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di Massimo Loda e Roberto Bacicchi
Eravamo in collina. Uno splendido sole primaverile scaldava e rischiarava tutte le cose. Sembrava che anche il sermone avesse avuto un impatto nei nostri cuori più profondo del solito. Il Salmo 23 ci spronava a prendere in seria considerazione la nostra condizione di figli di Dio: “Io non temerò male alcuno perché Tu sei con me”. Una svolta radicale nella nostra vita che coinvolgeva il nostro corpo, la nostra anima e il nostro spirito. Assorti in meditazioni così profonde ci preparavamo ad affrontare benedizioni. Ma spesso gli incantesimi si rompono e così fu. Il figlio del predicatore era caduto e si era procurato una ferita. Alla vista del sangue, la madre, in preda all’angoscia terribile si mise ad urlare perdendo il controllo di sé. Dello splendido sermone “io non temerò alcun male perché Tu sei con me”, non era rimasto più niente.
Religione … o vita?
Una delle cose più diaboliche che il mondo e la sua cultura hanno inculcato nella mente dell’uomo è la separazione fra spiritualità e vita quotidiana.
“L’esperienza di Dio” è vista come un completamento della propria personalità, un ritocco finale per rendere più gradevole tutta la persona. E così si relega il rapporto con Dio a particolari momenti della giornata o della, settimana.
Una religione, vissuta a questo modo va bene alla nostra società, non la infastidisce perché rimane nel ghetto delle strutture ecclesiastiche, confinata ad un nucleo ristretto di persone con un minimo rischio di contagio.
Sembra di udire ancora l’antico compromesso che Faraone propose a Mosè in Esodo 8:28: “Offrite pure i vostri sacrifici, ma non andate troppo lontano”. Fate pure, quindi, i vostri culti, preghiere, canti, ma destate vincolati alla mentalità del paese, non allontanatevi da essa; potete essere cristiani e continuare a vivere come fanno tutti. Mosè non accettò. Non era possibile per il popolo di Dio celebrare l’Eterno senza tagliare con la vita, la mentalità e i costumi immorali del paese in cui vivevano. Dio voleva un popolo santo, appartato.
Anche noi nel XX secolo siamo assediati da tentazioni di questo tipo. La società nella quale viviamo sembra volerci condurre a continui compromessi. La nostra scelta, però, non è stata per un cambiamento di religione, bensì di vita.
Dio non sa cosa farsene di una religione differente, fosse anche evangelica. Egli sta cercando il cuore delle persone.
Il regno di Dio è venuto a noi, non perché facessimo chiese senza croci o senza candele, me perché esprimessimo tutto il Suo carattere, perché fossimo a lode della Sua gloria. Se il nostro essere evangelici non manifesta la vita di Gesù, allora siamo anche noi dei sepolcri imbiancati.
Noi, come popolo di Dio, siamo chiamati a vivere uno stile di vita differente. Siamo stati messi a parte, chiamati fuori, eletti per l’adempimento dei piani di Dio. Non è più la società che deve imporci i suoi modelli di vita, ma è la chiesa di Dio che sarà punto di riferimento per molti popoli (Isaia 2:3).
Non dobbiamo aspettare il millennio perché si adempia questa parola profetica, ma già oggi dobbiamo metterci in marcia, appropriandoci di ciò che Dio ha dato alla Sua chiesa.
Contagio
“Non farete quel che si fa nel paese d’Egitto dove avete abitato, e non farete quel che si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, e non seguirete i loro costumi” (Lev. 18:3).
