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di Geoffrey Allen
Per costruire delle chiese locali sane e forti – avanguardia del Regno di Dio sulla terra – è necessario mettere in atto i principi, le strutture ed i meccanismi giusti. Ma non è sufficiente. Il Regno di Dio comincia “dentro di noi”, nei cuori e negli atteggiamenti. La chiesa non potrà mai essere costruita “secondo il modello”, se i cristiani non avranno il cuore e l’atteggiamento di Cristo: il cuore di un servo.
Il Suo corpo
Gesù, infatti, così definisce i motivi della Sua venuta: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, é per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Mc. 10:45). Per fare queste cose, Egli si è “incarnato”: cioè, non è rimasto puro spirito, ma ha preso un corpo fisico come il nostro. Attraverso questo corpo, ha servito i bisogni della gente ed è morto in croce per i nostri peccati.
Ora, però, la Bibbia ci dice: “Voi siete il corpo di Cristo …” (1 Cor. 12:27). La ragione d’essere della Chiesa sulla terra, quindi, è di essere “Cristo” – cioè, “l’Unto” – sulla terra e di continuare la stessa opera da lui iniziata (cfr. Atti 1:1-2). Certo, non possiamo più dare la vita come prezzo di riscatto per i peccati – questo l’ha fatto Lui una volta per sempre sulla croce – ma possiamo e dobbiamo, come Lui, servire. La Chiesa è, per sua natura, una “Chiesa serva”; e se non lo è, la sua presenza sulla Terra non ha più senso. Potrebbe già andarsene in cielo per dedicarsi all’altro grande scopo della sua esistenza: lodare e adorare Dio davanti al Suo trono.
Cristo, dunque, è il nostro modello di servizio. È necessario, perciò, che ci accingiamo ai servizio con le stesse attitudini.
Insoddisfatti
Sin dall’inizio della storia, l’uomo è un eterno insoddisfatto: c’è dentro di lui un desiderio incontentabile di fare nuove conquiste, raggiungere nuovi traguardi, superare gli altri. Quando non c’era più nulla da esplorare sulla Terra, questo desiderio lo ha spinto fino alla Luna… e, arrivato sulla Luna, già mira a Venere e a Marte!
È lo stesso nel mondo dello sport: appena stabilito un primato, viene subito attaccato da atleti convinti di poter fare ancora meglio. Anche nelle scienze, si va continuamente alla ricerca di nuove scoperte: l’uomo non si accontenta di sapere quello che è già noto, ma insegue sempre nuove conoscenze. Sembra però che le ricchezze della natura siano inesauribili: più si conosce, e più si comprende quanto poco si conosce!
Anche nella sfera economica, l’uomo difficilmente si accontenta dello stato in cui si trova: vuole la casa più grande, l’automobile più lussuosa, le vacanze più lunghe e in posti più esotici. Il lusso di ieri diventa l’indispensabile di oggi. Anche le aziende sono continuamente alla ricerca di nuovi mercati da conquistare e di prodotti migliori (o, per lo meno, diversi!) con cui battere la concorrenza.
Già nel libro della Genesi, infatti, troviamo descritto questo fenomeno: “Dissero: Orsù, edifichiamoci una città e una torre di cui la cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama…” (Gen. 11:4). Una torre che arrivi fino al cielo: impresa che non si potrà mai completare! E per quale scopo? “Per acquistarci fama …”! Per superare e impressionare gli altri! Così si avrà, finalmente, qualcosa per cui vivere … perché, notiamo, si è già perso di vista il vero fine dell’uomo: piacere a Dio.
Tutto ciò fu definito molti secoli fa dall’Ecclesiaste “un correre dietro al vento” (Eccl. 1:14), ossia l’inseguimento di un miraggio; perché, appena raggiunto un traguardo, subito se ne propone un altro.
E sono ben noti i velenosi frutti di questa affannosa ricerca: ulcera gastrica, infarto, depressione, alcolismo, suicidio. Viviamo in una società che ingoia tonnellate di tranquillanti per sopravvivere.
