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di Geoffrey Allen
“Tutti in piedi!”, esclamò il predicatore. I membri della comunità, che si erano appena seduti per ascoltare il sermone, si domandarono che cosa stesse mai accadendo. “È mio privilegio questa mattina ordinarvi tutti quanti ai ministeri! – egli pronunciò. – Potete accomodarvi!”
Credo che gran parte dei credenti italiani ha ancora, senza saperlo, una mentalità cattolica per quel che riguarda “il ministero”. Anche tra noi evangelici, si crea di fatto una netta separazione fra “clero” e “laici”. Diciamo di credere nel “sacerdozio di tutti i credenti”, ma poi parliamo dei “servitori di Dio”… come se non fossimo stati chiamati tutti quanti a servire Dio!
Infatti, la Parola di Dio dice che Colui che “ci ha salvati”, nello stesso tempo “ci ha rivolto una santa chiamata” (2° Tim. 1:9). Con lo stesso atto con cui ci ha “liberati dal peccato”, Egli ci ha anche “fatti servi di Dio” (Rom. 6:22). Ci siamo convertiti dagli idoli “per servire il Dio vivente e vero” (1° Tess. 1:9).
Tutto il discorso di Paolo sulla chiesa come corpo di Cristo (1° Corinzi 12) è teso a mettere in evidenza il fatto che ogni membro è necessario al suo corretto funzionamento: “L’occhio non può dire alla mano: «Io non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere più deboli, sono invece necessarie” (vv. 21-22).
Ma dove si trova una chiesa che funzioni realmente così? È una domanda che mi sono posto già prima della conversione; infatti, la mia conversione è dovuta in gran parte proprio al fatto di aver trovato, finalmente, un gruppo di credenti che almeno si avvicinava in qualche maniera al modello di vita e di servizio qui descritto dall’apostolo Paolo.
Un corpo malato
Uno dei grossi interrogativi che i credenti si pongono è: “Perché tante volte preghiamo per i malati ed essi non guariscono, quando il Signore ha promesso che sarebbero guariti?” (Mc. 16:18, Giac. 5:15-16). In realtà, questo è solo un aspetto particolare della domanda ancora più importante: “Perché tante volte preghiamo e non otteniamo le cose che chiediamo, come Gesù ha ripetutamente promesso?” (Matt. 7:7-11, 18:19, 21:22; Giov. 14:13-14,15:7, 16:23-4, ecc.).
Anch’io ho posto con insistenza questa domanda a Dio, e credo di aver ricevuto da Lui una risposta, almeno parziale. Certo, ci sono tanti motivi per cui le nostre preghiere non ricevono risposta. Ma uno dei più importanti è senz’altro questo: “Il mio corpo è malato!”
Quando “la Parola è diventata carne ed ha abitato per un tempo tra di noi”, ha scelto di sottoporsi a tutti i limiti e a tutte le debolezze della nostra umanità. Gesù ha sofferto la fame, la sete e la stanchezza. Ma non leggiamo che Egli sia stato malato. Anzi, ci è difficile immaginare che il Signore della vita potesse ammalarsi, o per lo meno restare a lungo malato.
Dopo la sua ascensione in cielo, Egli ha voluto vivere e operare in un nuovo corpo – quello di cui tutti noi siamo membra – e si è sottoposto nuovamente ai limiti che questo comporta. E oggi, purtroppo, bisogna dire che questo Corpo risulta molto malato! E spastico: ci sono cioè molte membra che si muovono in maniera autonoma e non obbediscono agli ordini del Capo. E soffre anche di paralisi: ci sono cioè membra che non svolgono nessuna funzione, ma devono essere trascinate come un peso morto.
Un corpo sano non contiene membra “inutili” o “superflue”. Un tempo si pensava che le ghiandole fossero dei grumi di tessuto inutile, ma successivamente si è scoperto che invece regolano tutte le nostre funzioni vitali. Cinquant’anni fa, era di moda farsi togliere le tonsille “inutili”, ma oggi si è capito che invece servono. Anche l’appendice, un tempo ritenuta del tutto superflua – un vestigio del processo dell’evoluzione – ha le sue funzioni. Ma molti cristiani pensano ancora di essere superflui al corretto funzionamento del corpo di Cristo!
