Il nostro dialogo con i cattolici: intervista rilasciata dal pastore Traettino al pastore Stefano Bogliolo per il sito www.buonanotizia.org (http://www.buonanotizia.org/index.php/religione/item/696-intervista-con-il-pastore-giovanni-traettino-amico-di-papa-bergoglio)
Intervista con il pastore Giovanni Traettino, amico di Papa Bergoglio
Intervista con il pastore Giovanni Traettino, della Chiesa Evangelica della Riconciliazione di Caserta, noto al grande pubblico come il pastore pentecostale amico del Papa, che abbiamo recentemente incontrato a Roma, in occasione della sua partecipazione all’incontro annuale dell’Alleanza Evangelica Italiana, che quest’anno ha scelto di trattare il tema della testimonianza evangelica rispetto al cattolicesimo romano.
D – Ci può ricordare brevemente come e quando è avvenuto il suo incontro con la fede evangelica?
- R. La mia conversione risale all’ormai lontano 28 febbraio 1960. Avevo cominciato a leggere la lettera agli Efesini e quel pomeriggio il Signore mi portò a considerare il brano che divenne per me la porta di accesso alla rivelazione dell’amore gratuito di Dio, per me che mi realizzavo al contempo peccatore perduto e in disperato bisogno di salvezza: “E’ per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.” (Ef2:8-10).
Quel pomeriggio, mentre inginocchiato accanto al mio letto pregavo e piangendo confessavo il mio peccato e la mia impotenza a farmi santo, chiesi a Gesù di entrare nella mia vita come mio Signore e Salvatore, di perdonare i miei peccati e di darmi la vita eterna. Il Signore mi rispose! Una pace profonda invase il mio cuore, e gioia, gioia ineffabile riempì la mia anima; la gioia del perdono! Seppi allora, il cuore riscaldato dalla sua presenza, che mi aveva ascoltato, mi aveva perdonato, mi aveva salvato e veniva ora a dimorare per sempre nella mia vita. Mi alzai traboccante di pace e di gioia e corsi felice a condividere con i miei amici la sua visitazione. Da allora in poi e per tutta la vita fin qui, la grazia e l’amore incondizionato di Dio sono stati miei compagni e il fondamento sul quale ha riposato ed è cresciuta fiduciosa la mia esistenza.
D – A quando risale invece il suo incontro con l’esperienza pentecostale?
- R. Era autunno inoltrato quella sera del 1977 quando, nel corso di un incontro di preghiera nel salotto di casa con fratelli di varia estrazione evangelica, mia moglie ed io fummo battezzati nello Spirito Santo. Fu un’esperienza straordinaria! Fummo tutti come coperti e circondati da un grande calore. Mia moglie Franca prima, poi io cominciammo a parlare in altre lingue … Fu davvero come se fiumi d’acqua viva scaturissero dal profondo del cuore e fossi allo stesso tempo immerso in un mare d’acqua trasparente e luminosa, che mi avvolgeva da ogni lato e nella quale respiravo … Come per lo sciogliersi di ghiacciai al sole di primavera, onde successive di perdono, di pace e di gioia mi visitavano, mi riempivano e mi avvolgevano da dentro e da fuori … Un’esperienza indimenticabile! Insieme a questa una calda percezione della presenza di Dio piena di una luce e di una intimità mai prima sperimentate.
D – Come nasce invece il suo riavvicinamento alla chiesa cattolica?
- A voler cercare “la luce” da cui è partito questo processo e da cui si è originata questa apertura, devo riferirmi proprio all’esperienza che ho appena descritta. Fu nel calore di quell’incontro che, arricchito da una più forte e diretta esperienza di Dio, fui introdotto ad una più intima rivelazione dell’amore paterno di Dio. Come è scritto: “… Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.” (Ef3:17-19). E fui “partorito” ad una comprensione nuova della qualità e dell’ampiezza del suo abbraccio. E “sentii” la forza della koinonia e della fraternità nelle quali il suo amore ci saldava. E “vidi” l’estensione del corpo di Cristo di una ampiezza mai prima realizzata. E “seppi” che tutti quelli che erano generati dallo stesso seme e abitati dallo stesso Spirito, quello di Cristo, erano miei fratelli. Il Padre aveva figli veri in tutto il “corpo cristiano”. La chiesa era più grande di come l’avevo fino ad allora immaginata! Ed eravamo chiamati con tutti loro a vivere in modo nuovo la koinonia sua con lui e tra noi e a rendere manifesta e visibile la sua unità. Sono stato poi più volte confermato in questa comprensione dall’incontro con uomini e donne cattolici che, oltre a testimoniare di aver avuto un autentico incontro personale con Cristo, mostrano il frutto di vite indiscutibilmente trasformate da Cristo.
