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di Geoffrey Allen
La famiglia è il fondamento di ogni società, il “mattone” con cui si costruiscono i “palazzi” di comunità, città e nazioni. La famiglia è anche la prima unità sociale voluta direttamente da Dio (Genesi 2:18), creata per riflettere, in qualche modo, l’armonia esistente tra le tre Persone del Suo essere divino (cfr. Efesini 5:31-32).
Oggi, invece, assistiamo ad un progressivo indebolimento della famiglia, soprattutto nel mondo occidentale, un processo che sta minando le basi stesse della nostra società, e che non risparmia neanche la Chiesa. Il divorzio aumenta, la fedeltà coniugale sembra ormai un ideale di altri tempi, i giovani si ribellano, i bambini sembrano sempre più incontrollabili e da molte coppie sono considerati più un inevitabile fastidio che un tesoro e una benedizione (cfr. Salmo 127:3-5).
Ma oggi, lo Spirito Santo sta suscitando tra i credenti un nuovo interesse per la vita comunitaria, per il concetto della Chiesa come famiglia e come società alternativa. Non è dunque sorprendente che si è ravvisata anche la necessità di rafforzare la vita familiare dei credenti. “La chiesa – ha detto qualcuno – è una comunità di famiglie, e non può essere più forte delle famiglie che la compongono”.
Se marito e moglie non vanno d’accordo, se sono i figli a fare il buono e il cattivo tempo, o se, al contrario, sono schiacciati da un padre tirannico e oppressivo, potremo ben andare in chiesa la domenica a cantare e pregare, ma non vedremo la vittoria del regno di Dio nella nostra società. Gesù è venuto “per cercare e per salvare ciò che era perduto” (Luca 19:10); e questo comprende certamente la riparazione e il risanamento di tante famiglie “malate” e “ferite”.
Lo Spirito Santo, dunque, tra le altre cose che sta dicendo oggi alle chiese, ci sta esortando a dare grande importanza alla vita familiare. Una chiesa in buona salute è un ambiente in cui i matrimoni “rotti” vengono riparati e in cui le famiglie “malate” possono guarire, in cui il matrimonio è una gioia e i figli crescono nella giustizia, nella pace e nella gioia in cui consiste il Regno di Dio (Rom. 14:17), una nuova generazione che è la speranza del mondo di domani.
Autorità = responsabilità
Durante diversi anni di vita di chiesa e di insegnamento e consiglio dato alle coppie, abbiamo potuto constatare che la chiave più importante per una vita familiare migliore è responsabilizzare gli uomini. Parlare alle mogli di sottomissione e ai figli di ubbidienza produce solo frustrazioni, se i mariti e padri non si assumono una posizione di guida e di responsabilità nei confronti della famiglia.
Troppi capi di famiglia, anche credenti, hanno ancora la mentalità che, se vanno a lavorare e portano a casa uno stipendio (o magari due!), hanno esaurito tutta la loro responsabilità: lasciano alla moglie la gestione dei soldi, l’educazione dei figli, i contatti con la scuola, la guida spirituale e tutte le decisioni che riguardano la vita familiare.
La Parola di Dio dice che “il capo della donna è l’uomo” (1° Corinzi 11:3), e ai figli ordina di essere sottomessi ai loro genitori (Efesini 6:1). Ora, è un chiaro principio che chiunque riceve autorità, diventa anche responsabile per la sfera in cui esercita il governo e il potere decisionale. Dio dunque chiederà conto ad ogni marito del benessere della moglie, ad ogni genitore dei suoi figli. E questo non soltanto ai credenti, perché, notiamo bene, non sta scritto: “il capo di ogni credente”, ma: “il capo di ogni uomo è Cristo”!
Allo stesso modo, per il fatto di aver dato ai pastori e agli anziani autorità sui credenti del loro gregge (Ebrei 13:17), Dio chiederà loro conto, tra l’altro, anche del modo in cui avranno assolto il loro dovere di insegnare agli uomini delle loro chiese a prendersi le loro responsabilità verso la famiglia.
