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di Massimo Loda
Sul tema della cura pastorale sono stati versati litri di inchiostro. Molte cose sono state comprese, altre distorte, altre fraintese. Rimane comunque vero che la cura pastorale è un aspetto fondamentale della vita della chiesa.
Per anni, la figura del pastore è stata svuotata del suo vero significato e ridotta alla produzione di messaggi domenicali e al compito di aprire e chiudere il locale, organizzare gite e cose simili.
Lo Spirito Santo però sta oggi restituendo dignità ai ministeri, perché ha in vista “il perfezionamento dei santi …, l’edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede …, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Ef. 4:12-13).
L’obiettivo del pastore, in collaborazione con gli altri ministeri, è dunque quello di portare le proprie pecore verso la maturità, allo stadio di “uomini fatti”, guidando, nutrendo, proteggendo e servendo il gregge, perché un giorno dovrà renderne conto al Sommo Pastore, Gesù Cristo (Ebr. 13:17).
Curare il gregge
Se tale è il compito del pastore, deve risultare ovvio che non esistono aree di vita delle quali il pastore non debba interessarsi. Dio vuole che tutto il nostro essere – spirito, anima e corpo – sia mantenuto irreprensibile (1 Tess. 5:23). Non siamo stati creati a compartimenti stagni non comunicanti fra loro. Ognuno di questi tre aspetti della vita ha profonde influenze sugli altri due, anche perché in Cristo non esiste separazione fra ciò che è materiale e ciò che appartiene allo spirito. Dobbiamo perciò vegliare affinché tutta la nostra vita sia realmente e concretamente sotto la signoria di Gesù.
Vita familiare, educazione dei figli, uso del denaro, le grosse scelte della vita, sono aree nelle quali spesso ci si trova in difficoltà e senza protezione: chi può aiutarci? Qualcuno direbbe con un certo fatalismo che solo Gesù può farlo; ma la Scrittura ci insegna che nella Chiesa, come nella famiglia e nella società civile, esistono persone alle quali Egli ha delegato una parte della sua autorità (Giov. 27:15-17), e che hanno di conseguenza il diritto e il dovere di curare e governare le Sue pecore a nome e per autorità Sua.
Per riconoscere tali persone, abbiamo bisogno di liberarci dalla mentalità secondo la quale il pastore deve occuparsi solo di sermoni e di studi biblici. Infatti, le scelte materiali sbagliate esercitano su di noi pressioni tali da intaccare la nostra vita spirituale, compromettendo il nostro rapporto con Dio e la nostra testimonianza davanti agli uomini. Tutti conosciamo le implicazioni di un matrimonio non benedetto e sappiamo dei legami nei quali si cade quando si contraggono pesanti debiti. E che dire delle famiglie nelle quali rispetto e onore non esistono più, o di quelle in cui i figli crescono senza protezione e senza insegnamento? Non siamo noi genitori i custodi della vita dei nostri figli, chiamati a prepararli per il regno di Dio? Non sono forse state create tutte le cose (i nostri figli compresi) in vista di Lui (Col. 1:16)?
Quando la nostra esistenza è vissuta nella doppiezza, nell’ipocrisia e nel compromesso, riusciamo forse ad esprimere la vita di Gesù, del cui regno dobbiamo essere gli ambasciatori (2 Cor. 5:20)?
E ancora, se la sessualità della coppia non è sotto il governo di Dio, non ne verrà compromessa l’unità della famiglia? Nella mia pur limitata esperienza di cura di anime, ho verificato quanto quest’aspetto della vita sia da proteggere dagli attacchi del diavolo. Moltissimi conflitti fra marito e moglie, l’incapacità di comunicare, di stare insieme davanti al Signore, di perdonarsi a vicenda, di vivere la grazia, dipendono da una vita coniugale disordinata ed egoista. E quando si è insoddisfatti, amareggiati o schiacciati da sensi di colpa, tutto viene visto nell’ottica dello scoraggiamento e delle frustrazioni: si diventa ipercritici, non si trova pace, si perde la fiducia in se stessi e negli altri e anche le cose di Dio sembrano lontane e irraggiungibili.
Fiducia e sicurezza
Ora, questa cura pastorale, così indispensabile, può essere esercitata in modo efficace solo nella misura in cui il pastore viene ricevuto come tale. La cura pastorale allora non viene più “subìta”, ma richiesta e desiderata dalla pecora che ne riconosce la necessità. In Giovanni 10:2-5, viene espresso molto bene il modello di rapporto fra pastore e gregge: è un rapporto di fiducia e di sicurezza che deriva dalla coscienza del fatto che il pastore conosce personalmente le sue pecore, le chiama per nome, si occupa di loro, le protegge da eventuali attacchi, le difende dai mercenari e le pecore sanno riconoscere la sua voce.
Il pastore che ama il suo gregge vuole vederlo crescere in forza e qualità, in modo che ogni pecora sia a sua volta in condizioni di partorire agnellini sani e di nutrirli e farli crescere.
Il pastore dà la sua vita per le pecore (Giov. 10:17) in termini di energie fisiche e di sofferenze, di condivisione di gioie e di dolori, di tempo passato insieme, di preghiera e di ascolto del Signore per le varie situazioni. In questa società in cui l’individuo è sempre più lasciato a se stesso, occorrono persone alle quali il Signore possa dare un cuore capace di prendersi cura di chi arriva fra noi ferito, amareggiato e deluso dalla vita. È scritto: “A quelli che sono soli Dio dà una famiglia” (Sal. 68:6).
Impariamo a calare nella pratica la parola di Dio! La chiesa è la famiglia di cui il solitario ha necessità. E in ogni famiglia esistono padre e madre che cercano il benessere dei loro figli. È interessante notare l’equazione famiglia-chiesa che viene fatta a proposito dei requisiti degli anziani della chiesa, così come leggiamo in 1 Tim. 3:5: “… perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” “Governare” non è solo un fatto di stabilire leggi o di disciplinare, ma implica il preoccuparsi delle necessità della propria famiglia, trovando le soluzioni adatte. Così è anche all’interno della famiglia di Dio, cioè la Chiesa.
Per questo, crediamo fermamente nella necessità di restaurare il ministero di pastore ai livelli che Dio ha stabilito.
Non è infatti materialmente possibile occuparsi in modo adeguato del gregge, se non si è disponibili fisicamente. E la nostra disponibilità dev’essere come quella dei padri nelle famiglie. Si è pastori, per chiamata di Dio, ventiquattro ore al giorno. Il “tempo pieno” sta diventando una necessità impellente. Preghiamo perché il Signore possa trovare piena disponibilità nel suo popolo.
“Costituirò su di loro dei pastori che le porteranno al pascolo, ed esse non avranno più paura né spavento, e non ne mancherà nessuna, dice il Signore” (Geremia 23:4).