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di Ernesto D. Bretscher
La città di Samaria era assediata dai Siri, esercito potente e numeroso che la stringeva ormai da tempo in una morsa terribile. Il cibo era venuto a mancare del tutto e gli abitanti cominciarono a patire la fame in modo drammatico. Talmente era grave la situazione che delle madri arrivarono addirittura a mangiare i propri figli! Ogni speranza di liberazione era ormai svanita.
Ma quattro lebbrosi, che si erano rifugiati vicino alla porta della città, patendo pure essi la fame, decisero di andare dai Siri. “Se rimaniamo qui – pensarono – moriremo di sicuro. E allora tanto vale tentare: forse ci uccideranno, ma può anche darsi che ci diano da mangiare”. E così, quella notte, vi andarono; ma quale non fu la loro sorpresa quando, giunti all’accampamento nemico, non vi trovarono nessuno! Sì, i Siri erano fuggiti, abbandonando tutto: armi, cavalli, soldi, gioielli, cibo e vestiti … Erano scappati via perché spaventati da Dio. Immaginatevi i quattro lebbrosi: non si fecero certo pregare! Si buttarono sul cibo e mangiarono fino a sazietà. Poi fecero man bassa dei tesori e dei vestiti, che cominciarono a riporre in un luogo nascosto.
Improvvisamente, uno di essi si fermò e disse ai compagni: “Noi non facciamo bene: questo è un giorno di buone notizie, e noi non diciamo niente! Se aspettiamo finché si faccia giorno, saremo biasimati da tutti. Su, andiamo ad informare la casa del re!” Lascio alla vostra immaginazione la conclusione della storia (1) … sulla quale ritorneremo più avanti.
Egoisti
Quanti di noi siamo protagonisti di una storia molto simile a questa … con la differenza, però, che spesso continuiamo a pensare soltanto a noi stessi! Ci teniamo a ricevere continuamente da Dio. Settimana dopo settimana il nostro solo pensiero è quello di accumulare benedizioni, incoraggiamenti, protezione divina, cura pastorale, amore fraterno, e così via. Pensiamo solo a soddisfare i nostri svariati bisogni. E diciamo: “Grazie a Dio, il “cibo” ed i “tesori” a nostra disposizione non si esauriscono mai. Abbiamo un Signore che ci ama, si prende cura di noi, ci ammaestra, ci protegge, ci benedice e soprattutto ci assicura un posto in paradiso. Noi non dobbiamo preoccuparci, noi siamo salvi!”
Tutt’al più ci preoccupiamo dei nostri parenti stretti e di qualche amico particolarmente caro; ci capiterà di pregare perché si converta giorno in cui dovessimo scoprire il rimedio, una nuova responsabilità viene a gravare sulle nostre spalle.
Se in un giorno di tempesta vedessimo crollare il ponte della ferrovia su un torrente in piena, non ce ne rimarremmo tranquilli come se nulla fosse! Andremmo di corsa al primo telefono per avvertire del fatto, e questo perché ci sentiremmo responsabili di evitare una tragedia e di salvare tante-vite umane. E così dovrebbe essere per noi cristiani. Infatti, non è una novità se dico che sappiamo tutti di dover evangelizzare: solo che… aspettiamo le occasioni più propizie per farlo: Intanto moltissima gente muore, forse senza essersi potuta riconciliare con Dio, e così è destinata a dover fare i conti con l’ira ed il giudizio di Dio. “Quando avrò detto all’empio: ‘Empio, per certo tu morrai!’; e tu non avrai parlato per avvertire l’empio che si ritragga dalla sua via, quell’empio morrà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano” (5).
Quindi la responsabilità c’è ed è anche pesante! D’altra parte è pur giusto che sia così, in quanto la maggior parte di noi è venuta al Signore perché qualcuno ci ha parlato di Gesù. Altrimenti potremmo essere ancora nell’angusta prigione del peccato. Ma ora Dio ci ha benedetti e continua a benedirci. Perché non farne parte agli altri?
Sento però già obiettare: “Ma è inutile, ci ho provato chissà quante volte, ma non mi ascoltano!” Al che rispondo:
- Dio non ci chiede di evangelizzare solo quando troviamo gente disposta ad ascoltarci: ci chiede semplicemente di evangelizzare.
“Predicate (annunciate) il Vangelo ad ogni creatura” (6). La responsabilità della risposta è di chi riceve l’annuncio; la nostra è di comunicargli il messaggio nel modo giusto.