D – Com’è nata invece la sua amicizia personale con Bergoglio?
- Incontrai per la prima volta il cardinale Bergoglio nel giugno del 2006 a Buenos Aires. In occasione dell’incontro fraterno organizzato dal CRECES (Comunione Rinnovata di Evangelici e Cattolici nello Spirito Santo) con il suo incoraggiamento come arcivescovo di quella città. Il coordinamento dei pastori evangelici e dei leader cattolici del CRECES ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo dei nostri rapporti di amicizia. Dopo la sua elezione a papa ci saremmo incontrati a Santa Marta più volte, e lì avremmo più volte pregato e ragionato insieme come fratelli. Sullo stato delle relazioni tra Chiesa Cattolica e pentecostali, dell’Italia in particolare. Da quegli incontri sarebbe scaturita la decisione della visita e della richiesta di perdono.
D – Veniamo alla visita di Papa Francesco; il Vaticano ha tenuto a precisare che quella fosse una visita non ufficiale, ma privata tra due amici. Ma trattandosi di un incontro pubblico, in un luogo di culto pubblico, non in una casa privata, preannunciato con diversi giorni d’anticipo, seguito in diretta, e rilanciato dai media di tutto il mondo, non crede anche lei che la definizione di ‘visita privata’ sia un po’ riduttiva?
- Sono d’accordo. Ho già avuto modo di osservare che, sia l’incontro, che l’amicizia, che la ‘visita privata’ – alla casa prima, ma poi alla comunità! – sono stati a mio avviso “il ponte” che ha percorso Francesco per stabilire un contatto con il ricco arcipelago pentecostale. Nel suo cuore era ed è forte il desiderio di unità e di riconciliazione. La forza e la motivazione di quella, come di altre iniziative dello stesso segno, si spiegano con la passione e l’amore suo verso i fratelli. Francesco è testimone e ministro di riconciliazione.
D – Del resto il fatto che Bergoglio abbia scelto quell’occasione per annunciare le pubbliche scuse al Movimento Pentecostale per le persecuzioni avvenute in Italia da parte di uomini della Chiesa Cattolica Romana, come se lei fosse il rappresentate ufficiale del Movimento Pentecostale, con il quale in realtà il suo rapporto in questi ultimi decenni è stato conflittuale, proprio a causa delle sue posizioni nei confronti della Chiesa Cattolica Romana. Non crede che oltre a rafforzare il significato ufficiale dalla vista, sia stato inappropriato per i tempi e i modo con cui ciò è avvenuto?
- R. Ho già detto di quello che a mio avviso era il proposito di Bergoglio. E sottolineo poi: non scuse, ma perdono! Sorprendente in proposito il triste tentativo di qualche esponente evangelico, di voler sminuire il significato di un evento considerato dai più di assoluto valore storico e spirituale. Triste e incredibile! Papa Francesco ha chiesto perdono, e lo ha fatto “come pastore dei cattolici”. Paragonando addirittura il suo gesto a quello dei figli di Giacobbe con il loro fratello Giuseppe. Una chiarezza di proposito e una limpidezza di motivazione straordinarie!
Lei solleva poi – come altri prima di lei – la questione della rappresentanza. E in effetti la questione potrebbe essere posta! Se il mondo pentecostale fosse organizzato e strutturato come quello delle chiese che qualcuno ha chiamato “chiese della modernità”. Ma nella ricca e multicolore realtà pentecostale è tutto in divenire … Quando si pensa infatti ai seicento e più milioni di pentecostali presenti nel mondo, la verità è che ci si ritrova di fronte ad un universo vario e multiforme, in continuo movimento ed evoluzione. Certo! Dunque, se vuole, esiste il problema della rappresentanza! Ma chi rappresenta chi? E – fatte salve le verità fondamentali – chi rilascia attestati di qualità? Siamo stati purtroppo spesso testimoni negli ultimi decenni della tendenza dei penultimi a “prendere le distanze” dagli ultimi. Addirittura con varie, grazie a Dio poi modificate “liste di proscrizione”. A conferma di questo andare in ordine sparso consideri per un momento la cartina di tornasole delle richieste di Intesa con lo Stato. Pensi ancora, alla sofferta composizione e alla problematica legittimazione delle delegazioni pentecostale ed evangelical nei rispettivi dialoghi con il cattolico Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Perché sia pentecostali (persone e denominazioni!) che evangelical (la stessa Alleanza Evangelica Mondiale!) – lo sa – dialogano e non da oggi col Vaticano!