Ama te stesso
Il dovere dei mariti verso le mogli è espresso con grande semplicità e chiarezza in Efesini 5:25: “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei”. Questo amore è un comandamento, prima di essere un sentimento! Il marito è chiamato ad amare la moglie, non di un amore emotivo e passionale, di cui è preda e non padrone, ma dello stesso tipo di amore con cui Cristo ha amato la Chiesa. Ora, Gesù non ci ha amati perché non poteva resistere al nostro fascino, alla nostra bellezza e alla nostra straordinaria bontà! Ci ha amati, al contrario, quando eravamo ancora nei nostri peccati, perché ha visto, per fede, quello che saremmo potuti diventare: una chiesa “gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile” (v.27).
L’apostolo prosegue: “Chi ama sua moglie, ama sé stesso” (v.28). Non è dunque un’imposizione gravosa: quando amo mia moglie, faccio un favore a me stesso, perché sono io il beneficiario principale! (Allo stesso modo Cristo, nell’amare la Chiesa, ha tutto “l’interesse” di preparare per se stesso una Sposa che sarà la sua gioia per l’eternità: cfr. Isaia 62:5, Apoc. 21:2). Chi può dire il valore di un matrimonio felice e ben riuscito? Il multimiliardario John Paul Getty disse una volta: “Darei volentieri tutte le mie ricchezze in cambio di un matrimonio felice”. Ed è a me, il marito, che Dio dà la responsabilità di rendere felice e sicura mia moglie, gettando così le basi di una vita di coppia ben riuscita.
Fa parte della natura femminile ricambiare l’amore. Una donna che si sente amata, difficilmente sarà infedele al marito, o anche semplicemente irrequieta e contenziosa. Come dunque avviene di regola nell’espressione fisica dell’amore, è responsabilità dell’uomo prendere l’iniziativa nell’amare sua moglie anche con la tenerezza, la cura e la gentilezza, proteggendola dalle preoccupazioni e dalle pressioni della vita (anche da quelle esercitate dai figli). Chi fa così, sarà ampiamente ripagato con una moglie tranquilla, affettuosa, felice e fedele.
Similmente, è al padre, in primo luogo, che la Scrittura dà la responsabilità dell’educazione dei figli: “Voi, padri … allevate i vostri figli nella disciplina e nell’istruzione del Signore” (Efesini 6:4). Uno che aspira all’ufficio di anziano nella chiesa deve essere un credente esemplare, e questo implica che “bisogna che governi bene la propria famiglia e tenga i figli sottomessi e pienamente rispettosi (perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?)” (1° Timoteo 3:4-5, cfr. anche Tito 1:6). Non potrà scusarsi dicendo: “Ah, ma mia moglie non è tanto brava, non ci ha saputo fare!”
Chi non si assume la responsabilità di educare i propri figli, o chi non lo fa bene, non può essere proposto alla chiesa come un modello di uomo cristiano. E questo non dovrebbe esserci di peso, ma di grande incoraggiamento: se Dio pretende che io educhi i miei figli ad essere rispettosi, ubbidienti e fedeli, vuol dire che Egli mi darà tutte le risorse e tutta la grazia di cui avrò bisogno per riuscire nel compito!
Sottomissione
La moglie che ha la fortuna di avere un marito cristiano “in buona regola”, come appena descritto, non avrà grosse difficoltà ad accogliere l’ordine di Dio: “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore” (Ef. 5:22). Ma, notiamo bene, questa parola non è indirizzata soltanto alle donne con il marito cristiano: la Bibbia non aggiunge: “se sono credenti, e se sono bravi, e fintantoché vi trattano bene!” Anzi, un altro brano specifica: “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti perché, se anche ve ne sono che non ubbidiscono alla parola, siano guadagnati, senza parola, dalla condotta delle loro mogli, quando avranno considerato la vostra condotta casta e rispettosa” (1° Pietro 3:1-2). In quasi tutte le comunità – la nostra compresa – ci sono delle donne credenti con il marito inconvertito. Anch’esse, non meno delle mogli dei credenti, devono essere sottomesse ai rispettivi mariti, sapendo che anch’essi dovranno rendere conto al Signore. Ricordino che per noi, come per Gesù, la via della vittoria è la via della sofferenza e dell’abnegazione (1° Pietro 2:19-21, Apoc. 12:11). Solo nel caso il marito dovesse chiedere loro un comportamento disonesto o immorale potranno arrivare a dire: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29).