- Siamo chiamati a rendere testimonianza della nostra esperienza con Gesù, non a “fare da maestri” alla gente. Troppe volte “evangelizzare” significa per noi. cercare di convincere la gente che sbaglia. Immaginiamo quali sarebbero stati i risultati se i nostri lebbrosi si fossero espressi in questi termini: “Voi sbagliate a restare in quella fetida città di Samaria, dove c’è fame, sete, cannibalismo, violenza! Fareste meglio a venire fuori e-stare con noi, perché noi abbiano trovato il vero cibo, cibo succulento, e in più tanto oro- e argento e vesti stupende. Se uscite dalla città, vi porteremo nell’accampamento dei Siri; là sì che c’è cibo in abbondanza!”
Parlando in quel modo, pur. dicendo la verità, avrebbero forse convinto la gente della loro esperienza? Ho i miei dubbi! Piuttosto avrebbero dato l’impressione di essersi venduti ai Siri e di parlare da traditori! Ma spesso è proprio così che noi parliamo alla gente, e poi ci meravigliamo se non ci ascolta e ci prende per, fanatici religiosi. Limitiamoci dunque ad essere testimoni del fatti vissuti con Gesù! L’ammaestramento verrà dopo, quando avranno confrontato la loro vita con la nostra ed avranno capito che stiamo vivendo quello che essi vorrebbero vivere. Allora saranno aperti ad ogni ulteriore discorso, e dalla diffidenza passeranno all’interesse.
- La risposta
Se il messaggio viene dato nel modo giusto e parla di fatti e non di teorie, dottrine o convinzioni religiose, la gente viene sfidata a prendere una decisione. Può ignorare il messaggio, prenderci per fanatici o per ingenui, o peggio, per traditori, ma non potrà contestare la nostra esperienza con Gesù, anzi le si presenterà sempre più forte il dubbio: “E se dicesse il vero…? Dopotutto, sembra proprio vero che la sua vita sia cambiata, sembra stare molto meglio di prima, meglio pure di noi. Ma cosa può essergli successo?”
Questo dubbio sarà la molla che li spingerà a “curiosare”. Ma non potrò mai sottolineare a sufficienza che non sono tanto le nostre parole a suscitare interesse nelle persone, quanto quello che ci sta dietro, e cioè:
- a) una nostra esperienza iniziale vera e forte con Gesù;
- b) una vita in fase di profondi e visibili cambiamenti in meglio;
- c) un rapporto continuo con lo Spirito Santo tramite una costante vita di preghiera quotidiana;
- d) un rapporto autentico con le altre membra del Corpo di Cristo di amore, stima, rispetto e sottomissione;
- e) un’attitudine di umiltà, altruismo, sensibilità e compassione per le persone che ci circondano.
Questi sembreranno a prima vista requisiti troppo impegnativi, e certamente non sono cose facili, ma se vivremo ogni giorno con Gesù, essi saranno tutti presenti nella nostra vita. È Lui l’artefice di questo “miracolo” quotidiano.
Se invece non viviamo questa realtà, stiamo ancora vivendo in Samaria e quindi non possiamo evangelizzare nessuno. Faremo certamente “fiasco” in quanto avremo in bocca solo un parlare vuoto che non è una “buona notizia” per la gente, ma solo parole dettate dalla nostra presunzione.
Dunque …
In pratica, allora, come evangelizzare?
Non tutti siamo chiamati ad essere degli evangelisti, ma tutti siamo chiamati ad essere dei testimoni e ad evangelizzare; solo che spesso, non sappiamo come e cosa fare.
- Prima di ogni altra cosa, bisogna pregare, chiedendo al Signore di darci un cuore che ami le persone, una profonda passione, sensibilità e tatto, nel caso non avessimo ancora queste doti.
- Vedere in ogni persona una creatura preziosa agli occhi di Dio, non meno di quanto lo siamo noi.
- Studiare i modi come raggiungere queste persone, chiedere consiglio al Signore ed ascoltare quanto Egli ci dirà. È un fatto che la vita moderna è piena di attività e imprevisti per cui spesso non rimane tempo per coltivare amicizie, contatti, rapporti. Il Signore può illuminarci con delle idee originali e anche facili da realizzare.