I discendenti degli italiani emigrati in America nel secolo scorso, hanno perso quasi completamente la loro identità italiana. L’unico fatto che li fa riconoscere è forse il cognome italiano; ma usi e costumi di quella nazione sono ormai diventati i loro. Non dobbiamo pensare che solo perché amiamo il Signore, diciamo le nostre preghiere e abbiamo fiducia in Cristo, non veniamo influenzati dalla nostra società. Noi siamo un popolo in marcia verso la terra promessa, ma ci portiamo dietro i segni delle nostre lunga permanenza nel paese d’Egitto. Gli Ebrei nel deserto continuavano ed essere governati interiormente delle ansietà per il cibo, il bere e il domani, tipiche del paese in cui avevano vissuto, erano pronti e rimpiangere e desiderare ancora il passato pur con le sue schiavitù, si volgevano facilmente agli dei di un tempo (vedi l’episodio del vitello d’oro) perché non avevano sradicato l’Egitto che era dentro di loro e che, come una fortezza inespugnabile, li seguì per quarant’anni di pellegrinaggio, impedendo loro di giungere nella terra promessa.
Ma Dio vuole che, come Caleb e Giosuè, anche noi siamo animati de uno spirito diverso, quello spirito che sfida e abbatte i giganti che si elevano sul nostro cammino e che siamo riconosciuti come un popolo che è governato de leggi e costumi diversi da quelli di qualunque altro popolo o nazione in cui viviamo (Ester 3:8).
“Siate santi, perché Io son santo” è sempre stata, ed è ancora oggi, la chiamata di Dio per quelle nazione che sarà riconosciute come il Suo popolo.
Ma quali “fortezze” vogliono tenerci lontani del realizzare le chiamata di DIO e con quali “giganti” dobbiamo fare i conti?
Transizione
Stiamo vivendo in un periodo storico assolutamente particolare. Tutti i valori che hanno retto le società si stanno sgretolando. Ci troviamo in une fase di transizione in cui fra due generazioni esiste un baratro terribile.
Veniamo da una generazione che ha vissuto vittime di precetti, di leggi da osservare, di cerimoniali vuoti, di une religione sterile con un Dio inaccessibile.
La nuova generazione vive il rifiuto delle forme e, non conoscendo Dio in altro modo se non quello insegnato dai genitori, lo ha relegato all’ultimo posto della propria vita o addirittura lo ha escluso completamente. Alla religione priva di significato e di vita, si sta sostituendo l’indifferenza più totale. Il materialismo è il nuovo Dio. Il soddisfacimento dei propri interessi è lo scopo per cui si corre la corsa della vita.
Forse che la chiesa è esclusa da questo processo? No. Il processo che ci conduce ad essere trasformati, ed avere la mente di Cristo, non è automatico e comunque richiede tempo. La nuova creatura deve crescere e la vecchia deve continuare a morire. Certo non è facile, ma il nostro impegno è perché il regno di Dio venga con tutte la Sua potenza.
Quando però nella nostra vita, invece di far sedere Gesù sul trono, facciamo sedere il nostro io, allora il mondo s’impossessa di noi completamente. Per cui, se nelle alte sfere rubano, ci sentiamo autorizzati a fare dichiarazioni dei redditi false; se cerchiamo un lavoro, andiamo mendicando tutte le raccomandazioni possibili perché pere che sia l’unico metodo che funzioni; se non ci diamo da fare per diventare qualcuno nella vita, allora siamo dei falliti. Ma l’apostolo Paolo usa un’espressione molto forte nei confronti di tutte queste cose: le definisce “spazzatura” (Fil. 3:8).
Purtroppo dobbiamo riconoscere che la chiave di tutto è ancora una volta il voler essere indipendenti da Dio.
La realizzazione di se stessi, l’edonismo, il voler far colpo sugli altri anche a costo di pesanti debiti, continuano ad essere l’oggetto dei pensieri di molti. Ma la Scrittura ci invita e prendere in considerazione le cose che edificano (Fil. 4:8) e non perdere tempo e denaro in ciò che non ha la sua radice in Dio.
Al nato di nuovo quello che importa è di essere approvato dal Signore; egli trova la sua realizzazione in Gesù perché noi insieme siamo il Suo capolavoro o la Sua opera d’arte (“opera Sua”, Ef. 2:10) e siamo il compimento e la pienezza di Colui che porta a compimento ogni cosa in tutti (Ef. 1:23).
Anarchia
Quando non è più la legge di Dio a governare e dirigere la vita dell’uomo, ognuno fa quello che gli pare meglio (cfr. Giudici 17:6, 21:25), diventa legge a se stesso e si comporta come se fosse lui il padrone della sua vita.
