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Ernesto Bretscher sr.
Non era molto che stava con i fratelli, frequentandoli quando si riunivano nel tempio e nelle case. Ancora non lo si conosceva molto bene. Qualcuno ricordava di averlo visto svolgere il suo servizio nel tempio (era infatti di discendenza levitica); qualcun altro aveva saputo che era nato a Cipro e che si chiamava Giuseppe.
Forse era stato colpito dalla persona di Gesti, che alcuni chiamavano “Messia” e che diceva egli stesso di essere il Figlio di Dio, mentre insegnava nel tempio. Forse era stato presente quando i suoi capi, insieme a Pilato, avevano inscenato quel processo-farsa che Lo aveva portato alla crocifissione. Forse Giuseppe era stato fra coloro che, dopo aver udito il vibrante appello di Pietro, avevano chiesto con ansia agli apostoli: “Fratelli, che dobbiamo fare?” O forse era accorso anche lui, sbigottito e pieno di stupore, al portico detto di Salomone per veder saltare e camminare, lodando e glorificando Dio, quel paralitico che si era sempre visto alla porta “Bella” a chiedere l’elemosina?
Disponibilità
Comunque, è sicuro che ormai Giuseppe il Cipriota stava assiduamente con i fratelli, e ben presto fu notato dagli apostoli per il suo spiccato atteggiamento di disponibilità, di interessamento e di servizio nei confronti del prossimo e, in modo particolare, di chi era nel bisogno spirituale o materiale. Non gli sfuggivano i giovani che avevano bisogno di incoraggiamento, e fu lui, Giuseppe, a darglielo. Una sorella appesantita da preoccupazioni poteva essere sicura di trovarsi subito al fianco Giuseppe con una parola di esortazione profetica. Anche gli anziani beneficiavano delle sue parole positive di edificazione.
Se poi qualcuno era nel lutto o piangeva per qualsiasi motivo, le parole di consolazione di Giuseppe erano in grado di asciugargli le lacrime, di fasciare le ferite e di rialzare lo sguardo triste. Con il suo atteggiamento umile, sapeva abbassarsi al livello del più debole e del più bisognoso per rialzarlo e incoraggiarlo a continuare il cammino della fede.
Anche quando si trattava di offrire un aiuto economico, Giuseppe non si tirava indietro. Non calcolava le sue “possibilità”, né considerava i suoi beni come appartenenti solo a se stesso. Insieme ad altri fratelli, vigilava perché nessuno della comunità rimanesse nel bisogno. Per provvedere a queste necessità, non si fece alcun problema per vendere i suoi beni per aiutare la chiesa di Dio. Quando infatti, diversi anni dopo, lo Spirito Santo ispira lo scrittore degli Atti degli Apostoli a ricordare questo episodio, fra tanti fratelli che avevano dimostrato una simile disponibilità, è proprio Giuseppe il Cipriota che viene citato quale esempio da contrappone ad Anania e Saffira, i quali, volendo anch’essi “fare qualche cosa per il Signore”, morirono condannati dall’atteggiamento sbagliato del loro cuore (Atti 4-5).
Avendo dunque posto alla base della sua vita un tale fondamento, fatto di disponibilità, di amore fraterno, di carità, di lealtà, di fede, di compassione, di umiltà, di servizio, di altruismo e così via, c’è forse da meravigliarsi se gli apostoli lo distinguevano dai vari altri Giuseppe della comunità, dandogli un soprannome? Non passa infatti molto tempo prima che si parla, non più di Giuseppe il Cipriota, ma di “Barnaba”, soprannome dato dagli apostoli e che significa: “Figlio della consolazione” “dell’esortazione profetica”, o “del conforto”.
E non c’è da meravigliarsi che Dio abbia scelto per un ruolo importante nella Chiesa un uomo con un simile atteggiamento di cuore, condizione indispensabile perché sia affidata a chiunque una così alta vocazione.
