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di Giovanni Traettino
Ci sono stagioni e tempi nei quali siamo chiamati a pregare di più e con maggiore fervore. E tutti abbiamo fatto e faremo ancora l’esperienza di “ondate” più alte di preghiera nella nostra vita. Ma quello che veramente importa ai fini di una potente e permanente crescita della vita spirituale dell’individuo e della comunità è stabilire una pratica e delle abitudini di preghiera regolari, quotidiane e periodiche.
Evidentemente il problema si è sempre posto al popolo di Dio, alle prese con le difficoltà, gli impegni e gli imprevisti della vita, da una parte, e con la mutevolezza, l’incostanza e la fragilità della sua carne dall’altra. Sono così sorte pratiche, regole e metodi che hanno educato intere generazioni di credenti alla preghiera.
Una regola, un ritmo
Gli Ebrei recitavano lo Shemà (Deut. 6:4-7, 11:19) due volte al giorno: al sorgere del sole e al tramonto. A fianco a questo mettevano la preghiera tre volte al giorno: al sorgere del sole, al pomeriggio verso le tre, e al calar del sole. Il libro di Daniele (6:11) ed i Salmi (55:18, ecc.) testimoniano di questo ritmo. E questa era la pratica del popolo d’Israele alla venuta del Cristo.
Gesù sarà senz’altro cresciuto in questa pratica, e d’altra parte i Vangeli testimoniano con sufficiente attendibilità che anche negli anni del suo ministero Gesù ha continuato così, certamente allungando ed espandendo queste occasioni a lunghe ore e intere notti.
La chiesa primitiva eredita questa cadenza dalla pietà ebraica, superandola però secondo l’esempio di Gesù e creando altri momenti di preghiera in rapporto ad occasioni (ad esempio i pasti), a bisogni o ad esigenze particolari.
La Didaché (un documento della chiesa primitiva) prescrive: “Tre volte al giorno dovete pregare così: “Padre nostro…”” (Didaché 8:3). Nei successivi venti secoli di cristianesimo, i padri della chiesa, gli ordini monastici e religiosi, i riformatori, i movimenti di risveglio e di spiritualità hanno tutti sviluppato delle pratiche costruite essenzialmente intorno a questo schema/ritmo fondamentale.
Nelle chiese evangeliche, figlie della riforma, del pietismo e del risveglio, la reazione al formalismo e la diffidenza verso l’istituzione hanno prodotto forti resistenze allo sviluppo di regole, tradizioni ed abitudini uniformi di preghiera. La spontaneità, l’immediatezza e la libertà sono state vissute come valori di riferimento fondamentale. Il che è ottimo in un clima di risveglio e di zelo spirituale, ma non funziona altrettanto bene nei tempi della prova, della tentazione, dell’aridità.
Un modello
Oggi assistiamo ad una notevole ripresa dei movimenti di preghiera: in America del Sud ed in Africa, in Asia e perfino negli Stati Uniti. L’Europa invece presenta ritardi e maggiore resistenza anche su questo terreno.
Questi movimenti sono certamente il risultato dell’azione sovrana di Dio, ma da più parti si è sentita l’esigenza di elaborare alcuni modelli che aiutino a consolidare e a sviluppare la vita di preghiera. Voglio qui segnalare in particolare due proposte. La prima, presentata nel libro The hour that changes the world, a Practical Plan for Personal Prayer di Dick Eastman, fondatore della Scuola di preghiera “Cambiare il Mondo”, propone un piano per pregare un’ora intera ogni giorno evitando di cadere preda della noia e della distrazione.
L’ora è divisa in dodici parti di cinque minuti l’una. Ogni sezione dell’ora è destinata ad un’area di preghiera specifica (1. Lode, 2. Attesa, 3. Confessione, 4. Pregare con la Scrittura, 5. Veglia, 6. Intercessione, 7. Petizione, 8. Ringraziamento, 9. Canto, 10. Meditazione, 11. Ascolto, 12. Lode). E’ un sistema che ho personalmente sperimentato ed ho trovato molto utile, perché semplice e flessibile.