Allo stesso modo, ai ragazzi credenti è detto: “Ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto” (Efesini 6:1), senza “se” e “ma”. Il comandamento di onorare i genitori (Esodo 20:12) vale sempre e per tutti; quello di sottomettersi a loro si applica a chiunque vive ancora sotto la loro autorità e responsabilità.
Chiaramente, l’autentica sottomissione si vede solo in quelle situazioni in cui non siamo d’accordo. Se condivido pienamente le regole e le decisioni di chi è sopra di me – quando coincidono esattamente con quelle che avrei stabilito io – non c’è bisogno di sottomissione! Mi sottometto realmente, invece, in quei casi in cui la regola o la decisione è qualcosa che non voglio, che non condivido, che “secondo me” è sbagliato! Il solo limite che la Bibbia pone alla sottomissione è quello della volontà di Dio chiaramente rivelata nella Sua Parola (cfr. Atti 4:19).
Sottomettersi è, in fondo, un grosso sollievo; perché se, da una parte, vuol dire perdere la mia libertà di fare tutto quello che mi pare e piace (libertà oggi considerata tra i beni più preziosi, ma di cui vediamo ogni giorno i frutti amari), dall’altra parte vuol dire non portare più la responsabilità delle decisioni prese. Se ho timore di Dio, se capisco bene cosa vuol dire doverGli rendere conto, comprenderò che sottomettermi significa anche mettermi al riparo. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente”! (Ebrei 10:31).
Con la sottomissione ci ripariamo, non solo dal giudizio di Dio, ma anche da tante probabilità di sbagliare, evitando così danni a noi stessi e agli altri. Se Dio ha voluto affidare ad alcuni autorità e responsabilità per la vita di altri, è perché ha constatato che, tutto sommato, e prendendo la media aritmetica a lungo termine, essi avrebbero combinato meno guai degli altri!
Aiutarsi
Ma non vorrei lasciare l’impressione che la famiglia debba essere solo un luogo di lotte e di sofferenze. Anzi, Dio vuole che la vita familiare sia fonte di gioia, di forza e di reciproco sostegno. La moglie è data al marito per essergli un aiuto (Genesi 2:18), e i genitori ai figli per essere fonte di saggia istruzione per la vita (Proverbi 1:8-9). I figli sono donati da Dio per essere una benedizione per i genitori (Salmo 127:3).
Una delle più belle promesse di Dio è quella contenuta negli ultimi versetti dell’Antico Testamento: “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del SIGNORE, giorno grande e terribile. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri” (Malachia 4:5-6). È vero che Giovanni Battista già compiva in parte questa profezia, ma Gesù dice anche: “Elia deve [ancora] venire e ristabilire ogni cosa” (Matteo 17:11). Questa è dunque una promessa data particolarmente a noi, che viviamo nei “tempi della restaurazione” prima del ritorno di Gesù.
Quando è il Signore a stare al centro della nostra vita, come individui e come famiglie; quando ci amiamo gli uni gli altri, come Gesù ci ha comandato (Giovanni 13:34), anche nelle nostre case e nella vita di tutti i giorni, allora la nostra vita familiare diventa come “una città posta sopra un monte”, “la luce del mondo” che “non può rimanere nascosta” (Matteo 5:14), l’evidenza più forte che Gesù è vivente e che Egli è il Salvatore anche della nostra vita familiare.