin quando la chiesa non offrirà loro le occa¬sioni di servire con le mani o nelle relazioni per¬sonali, si sentiranno sempre dei passeggeri la cui presenza è del tutto superflua.
Mentre esaminiamo brevemente questi “do¬ni differenti”, ciascuno chieda allo Spirito San¬to di aiutarlo a capire in quale maniera è stato dotato particolarmente per contribuire alla vita del Corpo.
Profezia: “se abbiamo dono di profezia, pro¬fetizziamo secondo la proporzione della nostra fede”. Tutti, è vero, possiamo profetizzare, e dobbiamo ricercare tale dono carismatico (1 Cor. 14:31,1), ma ad alcuni è dato un dono par¬ticolare in questo campo. Hanno la capacità di “vedere” con chiarezza la realtà interiore delle persone e delle situazioni, di discernere la men¬te dello Spirito e di dare direzione al cammino della chiesa di cui fanno parte. Sono gli “oc¬chi” del Corpo, senza i quali esso è condannato a brancolare al buio o a perdersi girando attorno allo stesso punto e alle stesse attività. A loro è detto di esternare quello che credono di discer¬nere “secondo la proporzione della loro fede”, cioè vincendo i dubbi e le titubanze, ma non an¬dando oltre quello che ricevono dal Signore per aggiungere le loro proprie idee ed opinioni.
Servizio (“diakonia”, da cui deriva “diaco¬no”). Cucinare, tenere i conti, aggiustare la macchina, pulire i bagni – insomma, venire in¬contro ai bisogni materiali e pratici delle perso¬ne e della comunità costituisce il dono di servi¬zio; significa cioè essere le “mani” del Corpo.
Non sai parlare? Bene, dimostra il tuo amore con atti di servizio e saranno gli altri a spiegarne il significato!
Insegnare. E la capacità di spiegare e illumi¬nare le verità rivelate, e non si fa soltanto dal pulpito! La chiarezza di mente e l’esattezza nel modo d’esprimersi sono le qualità fondamentali di chi insegna, e il suo campo si estende sia ai credenti che agli inconvertiti: anche Gesù “in¬segnava” nelle sinagoghe e vicino al mare.
Esortare. L’insegnante informa ed illumina; chi esorta, invece, stimola ed incoraggia le per¬sone a passare all’azione. E una persona positi¬va, piena di fede e d’energia, che non si stanca né si scoraggia mai. Ne abbiamo proprio biso¬gno, vero?
Dare. Non è solo per i ricchi questo dono: è per chiunque veda e senta i bisogni materiali delle persone e dell’opera di Dio. Se poi non hai di che soddisfare i bisogni, prega ed esercita fe¬de perché Dio te lo mandi! Egli “fornisce al se¬minatore la semenza”, perché la semini con li¬beralità (2 Cor. 9:10).
Presiedere (o “condurre”): è non solo fun¬zione del “pastore”, ma di chiunque guida, coordina, o organizza gruppi o iniziative, perché tutti gli altri doni e talenti siano utilizzati e porti¬no frutto.
Usare compassione o misericordia (“chi fa opere pietose”): è il dono di “piangere con quel¬li che piangono”, per poi risollevarli; di sentire e consolare le sofferenze degli altri mostrando comprensione e affetto. Quanti “feriti” ci sono nelle nostre chiese e intorno a noi, che hanno bi-sogno di cure amorevoli per tornare pienamente in salute! Ad alcuni in particolare Dio ha dato il prezioso dono di poterlo fare.
Dove incominciare?
“Quanto allo zelo, non siate pigri; siate fer¬venti nello spirito, servite il Signore”, prosegue l’apostolo (Rom. 12:11). Tutti ormai dovremmo aver capito la varietà dei bisogni e dei doni che ci permettono di essere membri attivi del Corpo. Dunque, al lavoro! Se abbiamo la disponibilità e il desiderio di servire, troveremo tante occasioni per poterlo fare.
Una macchina che sta ferma nel garage, per quanto si provi a girare il volante, non risponde. Quando invece esce per la strada e prende velo¬cità, lo stesso volante facilmente le fa cambiare direzione. Similmente noi, finché stiamo fermi, abbiamo difficoltà a conoscere la nostra chia¬mata e i nostri doni. Ma quando ci disponiamo a servire, a seconda dei bisogni e delle occasioni che si presentano, possiamo essere facilmente guidati nel particolare canale di servizio al quale Dio ci chiama, trovando così il nostro ruolo al¬l’interno del Corpo. Allora possiamo pure cre¬scere nello Spirito, perché Gesù ha detto: “Da¬te, e vi sarà dato” (Luca 6:38); se abbiamo rice¬vuto qualcosa, per quanto poco, dal tesoro di Dio, dando ad altri ne riceveremo di più.
Naturalmente, non dobbiamo prendere ini¬ziative isolate o individualistiche, ma in sotto¬missione al consiglio e alla guida di chi sta so¬pra di noi nel Signore. Il Corpo, per essere cor¬po, dev’essere unito, coordinato, armonioso, do¬ve tutte le membra, per quanto diverse, funzio¬nano insieme per il bene di tutti e per compiere i desideri dei Capo, Gesù Cristo.
Possa Iddio così “guarire” e ristabilire il Corpo di Cristo, che veramente continui e com¬pia nel mondo di oggi tutto ciò che Egli comin¬ciò a fare e ad insegnare fino a quando fu assun¬to in cielo (Atti 1:1-2). Solo così potrà venire il regno di Dio, ed essere fatta la Sua volontà in terra, come è fatta in cielo.