Realizzarsi
Anche nella Chiesa, però, ritroviamo gli stessi atteggiamenti, seppure sotto altre forme e magari in modo subcosciente. Molti cercano un “ministero” o una posizione nella chiesa per sentirsi realizzati, per ricevere un riconoscimento o per sentire che la loro vita conta per qualcosa. Ma, se è questa la nostra motivazione, saremo capaci di servire solo fino a quando il servizio piacerà a noi, solo se gli altri ci ringraziano e ci troviamo piacere. E se un giorno ci ritroveremo messi da parte o non apprezzati, andremo ;n crisi, magari prendendocela con il Signore. In fin dei conti, non stavamo cercando altro che la nostra soddisfazione personale.
Il fatto è che l’uomo ha dentro di sé– un vuoto che non può essere colmato se non da Dio. Come scrisse Sant’Agostino: “Tu ci hai creati per Te stesso, e il nostro cuore è sempre irrequieto, finché non trovi riposo in Te”.
Dio non permetterà che ci realizziamo se non nell’amare e adorare Lui: nell’essere, e non nel fare. Egli è un Dio geloso, e non cederà volentieri il primo posto nei nostri cuori ad altri o ad altro… neanche al servizio nella Sua chiesa!
Ed è bene così, perché se dovessimo trovare il senso della nostra esistenza nel servizio reso a Dio e alla Chiesa, cosa faremmo nell’eternità, quando non rimarrà altro servizio da rendere che quello di adorarLo giorno e notte nel Suo tempio? (Apoc. 7:15, 22:3-4).
Certo, è legittimo trovare una soddisfazione nel lavoro e nel servizio ben fatto. Dio stesso ne ha trovato nel Suo lavoro: “E Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono” (Gen. 1:31). Anche al primo uomo fu affidato un lavoro, un servizio da compiere: “L’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino d’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Gen. 2:15). Certamente Dio voleva che vi trovasse soddisfazione; ma questo non doveva mai diventare lo scopo della sua vita, che invece era unicamente nel suo rapporto personale con Dio.
Solo quando ci siamo già realizzati in Dio – nel conoscerLo, amarLo, adorarLo, metterlo al centro di tutto quello che facciamo – possiamo servire gli altri disinteressatamente, come faceva Gesù.
Ultimo = primo
È naturale ricercare la posizione, la realizzazione, il riconoscimento, il primato. I discepoli ripetutamente litigavano tra loro sulla questione di chi fosse il maggiore, chi dovesse occupare il primo posto. Anche la storia del cristianesimo è segnata da dispute di questo tipo: lo scisma tra Cattolicesimo e Ortodossia fu determinato soprattutto dal fatto che Roma pretendeva un primato che le altre chiese più importanti non le volevano concedere.
Ma nel Regno di Dio, le cose vanno nel senso opposto:
– per salire, bisogna scendere;
– per ricevere, bisogna dare;
– per avere la vita, bisogna morire;
– per essere grandi, bisogna prendere l’ultimo posto e diventare il servo di tutti
(Fil. 2:21, 1 Cor. 13:5, Lc. 9:23-25).
Per realizzarci realmente, allora, dobbiamo rinunciare ad ogni desiderio autonomo, ad ogni ambizione di grandezza, ad ogni ricerca della nostra propria soddisfazione. Solo quello che è stato prima inchiodato alla Croce, partecipa alla resurrezione e alla nuova vita. Allora potremo realmente servire, come Gesù.
Il significato di servire
Servire vuol dire sacrificare i propri desideri e la propria comodità per venire incontro alla necessità dell’altro. Certe volte il Signore era talmente preso dai bisogni della gente che Egli e i discepoli “non avevano neppure i/ tempo di mangiare” (Mc. 6:31). Egli disse un giorno: “lo ho un cibo da mangiare che voi non conoscete… Il mio cibo è fare la volontà ci colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua” (Gv. 4:32-34).
Tuttavia, questo esempio di Gesù ebbe poca influenza sui discepoli, fino al momento in cui Egli si mise a servire loro: “depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse; poi mise dell’acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto… e disse loro: lo vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io” (Gv. 13:4-15).
Anche noi, se abbiamo qualche posto di autorità – come pastori, genitori o datori di lavoro – non possiamo insegnare il servizio a coloro che ci sono sottoposti – credenti, figli o operai che siano – con i bei discorsi, ma soltanto col nostro esempio di servire loro (e gli altri) in tutta umiltà.