A ben guardare, almeno in questa fase della storia, la sfida vera è costituita dalla stessa natura della spiritualità pentecostale. Per questo i tentativi di avvicinamento e di dialogo ad altre realtà considerate di volta in volta cristiane sono affidati all’iniziativa di persone e/o movimenti che in coscienza e davanti a Dio ritengono di poterli fare. Ed è il motivo per cui le nostre rappresentanze ai “dialoghi”, per quanto buone, sono spesso fragili e parziali. Ne abbiamo qualche esempio anche in Italia.
In positivo è d’altra parte vero che proprio questa “liquidità” ha consentito al movimento pentecostale di diventare il fattore più straordinario di “penetrazione” e di “rinnovamento” anche del cristianesimo storico nel corso dell’ultimo secolo. Un fattore strategico per la conversione, il risveglio e la restaurazione di tutto il corpo di Cristo. Fino al punto di candidarsi in prospettiva, per la “contaminazione” della sua spiritualità, a diventare fermento di unità – noi crediamo – per tutto il corpo di Cristo. Ci sono infatti – come lei sa – pentecostali battisti e wesleyani, calvinisti e arminiani, congregazionalisti ed episcopaliani, cattolici e luterani, ortodossi e anglicani … Ci sono insomma molti “pentecostalismi”; e c’è una spiritualità pentecostale che fermenta in tutti i cristianesimi. Noi crediamo che la pentecostalità sia diventata una chiave decisiva per il futuro della chiesa!
Alla luce delle cose dette, mi consenta dunque di osservare, con tutta sobrietà, che in quanto responsabili di un movimento presente a livello nazionale e oltre, con una spiritualità condivisa da altri milioni di credenti sparsi in tutti i continenti del mondo, dovremmo essere legittimati, quanto meno dal punto di vista spirituale, a rappresentare almeno quelli – e non sono pochi – che la pensano come noi. Pensi agli esponenti internazionali del mondo evangelical e pentecostale che fanno già da anni dialogo con la Chiesa Cattolica. Pensi a quanti di essi hanno più di recente visitato papa Francesco o si sono espressi a favore di rapporti con lui e con la Chiesa Cattolica (ad esempio il precedente segretario generale dell’Alleanza Evangelica Mondiale). Pensi ad uomini e ministeri come Billy Graham e John Stott, padri e ispiratori del Movimento di Losanna e dell’Alleanza Evangelica, o come Loren Cunningham (YWAM), e Nicky Gumbel (Alpha), Oral Roberts (Università), Joel Austin (Lakewood Church), Rick Warren (La Chiesa con un proposito). Per non parlare di quanti pubblicarono anni addietro il documento Evangelici e Cattolici Insieme, vale a dire: Chuck Colson (Prison Ministry), Kent Hill (Eastern Nazarene College), Jesse Miranda (Assemblee di Dio), Bill Bright (Campus Crusade for Christ), J.I. Packer (del Regent College e autore del libro Conoscere Dio), Pat Robertson (700 Club e Regent University). Oppure a istituzioni e seminari, tradizionalmente chiusi, negli ultimi decenni sempre più aperti al dialogo. E si potrebbe continuare … La verità è che, grazie a Dio, almeno a livello internazionale il clima dei rapporti tra cristiani è diventato molto più aperto e dialogante. E segnali ricevo anche da qualche non minore leader italiano di una crescente sensibilità nella stessa direzione.