La seconda, presentata in due articoli comparsi sulla rivista americana New Wine da Larry Lea, pastore di una comunità di circa diecimila membri, usa il “Padre nostro” come falsariga per riempire un’ora di preghiera ogni giorno. Questa proposta ha il vantaggio di usare la preghiera modello di Gesù come struttura portante e di espandere da quella attraverso la lode, la meditazione, l’intercessione, ecc. E così ritorniamo al Padre nostro, proposto dalla Didaché. Certo i cristiani pregano ed hanno pregato in passato in molti altri modi: usando il Credo, i Dieci Comandamenti, i Salmi, meditando la morte e la resurrezione di Gesù, la Sua vita e i Suoi miracoli. Ma a questo punto del mio cammino col Signore io sono giunto alla convinzione che è vitale dare comunque un ritmo ed un minimo di struttura alla nostra vita di preghiera.
Il modello del Padre nostro rimane certo il più autorevole, antico, semplice e completo strumento che noi possiamo utilizzare (vedi anche l’articolo di Geoffrey Allen in questo numero).
L’ora della tentazione
Tutto questo perché viviamo in un mondo pieno di impegni e di distrazioni, perché viene improvvisa l’ora della tentazione, la “ notte dell’anima “, il periodo segnato dal deserto e dall’aridità. Occorre poter continuare a pregare anche di fronte al silenzio di Dio, alla mancanza di risposta, alle afflizioni dell’anima. Beate le vergini che si faranno trovare con le lampade accese!
Quanto tempo pregare?
Dunque è cosa buona pregare tutti i giorni. E all’interno di ogni giornata pregare per un tempo sufficiente di comunicazione e di ascolto. Sarà bene non partire in quarta: si rischierebbe la frustrazione e il fallimento.
La cosa più semplice è forse cominciare con due occasioni di preghiera giornaliera: la mattina e la sera, più i momenti dei pasti. Si può cominciare con pochi minuti, cinque o dieci per esempio, accompagnandoli con altrettanti minuti di lettura biblica. Si potrà poi puntare ad arrivare fino ad un’ora complessiva o più in tutta la giornata.
Nella comunità in cui è pastore il fratello Tosini, hanno un corso per introdurre alla vita di preghiera che ha un approccio più radicale. È una specie di “crash course” (corso intensivo): nell’arco di tre mesi si prega per un’ora al giorno il primo mese, per due ore il secondo mese e per tre ore il terzo mese. Questo con l’obiettivo di arrivare poi ad una pratica normale di almeno un’ora di preghiera al giorno. Comunque, indipendentemente dal metodo, sembra esserci un consenso abbastanza diffuso tra gli uomini di Dio per puntare ad almeno un’ora di preghiera al giorno.
Il posto
“Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta, e chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto” (Mt. 6:6). “Si ritirò in disparte sul monte per pregare” (Mt. 14:23). “Poi, la mattina, essendo ancora molto buio, Gesù si alzò, usci e se ne andò in un luogo deserto; e li pregava” (Mc. 1:35).
Gesù sembra dare una certa importanza alla scelta del luogo. Anche noi faremo attenzione a cercarci un angolo nella casa o un posto all’aperto dove ci siamo garantiti silenzio, tranquillità, concentrazione. Dopo di che impareremo a controllare e perfino ad utilizzare per la preghiera le eventuali interruzioni o disturbi (rumori esterni, il bambino che chiama alla porta, pensieri di persone o di situazioni) che tendono a distrarci.
Pregare con la Parola
Ci sono parti della Scrittura che sono particolarmente adatte come lettura d’ispirazione e di sostegno da far precedere, accostare o intessere con la pratica della preghiera. Ad esempio i Salmi, alcune porzioni dei profeti, le preghiere di vari uomini di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento, il Cantico dei Cantici, il Vangelo e le lettere di Giovanni, alcune porzioni delle lettere di Paolo, alcune preghiere e visioni dell’Apocalisse. Farsi permeare dalla Parola, pensare con la Parola, pregare con la Parola è certamente un modo molto forte, concreto ed efficace di pregare. Anche perché in questo modo viene praticata quella regola d’oro della vita di preghiera che consiste nel far in modo che l’ascolto preceda la preghiera.
