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Giovanni Traettino
Paura ed insicurezza sono all’origine dell’atteggiamento che ha il mondo nei riguardi dei soldi. Ma l’esortazione di Gesù è: “Non siate con ansietà solleciti… il Padre vostro celeste sa …” Abbiate la fede e la serenità dei gigli e degli uccelli… È più facile credere per la vita o per il nutrimento? Per il corpo o per il vestito? … Il vostro occhio sia illuminato dalla fede, non dalla paura e dall’incredulità. Sia illuminato e riempito dal Regno, non dalla paura della povertà o dal desiderio delle ricchezze (vedi Matt. 6:19-34).
La fede è la nostra vittoria: ecco la chiave. Tutta la vita e l’insegnamento di Gesù e della chiesa neo testamentaria sono un inno a questa concezione della vita. Facciamo nostro il suo atteggiamento di riposo e di sicurezza. In questo modo ci sottrarremo a quei killers del mondo d’oggi che sono l’ansia e l’incredulità.
Un nuovo stile di vita
Certo, la corruzione, la violenza, il compromesso fanno parte di una mentalità che fa sentire tutto il suo peso anche sui credenti. Ma noi siamo portatori di una nuova mentalità, la quale non coltiva né l’ideale della povertà, né quello della ricchezza, ma del Regno di Dio. Alcuni saranno chiamati ad essere poveri per il Regno, altri ad amministrare la ricchezza per esso. Ma tutti sono chiamati ad uno stile di vita che abbia fatto i conti in maniera radicale con gli atteggiamenti del cuore e con gli scopi della vita, e che punti risolutamente lo sguardo verso Dio e l’opera Sua sulla terra. Tutti siamo chiamati ad operare, con la nostra povertà o con la nostra ricchezza, perché venga il Suo Regno.
Ognuno dunque sia “con animo contento del proprio stato”, ed impari a rimanere sereno in mezzo a tutte le circostanze (Fil. 4:11-13). Se no, corre il rischio di perdere la fede e di finire preda di ansie, paure e tormenti (1 Tim. 6:6-8).
La pace non dipende dal conto in banca, ma dalle attitudini. Altrimenti il Regno di Dio sarebbe dei ricchi. Gesù vuole assicurarsi un distacco profondo del nostro cuore dal denaro, di modo che la nostra “speranza non sia nell’incertezza delle ricchezze, ma in Dio” (1 Tim. 6:17).
Con questo non dobbiamo avere paura dell’abbondanza e del benessere, perché anzi Dio “ci somministra copiosamente ogni cosa perché ne godiamo… facciamo il bene… siamo ricchi in buone opere, pronti a dare, a far parte dei nostri averi in modo da farci un tesoro ben fondato per l’avvenire, a fin di conseguire la vera vita” (1 Tim. 6:17-19). Ma dobbiamo conservare uno stile di vita semplice, sobrio e misurato, godendo delle cose che Dio ci dà, ma considerando come segno della Sua benedizione abbondante tutto quello che va oltre i bisogni fondamentali (1 Tim. 6:8); pronti ad affrontare ogni evento con la sicurezza che ci deriva dall’avere il nostro cuore fermamente ancorato in Cristo e nel Suo Regno.
Bisogni e desideri
In questo cammino e necessario distinguere tra bisogni e desideri.
Cibo e vestiti sono i bisogni fondamentali che Dio ha promesso di supplire. Se i nostri figli ritengono di aver diritto a più del cibo e dei vestiti, stanno sviluppando un sistema di valori sbagliato (Fil. 4:19).
Tutte le altre cose (macchine, mobili, elettrodomestici, vacanze, divertimenti, vestiti alla moda, ecc.), che pure rendono la vita più piacevole e anche più produttiva, possono essere pure acquistati e goduti, ma nel rispetto di due criteri:
- Che non mi distraggano, ed anzi mi aiutino a realizzare gli scopi di Dio per la mia vita;
- Che l’acquisto possa essere effettuato solo dopo aver soddisfatto i bisogni fondamentali, aver fatto fronte ad impegni già assunti e tenendo conto del livello minimo delle mie entrate. È meglio avere fede “prima” che “dopo”!