Dopo di che – per sgombrare il campo da ogni ombra ulteriore – aggiungo che sarei stato prima della visita e ancora sarei felice se esponenti rappresentativi del “pentecostalismo classico italiano” (che è prezioso, ma è solo una parte della realtà pentecostale mondiale) con maggior peso del nostro fossero stati, e fossero ancora pronti ad aprirsi all’incontro, all’amicizia, al dialogo. Intanto con noi. Ma poi anche con la Chiesa Cattolica. Mi incoraggia in questa prospettiva la vicenda umana e spirituale di un “profeta” come David Du Plessis. Dapprima criticato, discriminato ed escluso dalla comunione con i fratelli; successivamente accolto e pienamente restaurato nelle Assemblee di Dio degli Stati Uniti. Il clima nel frattempo era molto cambiato.
A testimonianza del nostro desiderio e della nostra ferma apertura desidero ancora qui osservarle che non il rapporto nostro con i fratelli, ma quello dei fratelli nei nostri riguardi è stato fin qui conflittuale. E – lo sa bene – esclusivamente per la discriminante anti cattolica. Alla quale viene a parer nostro attribuita un peso assolutamente sproporzionato!
La verità è che anche nel nostro mondo – come in tutte le altre forme di cristianesimo – ci sono fratelli e movimenti più chiusi, fratelli e movimenti più aperti. Fratelli che ormai “disperano” e fratelli che coltivano con fiducia “la speranza dell’unità” anche visibile del corpo di Cristo. Per questo la stessa Alleanza Evangelica Mondiale nel 1989 ha detto a Manila: “Il nostro riferimento a “tutta la chiesa” non pretende affermare che la chiesa universale e la comunità evangelica siano sinonimi. Riconosciamo che ci sono molte chiese che non fanno parte del movimento evangelico. Le posizioni degli evangelici nei confronti della chiesa cattolica e delle chiese ortodosse sono molto diversi. Alcuni pregano, dialogano, studiano le Scritture e lavorano assieme a queste chiese; altri si oppongono fermamente a qualsiasi forma di dialogo o di collaborazione con loro. Tutti gli evangelici sono comunque consapevoli che rimangono serie differenze teologiche. Ma dove è possibile e purché la verità biblica non sia compromessa, la collaborazione può attuarsi in campi come la traduzione della Bibbia, lo studio su temi di etica e di teologia contemporanea, il lavoro sociale e l’azione politica. Vogliamo comunque chiarire che l’evangelizzazione comune esige un comune impegno verso l’Evangelo biblico.” (Manifesto di Manila. 9)
D – Lei ha detto che Papa Francesco è ‘nato di nuovo’, definizione che rimanda alle parole di Gesù a Nicodemo, dottore della Legge in Giovanni cap. 3, che stanno a indicare la conversione a Cristo; ma se così è, come si spiega che sin dalla sua elezione al Soglio Pontificio, Bergoglio, non solo non abbia rigettato l’idolatria, duramente condannata dalle Scritture, a partire dal I comandamento, ma l’abbia addirittura rafforzata. Tutti ricordano la prima visita la stessa sera dopo la sua elezione, alla basilica di S. Maria Maggiore a Roma; come pure quelle alle varie chiese dedicata a Maria in tutti i suoi viaggi internazionali? Cosa intende lei per nato di nuovo?
- R. Le riporto la testimonianza dello stesso papa Francesco: “La fede per me è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso alla mia esistenza …” (Lettera a Scalfari del 4 settembre 2013). E parlando al Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali: “L’incontro con Cristo è un incontro personale, che non si può manipolare … nell’incontro con Cristo di una persona c’entra Cristo e la persona, non quel che vuole l’ingegnere spirituale che vuole manipolare … E’ lui che libera, è lui che trasforma, è lui che salva la vita dell’uomo.” Alla stessa maniera, in tante altre occasioni, testimoniando della sua fede personale in Gesù, del suo incontro salvifico con Cristo come suo Signore e Salvatore …
Cosa dunque concludere? La testimonianza della Scrittura è chiara e sicura per noi: “A tutti quelli che lo hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio. A quelli cioè che credono nel suo nome” (Gv1:12); e “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Rm8:9); e ancora: “ … la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figlio suo. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.” (1Gv5:11-13). Dovremo concludere che se dunque uno ha ricevuto Cristo e lo confessa come suo Salvatore e Signore, egli è figlio di Dio, egli è mio fratello, egli è cristiano! La sua vita è ormai in Cristo!