Ricordo che quando il Signore mi chiamò ad iniziare, con mia moglie, una testimonianza nella città di Salerno, non sapevo proprio come incominciare. Non conoscevamo nessuno, non capivamo il dialetto e ci sentivamo soli e impotenti. Pregammo e rimanemmo in attesa di una risposta, che presto arrivò: “Scrivete la vostra testimonianza, stampatela, mettetela in busta e distribuitela nelle case della città”. Un lavoro enorme ci attendeva: feci stampare 70.000 lettere che portai di casa in casa. I risultati furono immediati, tanto che poche settimane dopo, iniziarono i primi contatti e quindi le prime decisioni per Gesù. Iniziammo degli incontri in casa nostra e un anno dopo potemmo aprire un locale di culto. Il Signore ci aveva mostrato come iniziare. Ci costò lavoro e sacrificio ma ne valse la pena!
Un modo molto semplice di rendere testimonianza è infatti proprio quello di scrivere la propria testimonianza sotto forma di lettera (metodo che consiglio alle casalinghe) da distribuire ad amiche o nelle buche da lettera delle case dei vicini, oppure in forma di opuscolo (per chi lavora fuori ed ha contatto con tanta gente) da tenere sempre in tasca pronto da dare a tutti: colleghi, amici, impiegati, negozianti, distributori di benzina, ecc.
Fate il vostro scritto breve e parlate di fatti, episodi, esperienze forti con il Signore. Alla gente piace leggere i fatti degli altri! Se prima di conoscere il Signore avete vissuto delle esperienze drammatiche che vi hanno portato ad incontrarLo, raccontatele brevemente. E dite pure cosa vi è successo dopo avere conosciuto Gesù. Attenetevi alla realtà, senza esagerazioni. Fate però riferimento al beneficio che avete dal vostro inserimento nella comunità che frequentate. Non dimenticate di mettere il vostro indirizzo e recapito telefonico, e, se è possibile, anche quello della comunità con l’orario del culto più adatto alle persone interessate.
Amicizie
Un altro modo è quello di farvi quanti più amici potete. Sappiate ascoltarli; chiacchierate dei loro argomenti preferiti per quanto è possibile e nei limiti del buon costume. Prima di iniziare a rendere loro testimonianza, cercate di approfondire l’amicizia. Se avrete un opuscolo – di preferenza uno che parli della vostra esperienza – darete lo spunto per iniziare un dialogo sulle cose del Signore. Non forzate, non contraddite i loro argomenti, ma piuttosto ascoltateli e limitatevi per ora a parlare solo della vostra esperienza: sarà il vostro punto forte. Nessuno potrà mettere in discussione la vostra esperienza.
Evitate quindi di lasciarvi andare a lunghe discussioni sull’esistenza di Dio, sulla validità della religione, ecc. Soprattutto, non contestate né screditate – per ora – l’eventuale credo religioso dei vostri interlocutori, ma abbiatene rispetto! Questo è sensibilità! Rischiereste di chiudere la porta su ogni ulteriore discorso.
Abbiate in voi sempre un atteggiamento di riposo, di rispetto delle idee altrui e di stima delle persone. Non vi ponete mai sulla difensiva, non vi arrabbiate se vi contraddicono. Chi vi contraddice, infatti, ha spesso paura che abbiate ragione e cerca di provare il contrario. Rimanete dunque in un atteggiamento di questo tipo: “Amico mio, questi sono i fatti da me sperimentati che mi hanno portato a riconoscere in Gesù il mio Signore. Tu puoi fare le valutazioni che credi più opportune. Io Gli sono grato per avermi incontrato, e avrei piacere se anche tu potessi fare una simile esperienza. Tutto qui.”
E quindi rimanete cordiali, gentili, disponibili nei loro confronti anche se dovessero assumere atteggiamenti ostili. Sono questi i fatti che convincono maggiormente. Infine, pregate ogni giorno per loro. Compilate una lista dei loro nomi – per evitare di dimenticarli – e invocate la grazia di Dio per loro. “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato.” (7) “… affinché il rimanente degli uomini e tutte le genti, su cui è invocato il mio nome, cerchino il Signore.” (8)
Il nostro linguaggio
Chi conosce il Signore da diverso tempo si è abituato al linguaggio della Bibbia. Ma le nostre Bibbie hanno un linguaggio che spesso non è facilmente comprensibile in quanto le traduzioni che solitamente usiamo sono piuttosto vecchiotte. Quando evangelizziamo, dobbiamo parlare come la gente parla, per cui certe espressioni bibliche saranno espresse meglio usando frasi e parole più correnti. Neanche bisogna dimenticare che parole come “peccato”, “santificazione”, “salvezza”, “perdizione eterna”, “inferno”, “diavolo”, ecc. non hanno più molto senso per la gente di oggi.
