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di Emilio Ursomando
Quando Dio volle far costruire un tabernacolo come Sua dimora tra gli uomini, chiamò il Suo servo Mosè e gli disse: “Mosè, costruiscimi un bel tabernacolo. Usa tutta la tua fantasia e il tuo buon gusto” … non è vero?? No, sappiamo bene che non andò così! Dio chiamò Mosè e gli diede delle istruzioni, molto ma molto meticolose (Esodo 26). Nulla era lasciato all’arbitrio dell’uomo. Anzi, Dio lo avvertì: “Vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte” (Esodo 25:40).
Noi, come Mosè, siamo impegnati nella costruzione di un nuovo “tabernacolo” che deve servire come dimora a Dio per lo Spirito. Questo nuovo tabernacolo è la Chiesa (Efesini 2:22), ed anche per esso Dio ci ha lasciato un “modello”. Ma non abbiamo bisogno di salire, come Mosè, su una montagna alla ricerca di ispirazioni o di rivelazioni: esso è stato già disegnato con molta cura nella sua Parola. Ecco gli elementi che lo compongono:
Gesù rappresenta la pietra angolare e il fondamento principale, senza cui l’edificio è destinato inevitabilmente a franare (1° Corinzi 3:11). Apostoli e profeti sono il fondamento della sapienza e della rivelazione, senza cui la chiesa è destinata a finire nel caos o nell’immobilismo più assoluto (Efesini 2:20). Pastori, dottori ed evangelisti: sono incaricati del reperimento, della squadratura e dell’unificazione delle “pietre”, costituiti dai credenti, “pietre viventi” senza cui l’edificio non può essere costruito.
Cinque ministeri
Solo il possesso di tutti questi elementi consente una costruzione della chiesa secondo il modello. Ebbene, se alcuni di essi sono già presenti in ogni chiesa, ce ne sono altri che vanno invece riscoperti, pena il fallimento del nostro lavoro. Sto parlando dei cinque ministeri elencati in Efesini 4:11-12.
Certo, teoricamente li accettiamo anche, ma non basta, così come non basta “credere” teoricamente in Gesù Cristo per diventare una nuova creatura. Se non incontri e ricevi Gesù “in persona”, la tua vita continuerà a crollare per mancanza di fondamento. Allo stesso modo, se non riceviamo tutti i ministeri “in persona”, consentendo loro di fare il loro lavoro nella chiesa, le nostre comunità continueranno a bloccarsi, a franare e a dividersi, e col tempo si spegneranno.
Vediamo spesso nelle chiese pastori fac-totum, ma un pastore non può essere un fac-totum. È solo un pastore. Certo, può anche “facere-totum”, ma a danno della chiesa e, spesso, anche a danno di se stesso e della propria famiglia. Dobbiamo tornare al modello! E il modello è: “È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori … per l’edificazione del corpo di Cristo” (Efesini 4:11-12).
Non dobbiamo fare tutto da soli. Dio ha dato “alcuni”, “altri” e “altri”. Per essere costruita veramente, la Chiesa ha bisogno del contributo di tutti questi ministeri. Essi devono riconoscersi e lavorare assieme, cioè d’intesa, d’accordo, ognuno portando il suo contributo per l’edificazione del Corpo di Cristo.
Dio ha un proposito per il nostro Paese. Due anni fa, Egli mi ha detto: “Il Paese del Papa diverrà il Paese del Re!” Questa è la Sua intenzione, e lo farà. Stanno per arrivare anni di risveglio, ma Dio ci chiama a collaborare, mettendo mano al lavoro e restaurando le nostre chiese secondo il modello.
Riconoscere i ruoli
Tempo fa, un fratello, pieno di amore e di buona volontà, si offrì di ripararmi una presa elettrica. Smontò, armeggiò e dopo un po’ … eravamo tutti al buio! Chiaramente non era un elettricista …!
Non basta la buona volontà e non basta neanche l’amore per la Chiesa. Dio ha dato ad ognuno una particolare misura di grazia e noi dobbiamo imparare a muoverci nel rispetto dei limiti impostici dalla nostra “misura”. Di qui la necessità di riconoscerci. La Bibbia mi insegna che sono solo una parte, non tutto il Corpo, e che ho bisogno dell’aiuto degli altri, se voglio compiere il ruolo affidatomi da Dio per edificare la chiesa. Se sono pastore, ho bisogno dell’evangelista, del dottore, del profeta e dell’apostolo. Se invece sono un evangelista, ho bisogno del pastore, del dottore e così di seguito.