E la questione sorge. Come è possibile che una persona chiaramente convertita a Cristo continui a praticare il culto della creatura a fianco a quello del creatore? Conosciamo la risposta – teorica e del tutto inadeguata per noi – dei cattolici. Parlo della nota distinzione tra adorazione (latria) e i vari gradi di venerazione (dulia e iperdulia). Devo ammettere che mi risulta davvero difficile comprendere in che modo, convertiti a Cristo, si possano conservare, o perfino incoraggiare, pratiche e devozioni che, nel migliore dei casi – quando non ci sia (e spesso è il caso!) vera e propria idolatria – gravemente “distraggono”, quando non deviano e perfino allontanano, da Cristo. Ma questa è la “profezia” della Riforma e dei suoi figli. Questa è la nostra testimonianza! E ricordo a me stesso – sperando anche contro speranza – il cammino della mia conversione: Prima mi sono convertito a Cristo, e solo successivamente sono stato liberato da una serie di dottrine e pratiche che ancor oggi considero antiscritturali. D’altra parte poi penso: la storia ha le gambe corte … lo stesso avveniva in Israele … l’importante è avviare i processi …
D – Se ho ben capito, lei tende a distinguere i rapporti interpersonali da quelli tra le istituzioni, intendendo così dire che lei si limita ad avere comunione con le singole persone che nella chiesa cattolica a suo giudizio si configurano come credenti nati di nuovo. Premesso che io come lei, condivido il fatto che ci siano dei cattolici che amano il Signore sinceramente, ma che il rifiuto del peccato sia alla base della vera conversione, e l’idolatria, a mio modo di vedere è secondo le scritture il più grave dei peccati, ma qui stiamo parlando non di un semplice credente. Qui si tratta del capo di un sistema religioso apostata e idolatrico, che inganna le persone, ad esempio con l’idea di una sorta di prova d’appello post mortem; il purgatorio; con la dottrina delle indulgenze; con la dottrina della messa come rinnovamento del sacrificio di Cristo, che mediante l’eucaristia, e la transustanziazione consegna nelle mani del sacerdote il potere esclusivo di perdonare i peccati, tramite la confessione auricolare. Cosa mi può dire al riguardo?
- R. Premesso che la mia posizione dottrinale è simile alla sua, mi rallegra vedere che riconosce la possibilità dell’azione salvifica di Dio anche per i cattolici nella Chiesa Cattolica (“lo Spirito soffia dove vuole”). Direi dunque che stiamo convenendo in via di principio sulla possibilità della presenza dello Spirito Santo nella vita dei cattolici, dunque sulla possibilità della loro conversione a Cristo, di una loro relazione personale col Signore. Ora, mi consenta, una volta “acconsentita” (ma, chi siamo noi?), mediante la conversione, l’entrata e la presenza di Cristo in loro, stiamo ammettendo la possibilità della presenza anche nella loro vita del “solido fondamento” di Cristo. Su quel fondamento siamo a quel punto, sia loro che noi, chiamati a costruire la casa. E ci ammonisce la Scrittura: “Ora se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile … se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco.” 1Cor3:10-17.
Viene dunque fatta una distinzione tra fondamento e costruzione! E su modi e qualità della successiva edificazione. Quanti errori di costruzione nella storia! E’ però evidente dalle Scritture – ma poi dalla nostra esperienza! – che il primo frutto, anzi la prima evidenza della presenza di Cristo debba essere, e non possa non essere, la comunione col Cristo in noi e col Cristo nei fratelli. Dunque tra i fratelli! Con quelli cioè che, redenti dallo stesso sangue (Efesini) e generati dallo stesso seme (Pietro), sono “nati da Dio” (Giovanni). Che dunque la prima cosa da riconoscere e da costruire sul fondamento di Cristo, sia e non possa non essere la comunione con i fratelli! Come è scritto: “Se diciamo che abbiamo comunione con lui … abbiamo comunione l’uno con l’altro, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.” (1Gv1:6-7). E perfino: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli” (1Gv3:14). Dunque, sul fondamento della comune immersione/relazione con Cristo (Romani), il riconoscimento e la comunione (con parola greca: koinonia!) tra i veri cristiani. E’ la comunione dello Spirito, che scaturisce e discende dalla comunione con lo Spirito Santo.