Persecuzioni
Passano alcuni anni, anni difficili per la Chiesa a Gerusalemme. Si scatena una forte persecuzione. Alcuni conoscono la prigione, altri sono dispersi, e un fratello, Stefano, uomo pieno di grazia, di potenza e di saggezza, viene ucciso. Tra i più feroci persecutori spicca la figura di un giovane e zelante Fariseo, Saulo, il quale va attorno “spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore”, incarcerando e facendo battere con verghe nelle sinagoghe quanti professano la fede in Gesti.
Durante quegli anni difficili, la formazione di Barnaba quale discepolo si va maturando e perfezionando. Poi avviene una cosa eclatante: a Damasco, il feroce persecutore Saulo incontra Gesti, si converte e in seguito viete a Gerusalemme. Ma i discepoli, spaventati e convinti che si tratta di un nuovo stratagemma per meglio distruggerli, gli chiudono le porte e i cuori. Tutti, tranne uno: Barnaba (Atti 9:26-27). Barnaba aveva ormai i sensi esercitati a discernere il bene dal male, il vero dal falso, l’opera di Dio da quella del diavolo (cfr. Ebr. 5:14). L’amore di Dio si sprigiona dal cuore di Barnaba, il quale abbraccia chi gli è stato nemico e lo conduce agli apostoli.
Quando poi, tempo dopo, alla Chiesa di Gerusalemme giunge la notizia che lo Spirito Santo si sta manifestando potentemente nella regione di Antiochia, in seguito alla testimonianza resa da coloro che erano stati dispersi dalla persecuzione, gli apostoli mandano quale “missionario” proprio Barnaba, uomo pieno di bontà, di Spirito Santo e di fede. Il frutto del suo gioioso servizio si vede ben presto perché una grande moltitudine viene aggiunta al Signore (Atti 11:22-24).
Umiltà
E qui, oltre le virtù già menzionate, si nota un’altra, non sempre evidente (purtroppo) in chi desidera servire Dio: l’umiltà. Barnaba sente il bisogno di “condividere” il risveglio di Antiochia con un altro servo di Dio. Neanche per un attimo considera la crescente opera dello Spirito come la “sua” opera, la “sua” chiesa, il “suo” merito. Non cerca di monopolizzare l’azione dello Spirito per realizzare se stesso, per dare lustro al “suo” ministero, per farsi riconoscere quale “potente servo di Dio”… niente di tutto questo! Barnaba va fino a Tarso per invitare quel “famoso” Saulo a collaborare con lui nell’opera per promuovere la crescita della Chiesa. Da quel momento li vediamo sempre insieme: nell’ammaestrare la Chiesa, quando portano a Gerusalemme una sovvenzione ai bisognosi, e ancora quando tornano ad Antiochia per formare uomini forti, veri discepoli di Cristo.
E mentre sono ad Antiochia, celebrando il culto e digiunando insieme ad altri fratelli ai quali, nel frattempo, il Signore ha affidato i ministeri di profeti e di dottori (cioè insegnanti della Parola), lo Spirito Santo interviene ancora nella vita di Barnaba perché sia appartato per una nuova opera alla quale il Signore l’ha chiamato (Atti 13:1-3). Dopo aver fondato e sviluppato, insieme con Saulo, la chiesa di Antiochia, ora la lascia in altre mani e, sempre con Saulo, parte come apostolo per un lungo viaggio missionario che lo conduce prima a Cipro, sua terra d’origine, poi in Asia Minore, dove sono accompagnati non solo dalla potenza di Dio, ma anche da forti opposizioni, tribolazioni e persecuzioni.