Fedeli
Poi, una qualità indispensabile in ogni servo è la fedeltà. “Ognuno ci consideri ministri (cioè, “servi”) di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele” (1 Cor. 4:1-2).
Essere fedele significa: mantenere gli impegni, essere di parola, essere una persona su cui è possibile contare ciecamente. Il Salmo 15 ci dà un ritratto della persona gradita da Dio: “0 Eterno, chi dimorerà nella tua tenda? Chi abiterà sul monte della tua santità? Colui che cammina in integrità ed opera giustizia… Se ha giurato, foss’anche a suo danno, non muta …” (vv. 1,4).
La fedeltà, purtroppo, è una qualità raramente inculcata dalla nostra società. Prevale piuttosto il costume delle promesse facili (“Domani sarà pronto!”), fatte senza tenere ben conto delle reali possibilità di mantenerle, o addirittura senza alcuna intenzione di farlo. Gli imbrogli, i falsi certificati medici, le bugie salva-faccia, sono accettati come prassi normale; anzi, molti ammirano più la furbizia che l’integrità.
Ma Gesù è alla ricerca di servi fedeli. Perciò Egli ci dice, prima di prendere un impegno, di “sederci prima a calcolare la spesa”, per vedere se abbiamo la reale possibilità di portarlo a termine (Lc. 14:28-32). E dice: “Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi: e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere?” (Lc. 16:10-11).
Anche nella Chiesa vale lo stesso principio: se non siamo assolutamente fedeli, affidabili e coscienziosi nel compiere i servizi minimi (pulire la sala, visitare un malato, dare la decima, guardare i bambini), chi ci affiderà un compito più importante?
Solo il meglio
Infine, in ogni nostro servizio, dobbiamo coltivare uno spirito di eccellenza. Visto che, nel servire gli altri, cerchiamo di piacere a Dio, dobbiamo fare le cose in modo tale da soddisfare le Sue esigenze. Così è scritto: “… non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo … sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore” (Ef. 6:6-8).
Si dice dei capomastri che costruivano le cattedrali medievali che essi dedicavano la stessa cura alle sculture ed agli ornamenti posti sulle guglie, a trenta metri di altezza dal suolo, dove mai nessuno avrebbe potuto vederli, che davano a quelli posti in basso, alla vista di tutti. Come mai? Perché lavoravano “per la maggiore gloria di Dio”, non per piacere agli uomini. Possiamo non condividere la loro idea di come glorificare Dio, ma possiamo imparare molto dall’atteggiamento con cui lavoravano!
Ricapitolando, dunque, chi ha l’atteggiamento di un vero servo – l’atteggiamento di Cristo mette in pratica questi principi:
- Non bada allo status, al riconoscimento e alla posizione.
- Prende volentieri il posto più umile.
- Non cerca la propria soddisfazione, ma di soddisfare il reale bisogno dell’altro.
- Non cerca la gratitudine degli uomini, ma si rallegra se Dio è contento del suo servizio.
- Ricerca l’eccellenza in ogni lavoro perché cerca di piacere a Dio.
- Non cerca la propria realizzazione o soddisfazione, ma, paradossalmente, la trova.
Servi della chiesa
I pastori, gli anziani e chiunque guida la chiesa sono chiamati a precedere gli altri nel servizio. Come per i genitori, è soprattutto il nostro esempio quello che influenza il gregge. Così Paolo scrive al giovane Timoteo: “Sii d’esempio ai credenti, nel . parlare, nella condotta, nell’amore, nella fede, nella purezza … applicati alla lettura, all’esortazione, all’insegnamento” (1 Tim. 4:12). Se i pastori sono pigri o arroganti, il loro esempio contagerà tutto il popolo da loro guidato.
Devono però servire la Chiesa, non secondo i desideri di quest’ultima (“per piacere agli uomini”), ma secondo gli ordini dei Padrone e in modo da essere approvati da Lui. È per questa ragione che è così sbagliato far eleggere i pastori e gli anziani dai credenti della chiesa. Se i nostri figli potessero scegliersi i genitori che loro preferiscono, in che modo sarebbero educati?!