Cause di esaurimento e fallimento della vita di preghiera
Dopo aver determinato di pregare, e aver cominciato a farlo con regolarità, al tempo e al posto giusto e con un modello che funziona, ci capiterà purtroppo di arrivare a periodi nei quali non avvertiamo più la presenza di Dio, e non abbiamo né voglia né forza per pregare. E venuto a mancare l’incoraggiamento delle emozioni riscaldate dalla comunione e ci pare di pregare nel vuoto se non addirittura di parlare a noi stessi.
È questo il tempo nel quale impariamo a non dipendere dai sensi e dall’anima per la nostra comunione con Dio. È il tempo nel quale lo spirito si rafforza e l’anima si indebolisce. In questo senso è anche, per usare un’espressione dei mistici, “la notte dell’anima”, il tempo nel quale i sentimenti, i desideri ed i pensieri nostri devono cedere ed essere per così dire “oscurati” davanti alle ragioni, alle emozioni e alla volontà di Dio. E anche il tempo nel quale vengono esposte le radici “carnali” ancora presenti nella nostra vita per essere scavate e bruciate definitivamente. È importante per noi sapere che lo Spirito Santo è Colui che ci porta in questi “deserti” (Lc. 4:1) e che il Suo scopo è di renderci in questo modo radicalmente dipendenti da Dio.
In questi tempi bisogna resistere alla tentazione di trascurare la preghiera. Se possibile, bisogna anzi intensificarla.
Indifferenza, instabilità, tiepidezza. Altra cosa invece è il deserto nel quale possiamo esser precipitati per infedeltà, instabilità (Giac. 1:6-8), indifferenza (Prov. 1:22-28), perdita di visione, amore per il mondo.
Sofferenze, prove, afflizioni. La nostra vita di preghiera può essere raffreddata anche da prove e da dolori. Giacomo (1:4) ci esorta a considerare lo scopo di perfezionamento che hanno le prove e quindi a vederle dal punto di vista di Dio.
Il peccato non confessato. Ci sono tanti modi nei quali possiamo peccare. Ma quello che “secca” la nostra comunione con Dio e con i fratelli, e dunque anche la nostra vita di preghiera, è quando non confessiamo e non abbandoniamo subito il nostro peccato; quando usiamo tolleranza, indulgenza e lentezza verso noi stessi lasciando irrisolte questioni che dobbiamo mettere a posto. I peccati non confessati e i peccati nascosti producono effetti devastanti nella nostra vita interiore: producono col tempo insensibilità, indifferenza e durezza alla voce dello Spirito, alla Parola di Dio e alle autorità spirituali.
La mancanza di misericordia e di perdono. “Chi chiude l’orecchio al grido del povero, griderà anch’egli, e non gli sarà risposto” (Prov. 21:13).
Nella vita cristiana incontriamo ad ogni piè sospinto persone diverse da noi, deboli e fragili in aspetti fondamentali del loro carattere, immature e lente. Incontriamo persone spinose, aspre, scorbutiche; incontriamo persone che non hanno nessuna speranza di vittoria “naturale” in questa vita. Avere le “viscere di misericordia” del nostro Dio è fondamentale per continuare sereni nella nostra vita di relazione con Lui e con gli altri.
“Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli col riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite” (1° Pt. 3:7).
Rapporti affettivi “particolari” (non necessariamente spinti sino alla consumazione dell’adulterio) con persone dell’altro sesso al di fuori del matrimonio creano impedimenti spirituali nella nostra vita di preghiera.
Maltrattamenti, asprezze, chiusure e mancanza di tatto, gentilezza e misericordia nel rapporto di coppia creano impedimenti spirituali nella nostra vita di preghiera. Il Signore non può ascoltarci. Le nostre preghiere si fermano al soffitto.