In effetti, il declino morale della società intorno a noi è la conseguenza della mancanza e del rifiuto di assoluti. Privo di modelli che regolino la sua condotta, l’uomo può così decidere da sé come comportarsi, seguendo i propri capricci e punti di vista; mancando di modello “esterno” con cui confrontarsi, ritiene di essere nel giusto perché segue i suoi istinti. Anche le leggi del nostro paese testimoniano che un altro dio, l’umanesimo, ha dominio su di noi e che la premessa religiosa della democrazia è il famoso detto: “Voce di popolo, voce di Dio”.
Nella società è sempre più raro trovare uomini e donne che abbiano un autentico senso di responsabilità. Alle azioni morali si sostituisce sempre più la condotta etica di situazione, per cui una cosa va fatta o meno non se in se stessa è giusta, ma se io mi sento di farla. I sentimenti diventano la guida che decide la bontà o meno di una mia azione. Per cui, se un bambino nascituro disturba la mia quiete emotiva, è “giusto” abortire; se non “sento” più di amare mia moglie o mio marito, posso divorziare. “AI cuore non si comanda”, “Io sento che …”, “Non ci vedo niente di male” sono le frasi più ricorrenti che si odono intorno a noi.
Non solo, ma quante volte anche per noi credenti i sentimenti possono diventare la nostra guida, e quindi preghiamo, andiamo al culto, ubbidiamo al pastore, se ci sentiamo di farlo, ma, se non lo sentiamo, pensiamo di poterne fare a meno, anche se le Sacre Scritture ci indicano il contrario. Quante volte le conversioni rischiano di essere solo delle “esperienze emotive” che poi passano per far tornare il nuovo convertito alla situazione precedente! È bene ribadire che per Dio le emozioni non devono mai essere la guida delle nostre azioni, ma devono essere portate a sottomettersi alla Sua volontà; nei conflitti fra ciò che è Sua volontà rivelata e i miei sentimenti naturali, deve essere la prima ad avere la meglio.
La Parola di Dio ci dice che siamo responsabili dei nostri atti. Invece la mentalità odierna è serva della scappatoia più vecchia del mondo che già Adamo ed Eva provarono senza successo: scaricare la colpa sugli altri. C’è sempre qualcun altro a cui dare la colpa se io mi comporto in un certo modo: i miei genitori o le circostanze o la società. Fra i credenti la moda più ricorrente è di dare a Satana la colpa di tutto: è lui che mi fa cadere, è lui che mi porta ad agire male e io non posso farci niente. Ma la Parola di Dio ci dice che “ognuno è tentato dalla propria concupiscenza” (Giac. 1:14-15), e ancora Dio disse a Caino: “Se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri son volti a te; ma TU LO DEVI DOMINARE” (Gen. 4:7). Siamo responsabili dei nostri atti; altrimenti, non si capirebbe perché, con tutte le colpe di Satana, alla fine verranno giudicati i peccatori ribelli!
Educazione
Stiamo infine assistendo alla graduale dissoluzione della famiglia. Fino a poco tempo fa la responsabilità dell’istruzione dei figli in campo morale era affidata saldamente ai genitori. Ma anche qui l’umanesimo ha posto oggi una sfida alle famiglie. I genitori subiscono sempre più l’insegnamento che non è bene disciplinare e correggere i propri figli, perché, crescendo, impareranno da soli a fare le loro scelte in campo morale senza che la famiglia debba imporre loro un modello di vita, e che questo sarebbe un usare violenza al bambino e reprimerlo nella sua crescita. Così alla fine i figli ricevono l’educazione dalla scuola o dalla compagnia di amici sbandati e lasciati in balia a se stessi, e il risultato è che presto imparano, grazie anche all’influenza della vita sociale e della televisione, a resistere all’autorità dei genitori. Di conseguenza, i genitori non hanno più oggi l’influenza morale che avevano una volta sui figli. I risultati finali sono ben evidenti intorno a noi, e vanno dalla droga, ad una vita immorale e ribelle.