I pastori e gli anziani, però, sono chiamati a servire la Chiesa soprattutto con un servizio spirituale in cui sarebbe difficile per altri sostituirli. Il loro compito particolare comprende l’insegnamento della Parola (sia in pubblico che in modo privato e personale, applicando cioè il consiglio di Dio alle situazioni individuali), e il ministero della preghiera. I responsabili della prima chiesa locale affermarono: “Non è conveniente che noi lasciamo la parola di Dio per servire alle mense” (i compiti organizzativi e amministrativi) … “Quanto a noi, continueremo a dedicarci alla preghiera e al servizio della Parola. Questa proposta piacque a tutta l’assemblea …” (Atti 6:2-4).
Diaconi
Per questa ragione fu istituito nella chiesa primitiva l’ufficio di diacono (che significa, letteralmente, “servo”). I diaconi, infatti, hanno la funzione di alleggerire gli anziani di molti compiti pratici e amministrativi. Le qualifiche di un diacono (1 Tim. 3:8-13), che riguardano soprattutto la fedeltà e la stabilità del carattere, dimostrano che anche i diaconi devono costituire un esempio di servizio per gli altri credenti.
Infine, tutti i cristiani sono chiamati da Dio a servire i loro fratelli ed anche i non credenti. Le esortazioni dell’apostolo Paolo in Romani 12:9-21 ci possono dare qualche spunto:
- a) Mostrarci onore reciprocamente (v. 10). L’onore è quasi una parola dimenticata nella nostra società (forse i più onorati sono i calciatori ed i cantanti!); ma siamo esortati a “fare a gara nel rendercelo reciprocamente”. Onoriamo i nostri fratelli quando ci comportiamo come se li “considerassimo superiori a noi stessi” (Fil. 2:3).
- b) Provvedere alle necessità dei santi (v. 13). I bisogni possono essere tanti: di denaro, di aiuto pratico in casa, di consiglio, di sostegno morale…
- c) L’ospitalità (v. 13). II Signore ci esorta particolarmente a dare ospitalità a chi non è in grado di ricambiare l’invito (Lc. 14:12-14). Nelle nostre chiese, questo si può applicare soprattutto ai giovani di famiglie non credenti, che non hanno una casa loro cui invitarci; ma ci sono anche tanti poveri e bisognosi cui possiamo offrire la nostra amicizia e la nostra ospitalità.
- d) La consolazione (v. 15). Sono tanti “quelli che piangono”: possiamo offrire loro la nostra solidarietà e il nostro aiuto.
- e) Le buone opere (v. 17). Abbiamo tante occasioni per “fare del bene”, sia ai fratelli nella fede, sia a quelli che non conoscono l’amore di Dio.
Lavorare molto, lavorare tutti!
Nel Regno di Dio non esiste la disoccupazione: c’è lavoro per tutti! In 2 Tess. 3:10, sta scritto: “Se qualcuno non vuole lavorare, neppure mangiare”. Se dunque qualche credente “disoccupato”, non per colpa sua, deve considerare questo come un’occasione per lavorare a “tempo pieno” per il Signore, fino a quando non riuscirà a trovare un altro impiego. Qualcuno ha detto saggiamente: “Il problema non è di trovare lavoro, ma di trovare chi ti paghi il lavoro!”. Ma Dio ci darà la nostra giusta ricompensa, se non ora, allora nella resurrezione dei giusti.
Se invece i “disoccupati” – giovani o meno giovani – passano il tempo nell’ozio, sprecando il tempo in cose inutili, allora è chiaro il comando di Dio per loro: non devono mangiare! E così si verificherà per loro quanto scritto in Proverbi 16:26: “La fame del lavoratore lavora per lui, perché la sua bocca lo stimola”! Devono allora muoversi, darsi da fare per cercare un lavoro, per non essere di peso agli altri; ma nel frattempo sfruttare al massimo la libertà che hanno per servire gli altri. E così Dio potrà “aggiungere loro” tutte le cose di cui hanno bisogno (Matt. 6:33).
Quando la nostra chiesa sarà realmente una “chiesa di servi”, in cui ogni membro dà il proprio indispensabile contributo, allora vedremo con quale forza il Corpo di Cristo “nella misura del vigore di ogni singola parte” (Ef. 4:16), si moltiplicherà e diventerà e diventerà forte per dare gloria al suo Signore.