E, partendo dalla protezione dell’unità dello Spirito (“Sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace!” Ef4:3) avanzare verso l’unità delle fede (13) e crescere verso Cristo (15), in vista dell’unità del corpo di Cristo (Ef4:16). Che discende dalla relazione di ognuno col capo, e il fondamento, che è Cristo. I sistemi teologici, anche quelli meglio calibrati dal punto di vista dottrinale, non possono prendere il posto della “esperienza” fondamentale e strategica della conversione personale, il posto della relazione personale con Cristo. E’ lì che avviene l’innesto! Lì l’immersione! Quello che conta in conclusione è essere salvati per grazia mediante la fede in Cristo! (Ef2:8-9). “Quello che importa è l’essere una nuova creatura.” (Gal6:15). Bene ha detto Benedetto XVI nel noto discorso di Erfurt: “E’ stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che ci separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico.”
D – Un ultima domanda; Cosa risponde a chi considera la sua scelta, di partecipare a eventi pubblici, anche a riti religiosi comuni con cattolici, e da ultimo con lo stesso capo della Chiesa Cattolica, possa ingenerare confusione nei più semplici, che potrebbero interpretare il suo comportamento come una legittimazione dell’idolatria e del paganesimo, così come paventato dall’Apostolo Paolo nella I lettera ai Corinzi, capitolo 8 versetto 10: “Perché se alcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio d’idoli, la sua coscienza, s’egli è debole, non sarà ella incoraggiata a mangiar delle carni sacrificate agl’idoli?”
- R. Premesso che non è all’ordine del giorno l’unità istituzionale con la Chiesa Cattolica, ritengo che non ci sia – come purtroppo alcuni ritengono – nessuna “contaminazione spirituale” nel partecipare come ospiti a cerimonie e riti cattolici. Per onorare magari fratelli, amici o parenti. Nella mia esperienza di credente e pastore evangelico c’è purtroppo la memoria dolorosissima di fratelli che – altro che “deboli” – “fortissimi”, si sono persino rifiutati di accompagnare, perché in chiesa cattolica, la figlia all’altare o la moglie morta al funerale. Partivano anch’essi da questa “sensibilità”? O magari dal timore degli idoli! Che, tra l’altro – lo ha chiarito l’apostolo già duemila anni fa – “non sono nulla”! Perché “non c’è che un Dio solo:” (1Cor8:4).
Detto questo, ha ragione! Dobbiamo muoverci con prudenza e sensibilità verso “i deboli”! Ma questa protezione va fatta a mio avviso con intelligenza. Se come pastore, dopo le esperienze di cui sopra, non mi fossi preoccupato di smontare i paradigmi separatisti ed eccessivamente difensivi di cui eravamo prigionieri, saremmo ancora fuori ai sagrati delle chiese cattoliche per i matrimoni e i funerali cattolici dei nostri familiari. Ritengo – ripeto – che la “protezione” dei deboli vada fatta con autentica spiritualità e intelligenza emotiva. Avendo cura di lavorare piuttosto, e con grazia, alla formazione di una autonoma, serena e matura coscienza cristiana. Certo libera da compromessi, ma anche dalle insicurezze che rischiano di consegnarci allo spirito minoritario all’origine delle paure e degli eccessi difensivi del passato.
Siamo chiamati a promuovere la formazione di cristiani pro-attivi e maturi. Considerando tra l’altro che l’immaturità diventa spesso motivo di scandalo per i non credenti. Per questo Paolo dice: “Mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvarne ad ogni modo alcuni.” E: “Con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge … Con quelli che sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza legge, per guadagnare quelli che sono senza legge … E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri.” (1Cor9:20-23).
Dico questo per un verso e per alcune situazioni. Ci sono poi altre opportunità e occasioni. Penso ad incontri come quelli dell’annuale settimana di preghiera o ad altri con i carismatici cattolici, in cui possiamo portare la nostra testimonianza e la nostra spiritualità per pregare e adorare insieme lo stesso Padre nel nome dell’unico Salvatore e Signore, Gesù Cristo, possiamo leggere e meditare insieme le Scritture. Sappiamo che possono capitare incidenti di percorso, ma la nostra volontà e posizione sarà, come è sempre stata, di rendere una testimonianza adamantina e senza compromessi. Il terreno sul quale faremo dialogo continuerà ad essere quello definito dal solo Cristo e dalla sola Grazia. La sola Scrittura come “norma normans” e “regula fidei”. Vale a dire come suprema e ultima autorità in questioni di fede e di dottrina.