I debiti
Non è nello stile del Regno fare debiti; neppure quando ci si deve sposare! “Non abbiate alcun debito” è il comando apostolico (Rom. 13:8). Aspettiamo quindi prima ad avere i soldi, e poi compriamo quello che ci serve. Forse dobbiamo scoprire un po’ di più l’uso delle cose di seconda mano.
Può essere però legittimo contrarre dei debiti per beni d’investimento, tipo una casa; o, eccezionalmente, per uno strumento di lavoro. Ma dobbiamo stare attenti a farlo con la massima saggezza e mettendoci in grado di fare le previsioni necessarie (Luca 19:11-27). Non tutti ne sono capaci. Perciò sarà bene sentire il pastore ed insieme con lui acquisire il parere di qualche fratello più esperto nel campo.
In tutto questo, comunque, stiamo attenti alle motivazioni del nostro cuore.
Il “come se non …”
Dove è il nostro cuore? Certo, possiamo godere di tutte le cose, ma dov’è il nostro cuore?
L’apostolo Paolo ci fornisce un’altra chiave per mostrarci l’attitudine che dobbiamo avere verso i soldi: “Quelli che comprano, siano come se non possedessero nulla, a quelli che usano i beni di questo mondo come se non se ne servissero. Poiché questo mondo così com’è, non durerà più a lungo. Vorrei sapervi senza preoccupazioni” (1 Cor. 7:29-32 TILC). È la chiave del come se non.
Il lavoro
Alcuni credenti “super-spirituali” hanno a volte interpretato l’insegnamento di Gesù – “Non siate con ansietà solleciti …” – come un’esortazione a trascurare il lavoro, o addirittura a non lavorare. Per altri, il lavoro è visto come un “male necessario”: aspettano solo che passino le otto ore per scappare a fare qualche altra cosa.
Dio, invece, ha lavorato per sei giorni. Solo al settimo si è riposato. Il lunedì è tornato ancora a lavorare! Parecchi cristiani vivono invece il lavoro come una condizione di condanna, nella frustrazione e nello scontento. Cercano perciò di prendersi il maggior numero possibile di giorni di vacanza e di “malattia”(!?), non facendo altro che pensare all’estate e magari alla pensione.
No, è volontà di Dio che l’uomo lavori! In Luca 19, Gesù fa capire che è interessato a che lavoriamo e siamo produttivi. Anche in cielo lavoreremo, e le nostre responsabilità saranno commisurate a quello che avremo fatto sulla terra. Il lavoro è stato dato all’uomo prima della caduta (Gen. 2:15). Lavorare è ancora una benedizione, come ben sanno quanti sono disoccupati e quanti si trovano in frustranti situazioni di “non lavoro” pagato. Non lavorare è una maledizione.
Lavorare per mangiare
“Noi vi ordiniamo nel nome del Signor nostro Gesù Cristo che… se alcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare” (v. 2 Tess. 3:6-12). L’insegnamento è chiaro: bisogna lavorare per mangiare. La gratificazione e la realizzazione potranno pure venire, ma non è principalmente in esse che bisogna ricercare la motivazione o la spinta per il lavoro.
Se dunque non c’è il lavoro che piace a noi, o per il quale abbiamo studiato, dobbiamo essere pronti a fare qualsiasi tipo di lavoro. Non possiamo più considerare alcuni lavori più “dignitosi” di altri. Ogni lavoro onesto è benedetto da Dio. D’altra parte, bisogna comprendere che la disciplina del lavoro è uno degli strumenti che Dio usa per formare il nostro carattere (1 Piet. 2:18-20).
Attitudini sul lavoro
Dobbiamo dunque sviluppare un certo tipo di attitudini sul posto di lavoro.
Lavorare per il padrone è un principio che si applica a tutte le situazioni di lavoro. Dobbiamo fare nostri gli obiettivi di chi ci comanda e lavorare per il suo successo. Ricordiamoci che lavoriamo nella vigna di un altro.