Disordine
Un’ultima causa di frustrazione per la nostra vita di preghiera è il disordine della nostra giornata. Ascoltiamo il consiglio di Wilfred Monod: “È quindi importante mettere da parte un tempo definito per la preghiera, altrimenti il torrente degli impegni quotidiani inesorabilmente riempie, l’una dopo l’altra, tutte le ore che incontra sul suo cammino. Pertanto è naturale e intelligente continuare con la vecchia tradizione, così semplice, così saggia, che mette da parte almeno i primi e gli ultimi momenti di ogni giorno per la preghiera” (da Silence et prière).
Diversi di noi hanno bisogno di rallentare il ritmo e ridurre le attività, anche ministeriali, della nostra giornata, per fare spazio alla preghiera. L’eccesso di lavoro e l’attivismo uccidono la preghiera. Il riposo nasce dalla decisione di fare solo “le opere che Iddio ha innanzi preparate” per me (Ef. 2:10).
La formula del successo
Ho considerato finora diversi aspetti “esterni” che facilitano la vita di preghiera. Guardiamo adesso agli aspetti “interni”, che sono fondamentali.
Ci sono alcune attitudini interiori che fanno da premesse indispensabili per lo sviluppo armonioso di una vita di preghiera.
- Uno spirito rotto e contrito (Salmo 34:18, 51:17; Isaia 57:15, 66:2; 2° Cron. 7:14).
- Il cuore rivolto a Dio. “ Voi mi cercherete e mi troverete perché mi cercherete con tutto il cuore, e io mi lascerò trovare” (Ger. 29:13).
- Un cuore che crede. “… sono stati troncati per la loro incredulità e tu sussisti per la fede; non insuperbirti, ma temi” (Rom. 11:20). “Badate, fratelli, che non ci sia in nessuno di voi un cuore malvagio e incredulo, che vi allontani dal Dio vivente” (Ebr. 3:12).
- Un cuore retto, una buona coscienza. “… la preghiera del giusto ha una grande efficacia” (Giac. 5:16). “Conservando la fede e una buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunziato, e così, hanno fatto naufragio quanto alla fede” (1° Tim. 1:19).
- Un cuore sottomesso e ubbidiente. “E qualunque cosa chiediamo la riceviamo da Lui, perché osserviamo i Suoi comandamenti e facciamo ciò che Gli è gradito” (l° Giov. 3:22).
La legge e la grazia
Un’ultima fondamentale parola è necessario dire. Anche la vita di preghiera è figlia della grazia e non della legge. La grossa tentazione è di considerarla come un’opera che noi dobbiamo produrre attraverso lo sforzo e la disciplina. Tutti i tentativi che faremo in questa direzione falliranno. Oppure daranno un buon risultato per un certo tempo, ma poi produrranno solo un’apparenza di pietà, spirito religioso e fariseismo.
Dobbiamo ricordare a noi stessi che perfino la preghiera non è uno strumento di salvezza. “Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” (Rom. 11:6). Fino a che il credente e la chiesa cercheranno di costruire una vita di preghiera partendo da un senso di colpa e di dolore, per cercare di rendersi accettabili a Dio, faranno l’esperienza di continui fallimenti e cadute.
La legge perfetta è la legge della libertà. La legge della libertà ci mette in condizione di perseverare, di fare ed operare, non essendo tristi e come oppressi dal peso di dover pregare, ma essendo beati nel farlo (Giac. 1:25)!
Perciò il Signore dice: “Io vi scongiuro … non svegliate l’amor mio, finch’essa non lo desideri” (Cant. 3:5), e ancora: “Fino a quando andrai tu vagabonda, ‘o figliuola infedele? Poiché l’Eterno crea una cosa nuova sulla terra, la donna che corteggia l’uomo” (Ger. 31:22) e: “Perciò, ecco, io l’attrarrò, la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore. Di là le darò le sue vigne, e la Valle d’Acor (= turbamento, afflizione) come porta di speranza; quivi ella mi risponderà come ai giorni della sua giovinezza, come ai giorni che usci fuori dal paese d’Egitto” (Osea 2:14-15).
E in Zaccaria egli dice: “E spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazione; ed essi riguarderanno a me …” (Zacc. 12:10).
È dunque il Signore che ci visita con lo spirito di grazia. Lo spirito di supplicazione ne è figlio. Il giusto vivrà per fede.