Nel seguire Barnaba e Saulo (poi chiamato Paolo) nei loro viaggi, possiamo notare un altro aspetto molto bello del carattere di Barnaba. A poco a poco, Paolo prende il posto di “leader”: è lui che viene nominato per primo, è lui il primo a parlare (Atti 14:12), è lui che viene lapidato forse perché considerato “il capo”) ed è lui che poi parte “con” Barnaba. Anche se sono strettamente uniti nella missione affidata loro, lo Spirito Santo assegna loro ruoli diversi. Ma Barnaba non ha alcun problema ad accettare di buon grado anche quello, forse subordinato, che lo Spirito Santo gli dà. È lontano dal suo pensiero il desiderio di difendere un “primato”, un “ruolo guida”; piuttosto è disponibile ad accettare qualunque cosa lo Spirito vorrà decidere.
Dissensi
Era inevitabile che prima o poi sarebbero sorte tensioni e dissensi in seno alle chiese tra i convertiti dal paganesimo e coloro che provenivano dal Giudaismo. Occorreva dare una chiara direzione dottrinale alle nascenti chiese per evitare che si frantumassero in base a vedute personali. E quando si sono incontrati gli apostoli e gli anziani a Gerusalemme per cercare di capire insieme il piano di Dio e la direzione dello Spirito Santo, tra i “fratelli più ragguardevoli” c’erano anche Barnaba e Paolo.
Così, in mezzo a quella chiesa che l’aveva visto nascere alla nuova vita in Cristo, accanto alle sue “colonne”, gli uomini dai quali aveva ricevuto il primo “latte” spirituale, pienamente accettato come strumento dello Spirito Santo per raggiungere il mondo con il messaggio del Vangelo, Barnaba narrava ai suoi “maestri” i segni e i prodigi che Dio aveva fatto fra i Gentili per mezzo suo e di Paolo. Non c’è dubbio che il loro contributo fu determinante perché lo Spirito Santo trovasse spazio nei cuori dell’assemblea per poter indicare quale fosse la strategia di Dio per tutti i tempi a venire (Atti 15, Gal. 2).
Per Barnaba, il cammino da “semplice credente” a un fruttuoso e potente ministero non fu facile. Il passaggio da “bambino” spirituale alla statura di “uomo fatto” gli durò parecchi anni e comportò moltissime prove e difficoltà e certamente anche delle crisi. Ma, sin dai primi passi della sua vita di fede, lo Spirito Santo aveva libero accesso al suo cuore per plasmarlo, per formarlo, per imprimergli il carattere di Dio. Quel cuore perfettamente disponibile era un materiale adatto per formare un “vaso d’onore” che, contenendo il buon profumo di Cristo, l’avrebbe potuto poi spandere in un ministero apostolico di grande rilievo.
Esempio
Sono convinto che oggi più che mai Dio desidera chiamare al ministero degli uomini ai quali conferire la Sua autorità. La Chiesa ha bisogno urgente di apostoli, di profeti, di evangelisti, di pastori e dottori “per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edifcazione del Corpo di Cristo” (Ef. 4:12).
Ma sono altrettanto convinto che la chiamata di Dio potrà indirizzarsi solamente a coloro che, già nel ruolo di “semplici credenti”, esprimono il cuore di Dio, il carattere di Dio, la grazia di Dio, lasciandosi trasformare giorno dopo giorno dallo Spirito Santo, fino ad essere conformi all’immagine del Figlio di Dio (Rom. 8:29).
Di tutto ciò, Barnaba ci offre un esempio meraviglioso. Il suo cuore leale non fu mai invaso dal pensiero di realizzare se stesso, di impressionare gli altri, di competizione, di difesa della propria immagine e così via. Non aveva che un solo desiderio: servire, servire e servire ancora perché venisse costruito il Regno di Dio.
Anche se, in seguito, sorsero delle tensioni tra lui e Paolo a motivo di suo cugino Marco, dalla prima lettera ai Corinzi possiamo capire che c’era stata una riconciliazione tra i due apostoli, segno evidente della grazia di Dio operante nella loro vita.
Se si dovesse definire con pochissime parole la via alla chiamata da parte di Dio, credo che basterebbe citare Romani 1:1: “Paolo, servo di Cristo Gesti, chiamato ad essere apostolo”.
La via alla chiamata è la via del servizio!