La Scrittura ci dice:
– di lavorare per il padrone come per il Signore;
– non per farsi vedere;
– con benevolenza;
– aspettando la ricompensa dal Signore (Ef. 6:5-8);
– di lavorare con equilibrio e con misura. C’è sempre il rischio di fare il saputo e il difficile (Eccl. 7:16);
– di essere degni della fiducia e diligenti (Luca 19:17);
– di essere contenti della paga (Luca 3:14).
Naturalmente ciò non toglie che Dio ordini ai padroni di dare una giusta paga; anzi, in questo quadro voglio dire che ritengo legittimo il ruolo del sindacato e quindi l’appartenenza ad esso. Il che non vuol dire che tutto quello che fanno i sindacati vada bene. I credenti vi si faranno portatori dello spirito di Cristo.
Lavoro a tempo pieno
Gli stessi principi si applicano ai servitori a tempo pieno (salvo, naturalmente, quello del sindacato!).
E’ un lavoro. La prima cosa che è utile sottolineare è che si tratta di un vero lavoro, spesso assai più faticoso e retribuito meno di un lavoro secolare, e che può essere altamente produttivo dal punto di vista sociale (per non dire spirituale).
Circola invece in certe chiese una mentalità mondana e carnale, secondo la quale il pastore fa un lavoro da “parassita sociale”. Ci si dimentica evidentemente di Gesù e dei suoi discepoli, “mantenuti da donne (Luca 8:1-3)!
Il diritto di essere pagati: sarà dunque un onore e un privilegio per le chiese provvedere ampiamente ai bisogni dei propri conduttori (Ebrei 13:5-7), non dimenticando che ne hanno il diritto, stabilito in maniera chiarissima in tutta la Parola di Dio (ad es. 1 Cor. 9:4-14, 2 Tess. 3:9), anche quando vi rinunciano o non lo rivendicano.
Tuttavia credo che alcuni ministri non debbano escludere la possibilità di ritornare per periodi, anche limitati, e sempre secondo la guida dello Spirito Santo, al lavoro secolare. Così faceva l’apostolo Paolo. Dobbiamo guardarci da una mentalità professionale, o anche “del posto”.
Dobbiamo anche rimanere con la mentalità della fede. Mille volte meglio non entrare nel servizio del Signore a tempo pieno se non abbiamo fede per le nostre finanze, che entrare e poi finire preda dell’ansia.
Prima di lasciare, tre anni fa, il lavoro che facevo per passare a `tempo pieno’, ho voluto essere assolutamente sicuro di alcuni fatti:
- Che le ragioni della mia chiamata erano in Dio;
- Che era Dio che mi ordinava di servirLo a tempo pieno, e in quel momento;
- Che la mia sicurezza era nel mio rapporto con Lui e non nel sostegno della chiesa, né nell’approvazione dei parenti e degli amici. (Tra l’altro, all’epoca non era sperimentata la capacità della comunità di provvedere un sostegno adeguato);
- Che mia moglie e i miei figli (anche se sentivano la pressione del dissenso sociale) vedessero la mia chiamata con altrettanta chiarezza;
- Che altri fratelli nel ministero, cui riconoscevo esperienza ed autorità spirituale, fossero convinti nel Signore della cosa, e mi incoraggiassero a fare il passo in questione.
Su questa base di assoluta certezza ho potuto licenziarmi, affrontare le critiche, le incomprensioni ed i “consigli” terreni di molti che mi volevano bene, e dire alla chiesa; “La mia chiamata viene direttamente dal Signore”.
Questa è una certezza che nessuno mi può togliere, perché è il Signore stesso ad averla scritta nel mio cuore. Da questa sicurezza deriva la mia felicità per la scelta che ho fatto.
Quando le cose stanno in questo modo, saremo liberi di insegnare con la massima chiarezza alla chiesa il nostro diritto, e. il loro dovere.
La disoccupazione
Nessuno più nel nostro paese è veramente povero. Nonostante le note difficoltà, l’Italia rimane tra i dieci paesi più ricchi del mondo. Anche i nostri «poveri» non sono da paragonarsi con i poveri dei tempi di Gesù, e neanche con quelli oggi nel Terzo Mondo.
