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Giovanni Traettino
In questo numero su “La grazia e la legge” non poteva mancare qualche considerazione sul ministero cristiano.
Sono i ministri infatti quelli che con la loro predicazione, la loro vita, il loro insegnamento e la disciplina che esercitano nei riguardi della chiesa, possono indurre questa o quella comprensione della legge e della grazia.
Due tipi di leaders
Quante volte abbiamo pensato o sentito dire del responsabile Tal dei Tali: “Ah, è proprio un legalista. E duro, impaziente, aspro. E come se stesse sempre lì a giudicarti. Magari sarà pure onesto nel suo amore per i fratelli. Ma è un amore così generale. Quando sei a tu per tu con lui, senti così di frequente il disagio, la difficoltà, la freddezza. Temi continuamente che i tuoi incontri con lui possono diventare dei confronti o degli scontri.”
Di quell’altro responsabile abbiamo invece pensato o sentito dire: “È pieno di grazia. Anche quando ti riprende, la fermezza non cede mai alla durezza e all’asprezza. È paziente, è gentile, ti incoraggia.”
Un onesto legalista
Certo, sono passati molti anni dai tempi di Gesù ma, nonostante la “sana dottrina” e la buona teologia è possibile trovare in molte chiese dei bravi ed onesti campioni della “legge”. Intendiamoci: certamente non promuovono le leggi cerimoniali del tabernacolo di Mosè. Ma … le forme convenzionali della pietà … il rispetto umano … E poi … quadrati, triangoli, superfici piane. Superfici, superfici, superfici. Hanno l’uso perfetto delle prime due dimensioni. Mancano del tutto o quasi della terza e della quarta. Se fosse possibile, vorrebbero delle città fatte solo di cubi e parallelepipedi. Già la sfera crea in loro del disagio. L’umanità sarebbe migliore se tutti avessero la stessa altezza, gli stessi ritmi di crescita, lo stesso peso. Preferiscono pensare alle persone per ceto, per soldi, per cultura, per professione, per esperienze, per provenienza di quartiere, di città o di regione, e magari per colore della pelle. Quello che divide o, separa è sempre più presente di quello che unisce. La condanna e il giudizio per il peccato sempre più in evidenza della misericordia, del perdono, dell’amore. Hanno bisogno di schemi, di scatole, di riquadri, di blocchi nei quali sistemare le persone, gli avvenimenti, i rapporti, in una parola: la vita. I loro occhi hanno il potere di incantare ed imbalsamare le cose. La loro esigenza fondamentale è di misurare e misurarsi. Sono condannati a rimanere alla superficie… per incomprensione, per insicurezza, per paura. Soprattutto: hanno scarsa o nessuna fiducia nel cambiamento, nel rinnovamento, nella novità. Il legalista è uno che alla radice delle sue difficoltà ha un problema di fede.
La maschera e il cuore
Non c’è niente da fare. È quando la Parola (la dottrina, la teologia…) diventa carne in Tizio, Sempronio o Caio che acquista questo o quel taglio, valore o significato. La nostra teologia viene colorata dalla nostra esperienza umana e spirituale.
È perciò assolutamente necessario che noi siamo “ministri del nuovo patto”, che abbiamo una profonda esperienza e rivelazione personale della grazia.
Il ministero è solo la continuazione della vita. Non puoi andare in giro con la maschera della grazia, della misericordia, del perdono e dell’amore, se tutto questo non è profondamente scritto nel tuo cuore.
Alcune riflessioni mi hanno aiutato a crescere in questa direzione:
- La chiamata al ministero è frutto della scelta sovrana di Dio. Non di mie qualità o attributi particolari.
- L’origine e la ragione d’essere del mio ministero sono da ricercare nella misericordia di Dio (2° Cor. 4:1).
- Ogni mio vanto è escluso perché io rimango un “vaso di terra” (2° Cor. 4:7). Questo, nonostante la gloria delle rivelazioni e della potenza affidatemi da Dio.
- Le rivelazioni e il deposito che portiamo in noi sono frutto dell’iniziativa di Dio il quale decise di “risplendere nei nostri cuori” (2° Cor. 4:6) svelandoci il significato e la forza della Sua grazia.
- La nostra capacità di essere ministri del nuovo patto dipende da Dio che ce ne ha reso capaci (2° Cor. 3:6). Non possiamo quindi vantarci dei risultati del nostro ministero (“Cominciamo noi di nuovo a raccomandare noi stessi?” 2° Cor. 3:1).
- Noi siamo concretamente esposti al rischio di essere ministri del vecchio patto. Non è questione soltanto di dottrina o di confessione di fede. È questione di mentalità e di attitudini nei riguardi di Dio, di noi stessi e dei fratelli. Posso predicare domenica dopo domenica “la sana dottrina”, ma trasmettere solo norme, leggi e schemi senza vita. Rischio di rimanere sempre alla superficie della vita, delle persone e delle cose.
Scrivendo ai Corinti (2° lettera, capp. 3 e 4), Paolo è fiducioso perché sa di avere scritto non in modo legalistico, alla superficie (“su tavole di pietra”), ma in profondità, con spirito di rivelazione, da cuore a cuore, da spirito a spirito. E questo non si cancella.
Possiamo scrivere nel cuore delle persone solo ciò che per rivelazione è stato scritto da Dio nei nostri cuori.
Possiamo scrivere nel cuore delle persone solo quello che ci ha rivelato Dio per quella persona.
E dunque vitale che rimaniamo sotto l’unzione di Dio, perché quando va via l’unzione rischiamo di supplire solo con l’abilità.
Ricordiamoci che lo scopo del ministero non è quello di realizzarsi, ma quello di servire, che lo scopo del ministero non è quello di ottenere una posizione di privilegio o di prestigio, ma quello di fare un lavoro.