Dire alle persone: “Quando ho accettato Gesù ho ricevuto pace, gioia e felicità nel mio cuore” non trova più riscontro in loro. La stessa cosa potrebbe essere detta così: “Da quando Gesù fa parte della mia vita, ho ritrovato la serenità, un profondo senso di appagamento ed una sicurezza tutta nuova nel profondo del mio essere”. È così che parla la gente oggi!
Se parlate di “peccato”, spiegate che peccato è ogni forma di indipendenza, disobbedienza e ribellione nei confronti di Dio. Non date mai per scontato che, citando i versi della Scrittura così come sono scritti, le persone ne colgano il vero significato. Gesù parlava alla gente in aramaico, benché la maggior parte delle Scritture allora esistenti fossero in lingua ebraica: questo perché quando parlava, voleva che tutti capissero. Mettete dunque da parte senza scrupoli il linguaggio “biblico” quando evangelizzate, e se citate dei versi, abbiate cura di tradurli poi in lingua corrente! (Può rivelarsi utile una traduzione moderna della Scrittura).
Bisognosi
Vi è ancora un modo di evangelizzare con successo: notare i bisogni delle persone, e venire loro incontro proprio su quel terreno.
Alcuni possono avere avuto un gran dolore: date loro la possibilità di confidarvi le loro pene e ascoltatele con attenzione. Alla fine non aggiungete nulla, non commentate, non raccontate fatti simili accaduti ad altri: non serve a nulla. Non vogliono sentire parole, vogliono sentire il vostro amore, per cui se è possibile stringetele nelle braccia e ponete la vostra mano sulla loro e chiedete loro se potete pregare per loro. Nella maggior parte dei casi accetteranno.
E quando pregate per loro, non preoccupatevi del posto dove vi trovate: per strada, sul tram, in treno, in ufficio, in negozio… Esse hanno bisogno di voi, in quanto membra di Gesù, in quel preciso momento. Pregate per loro con tutto l’affetto di cui siete capaci. Promettete di risentirvi con loro e con discrezione allontanatevi. Lasciate ora il campo a Dio. In un secondo tempo, saranno disponibili ad ascoltare la vostra testimonianza ed eventualmente, su vostro invito, a seguirvi anche in comunità.
Altri possono essere stati colpiti da una grave malattia. Andate a trovarli, ascoltateli e dite loro che Gesù li ama e vuole perdonare i loro peccati e guarirli dalle loro infermità. Quindi chiedete se potete pregare perché Dio nella Sua misericordia li guarisca. Se sono d’accordo, ponete la vostra mano sulla loro spalla o sulla mano e pregate il Signore di esprimere loro il Suo amore guarendole. Poi salutate senza fare commenti: lasciate a Dio il campo libero.
Ciò li farà riflettere, soprattutto quando Dio volesse decidere di toccarli. Tenetevi in contatto, magari tornando a visitarli, senza preoccuparvi dell’esito della preghiera. Dio decide se, quando e come operare. Non promettete nulla, tranne l’amore e l’interesse di Dio per loro. Se dovesse essere necessario un aiuto pratico, mettetevi subito a disposizione, anche se vi costa sacrifici. Questo parlerà più di qualsiasi parola.
Ricordatevi sempre che siete l’espressione e il riflesso del Signore Gesù e che Lui può parlare solo attraverso la vostra vita, le vostre parole, le vostre azioni, e può toccare solo attraverso le vostre mani per benedire, consolare e guarire. Rimanete semplici, umili, pratici con un rapporto continuo con lo Spirito Santo. Così sarete strumenti preziosi nelle mani di Dio per benedire e salvare tante persone.
Noi andiamo nel mondo nelle veci di Gesù: siamo le Sue mani, i Suoi piedi, la Sua voce. Questo significa essere il Corpo di Cristo!
(1) 2 Re 6:7
(2) 1 Gio. 1:1-3
(3) At. 1:8
(4) 2 Re 7:9
(5) Ez. 33:8
(6) Mc. 16:15
(7) Gio. 6:44
(8) At. 15:17