Esiste tuttavia, e sia pure in questo quadro, un dramma della disoccupazione, della sottoccupazione, del lavoro precario, del lavoro «nero» e in maniera crescente della cassa integrazione.
Quali atteggiamenti dobbiamo prendere e quali suggerimenti pratici possiamo offrire?
– Innanzitutto è necessario liberarci della sfiducia e dell’incredulità, riaffermando con piena franchezza la nostra fede in un Dio che opera in questo mondo.
– Poi, i disoccupati devono essere pronti a fare qualsiasi tipo di lavoro: piccolo o grande, manuale o intellettuale. Per il credente non ci sono lavori troppo degradanti (pulizia, giardinaggio, facchinaggio, manovalanza, ecc.) Soprattutto, cerchiamo un lavoro per lavorare e per mangiare, non per non lavorare.
– Per quanto riguarda il lavoro non autorizzato e comunque non protetto, ritengo che sia urgente una seria revisione del problema, sia da parte dei politici che dei sindacati. C’è una “seconda società” nel nostro paese che avrebbe bisogno di essere aiutata a vivere senza complessi di colpa. Nel frattempo, è meglio per un credente lavorare senza ricevere tutto il salario, che essere disoccupato e senza alcuna garanzia sindacale o statale.
L’angoscia e la frustrazione che si accompagnano alla condizione di non lavoro sono cosa troppo grave per essere prese sotto gamba. Non dimentichiamo che la camorra, per esempio, è diventata da noi un fenomeno che investe migliaia di giovani, i quali si sentono probabilmente più garantiti da un capo-mafia che dalle istituzioni.
La famiglia della fede
Prontezza, liberalità, animo allegro, dimostrazione pratica di amore e solidarietà sono le attitudini che ogni credente deve sviluppare verso tutti, ma specialmente verso “quelli della famiglia della fede” (2 Cor. 8 e 9). Nessuno, nella comunità dei credenti, deve mancare del necessario, a meno che non sia per pigrizia, disordine personale e familiare, indisciplina. I nostri rapporti devono diventare una proposta ed un’attrazione per il mondo.
I credenti, dunque, si disporranno, come in una famiglia, a ricevere consiglio e direzione. A questo si accompagnerà, nei casi in cui è necessario e nella misura in cui è possibile, anche il sostegno economico. Tutto questo, stando attenti a non indurre anche involontariamente una de-responsabilizzazione di alcuni credenti particolarmente predisposti alla mentalità dell’assistenza.
Iniziative comunitarie
Nella comunità di cui sono pastore abbiamo aiutato diversi fratelli, con iniziative sia personali che comunitarie. In particolare, siamo più volte intervenuti con aiuti in soldi, quando c’era da sanare preesistenti situazioni di debiti o per emergenze. Lo abbiamo fatto con doni e con prestiti.
Abbiamo poi incoraggiato iniziative personali e comunitarie di lavoro: uno spaccio, un camion per trasporti, lavori di riparazione per appartamenti, una cooperativa per la casa. Tutte iniziative limitate e non perfette (in un caso abbiamo chiuso con un milione di passivo, in un’altra attività ci sono fino a questo momento alcuni milioni di deficit), ma che sono state utili ad alcuni fratelli almeno per certi periodi.
Nel frattempo, la fede non viene meno. È bello vedere fratelli che continuano a sacrificare il loro tempo, la loro capacità professionale, i loro soldi. Ce ne sono alcuni che danno fino al trenta e al quaranta per cento delle loro entrate; tanti che danno almeno il dieci per cento. Gloria a Dio! E’ entusiasmante vedere il Regno di Dio venire anche nelle finanze.
In questo modo diventa pratica e possibile la solidarietà, e il Regno di Dio può essere finanziato nelle sue molteplici attività.
Quelli che temporaneamente non sono occupati possono dare più tempo al Signore, ricordando che il tempo è denaro. Anche dando il nostro tempo diamo noi stessi per il Regno di Dio.