Ma la Parola di Dio non dice che l’unico compito dei genitori sia quello di assicurarsi che ai figli non manchi il cibo, il vestiario o i giocattoli, anzi dà dei consigli che pongono sulle spalle della famiglia l’educazione morale dei figli. Molte conseguenze future potrebbero essere evitate se i genitori mettessero in pratica quanto scritto in Proverbi 13:24, 22:15, 29:15-17.
Proverbi 20:11 inoltre ci dice che già dal comportamento del fanciullo si può vedere quale sarà il suo modo di vivere da adulto. Bisogna intervenire fin quando c’è tempo.
In campo è anche importante che i credenti non deleghino l’educazione cristiana dei figli alla scuola domenicale o alla chiesa, ma che si accertino che la casa sia il centro in cui questi ultimi ricevono guida istruzione ed esempio di vita. Una vita che contraddicesse di fatto quanto i genitori dicono di professare preparerebbe una generazione di potenziali ribelli nemici di un Vangelo che non trasforma gli individui e non sembra dare una risposta soddisfacente ai loro problemi. Dio, infatti, ha sempre stabilito che la famiglia fosse il nucleo della società e che in essa i figli ricevessero la formazione ad una vita timorata di Dio, stimolati dall’esempio di santità ed ubbidienza dei genitori (Deut. 6:5-9).
Siamo anche assediati, in questi tempi, da una raffica di divorzi, amore libero e coppie che convivono fino a quando va bene ad entrambi. Il senso del matrimonio come patto per la vita fra due persone è sempre più estraneo alla società di oggi. Ognuno vuole essere libero da ogni vincolo e pronto ad uscire da una relazione se non gli va più bene. Anche qui, quelli che più di ogni altro risentono di questo stato di cose sono i figli.
Diventa sempre più necessario per i coniugi cristiani mostrare al mondo che il vincolo matrimoniale è una cosa santa e che lo stare insieme non si basa su sentimenti mutevoli o una semplice attrazione fisica, ma su un fondamento più profondo e un impegno l’uno verso l’altro che le circostanze o le difficoltà non possono e non devono scalfire.
Alternativa?
Esiste perciò una cultura, un modello di vita che è uguale per tutte le latitudini, popoli e nazioni di questa terra. Possono variare i cibi, il modo di vestire, e tutto ciò che è esteriore, ma rimane vero per Italiani, Russi e Americani il fatto che dobbiamo esporre quella cultura del regno di Dio, contrapposta alla Babilonia del tempo presente, con i suoi modelli sofisticati di umanesimo, peccato e ribellione.
Come è scritto in Deuteronomio 4:5-8, siamo una nazione governata da leggi particolari. Dio ci ha chiamati ad uscire da quel deserto dove ognuno fa ancora quello che gli pare bene (Deut. 12:8) perché si porta dietro il ricordo e le attitudini dell’Egitto, e ad entrare in quella terra promessa in cui Egli è il Sovrano ed in cui la Sua legge, scritta nei nostri cuori, è l’unico metro di ciò che è bene e ciò che è male ed offre un modello positivo di vita santa in mezzo ad una società perversa.
“Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; ed io vi accoglierò, e sarò per voi come un padre e voi mi sarete come figlie, dice il Signore onnipotente” (2 Cor. 6:17-18). Gesù non pregò il Padre perché noi fossimo tolti dal rotondo, ma perché il mondo fosse tolto da noi.
Da chi prendo le direzioni per la mia vita, dalla società o dalla legge di Dio? Cosa cerco, quello che mi fa sentire bene o la Sua volontà? A quale nazione appartengo, a quella santa di Dio o a quel popolo la cui radice è in Babilonia?
Le promesse che il Signore ha rivolto al Suo popolo sono meravigliose ed è desiderio di Dio che possiamo impossessarcene; ma la condizione è che la nostra vita esprima effettivamente la giustizia, la santità del Suo regno (Rom. 14:17).
“Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio” (2 Cor. 7:1).