Molti hanno paura del modello, paura di questi “altri”. Non credo sia sempre per ambizione, il più delle volte è solo per insicurezza o per un errato insegnamento ricevuto. Convinti di “proteggere” il gregge, in realtà lo imprigionano e lo sottraggono alle benedizioni che gli “altri” potrebbero invece recargli.
Dobbiamo allontanare questo timore. “Egli ha dato alcuni … altri … altri …” Dio stesso ha stabilito che la chiesa sia costruita mediante il contributo, non di uno o due o tre, ma di tutti i ministeri. Questo è il modello. Voler costruire la chiesa “secondo noi” ci condanna al fallimento ed alla frustrazione, circondati da credenti eternamente bambini, con tutti i problemi che ne conseguono (Efesini 4:14).
Tante chiese inaridiscono per la eccessiva protezione o le paure dei loro pastori. La via che Dio ti indica è invece un’altra: consentire alla tua chiesa di ricevere il dono della grazia che Dio ha messo in “altri”. Invece di smarrirsi e di staccarsi da te, come molti temono, la tua chiesa ti benedirà e ti si legherà di più, perché vedrà in te colui che ha permesso la sua benedizione.
È scritto: “Chi vuol salvare, perderà, e chi sarà pronto a perdere, ritroverà”. Questo principio spirituale vale anche per la nostra chiesa e il nostro ministero. Se cercheremo di tenerceli stretti, li perderemo; se saremo pronti a perderli, per amore del Signore, ci saranno resi moltiplicati.
Il patto
Ma riconoscersi non è sufficiente, bisogna ancora venire assieme e legarsi l’uno all’altro. Facciamo questo con un patto. Non si tratta di formare un’ennesima denominazione né tantomeno una loggia massonica, ma di aderire concretamente al patto di Cristo, che ci chiama ad essere veramente uno per costruire il suo Corpo.
Noi lavoriamo assieme, sulla base di un patto, un patto che non è per la realizzazione di noi stessi, ma perché il Suo regno venga e la Sua volontà sia fatta in terra come è fatta in cielo. Abbiamo infatti realizzato che il problema più grande di Dio siamo proprio noi, i Suoi ministri, molto spesso inferiori al compito a cui Egli ci chiama. Tendiamo a ritirarci, a invidiare, a sospettare, a competere tra noi. Ricordare a noi stessi che Dio ci ha chiamati per costruire la sua Chiesa, e non per affermare il nostro ministero, ci aiuta ad accantonare ogni ambizione personale e tornare ad essere “parte”.
Il patto dà inoltre dei contenuti e dei modelli di comportamento al nostro lavoro insieme. Ci siamo impegnati ad essere e a restare fedeli l’uno all’altro (è molto più facile quando non hai più nulla di tuo da difendere o da conquistare), a sostenerci nei momenti difficili, a non parlarci alle spalle, a restare cioè nella luce e a non puntare alla realizzazione del proprio ministero ma ad usarlo per promuovere e sviluppare il ministero dell’altro … e, strano a credersi, stiamo crescendo tutti assieme.
Il patto, quindi, non è per realizzare noi stessi o una “nostra” opera, ma per costruire la Chiesa, il nuovo tabernacolo di Dio tra gli uomini.
Già in diverse città del nostro Paese, stanno venendo su delle chiese forti dalle rovine in cui giacevano; ma molto, tanto resta ancora da fare. Lo Spirito Santo, come un eterno, instancabile Nehemia, continua nella sua opera di restaurazione, ma ha bisogno della nostra collaborazione. Dio sta guardando l’Italia. Ascoltiamo il suo invito: “Sbrighiamoci e mettiamoci a costruire!” (Nehemia 2:18).
Torniamo al modello, veniamo assieme, uniamo i nostri talenti e i nostri doni e, nei prossimi anni, vedremo questo Paese interamente trasformato dalla gloria di Dio!