Dio non ha mai voluto che i cristiani operassero come individui isolati e staccati, senza riferimento al resto del Corpo. Nessuno è in grado di fare da solo tutto il lavoro; nessuno è stato dotato di tutti i doni e tutti i ministeri dello Spirito Santo. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Io posso fare la parte assegnatami dal Signore; ma se tu non fai la tua, non verrà fatta!
Ecco perché molte volte i malati non guariscono e le preghiere rimangono inefficaci. “Dio ha posto nella chiesa… i miracoli, poi i doni di guarigione…” Ma questi doni operano nella tua chiesa? O lasci fare tutto al pastore o agli anziani che magari hanno solo i “doni di governo” (1° Cor. 12:28)? Forse eri proprio tu che dovevi svolgere questo servizio nel Corpo di Cristo, e non succede nulla perché tu non lo fai!
Due estremi
Quanto al ruolo e alla funzione del nostro “clero”, poi, i credenti oscillano tra due estremi, entrambi sbagliati. Da una parte, una grossa fetta degli evangelici rifiuta, o quasi, ogni ministero “a tempo pieno”, probabilmente per reazione alla figura del prete, “parassita sociale” che non lavora. (Forse c’entra anche la mentalità contadina per la quale “lavoro” è solo quello fisico e manuale). Dall’altra, c’è l’esaltazione del “servizio a tempo pieno” come unico modo valido di servire Dio, “l’uomo di Dio” messo su un piedistallo.
Bisogna riconoscere che il rifiuto del “servizio a tempo pieno” può derivare – seppure in modo sbagliato – da una visione biblica del “corpo di Cristo” in cui tutti sono chiamati a svolgere un ruolo attivo. Troppo spesso, però, è motivato semplicemente da spregevoli interessi economici: “perché dovrei dare i miei soldi per stipendiare uno che non lavora?”
È anche vero che in molte chiese, mancando del tutto il concetto e (sopratutto) la pratica della cura pastorale, non c’è motivo di stipendiare un pastore a tempo pieno. Se tutto ciò che egli deve fare è predicare la domenica e condurre qualche matrimonio e qualche funerale, può benissimo farlo… “a tempo perso”, come si suol dire.
D’altro canto, coloro che esaltano il “ministerio a tempo pieno” si considerano forse superiori all’apostolo Paolo, il quale si guadagnava il pane fabbricando tende tutte le volte che ne aveva la possibilità o la necessità? (Atti 18:3, 1 ° Cor. 9:1415, 2° Tess. 3:7-8) … per non parlare di Gesù, che lavorò come falegname per molto più tempo di quanto ne passasse come “ministro di Dio a tempo pieno”!
Servi di Dio e degli uomini
Il termine “ministro”, in realtà, non significa altro che “servo”. E, come abbiamo visto, siamo stati chiamati tutti al servizio nel corpo di Cristo. Anzi, siamo stati tutti chiamati a servirlo “a tempo pieno”! Non è forse a noi che Gesti ha detto: “Cercate prima il regno e la giustizia di Dio …” (Mt. 6:33)? Prima di che cosa? Prima del cibo, prima del vestire … prima di tutto!
Tutti siamo stati chiamati ad essere “cristiani a tempo pieno”. Andare a lavorare otto ore al giorno in fabbrica o in ufficio non è in contraddizione con il servizio di Dio, anzi …, è proprio quello il luogo in cui siete stati chiamati a servirLo! Gli “ambasciatori del Regno di Dio” vengono inviati dappertutto per irradiare, con le parole e con l’esempio, la luce di Dio.
“Servire Dio” non è solo predicare dei sermoni ai fedeli la domenica (anzi, vi dirò un segreto: noi che lo facciamo “di mestiere”, a volte ci chiediamo se serve a qualche cosa …!). È anche sudare (con i muscoli o con il cervello) per provvedere alle proprie necessità e quelle della famiglia, per contribuire al finanziamento dell’opera del Regno di Dio e, aggiunge la Parola di Dio, per “avere qualcosa da dare a colui che è nel bisogno” (Ef. 4:28). È anche “visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni” (Giac. 1:27). È anche montare l’impianto di amplificazione per un’evangelizzazione in piazza e girare gli uffici per le necessarie autorizzazioni. È anche accudire ai bambini dei vicini di casa perché i genitori possano uscire per una volta insieme a mangiare una pizza.
C’è però una categoria “privilegiata” di “servi di Dio a tempo pieno”, oltre ai pastori e gli evangelisti: sono i credenti disoccupati! Se la tua giornata non è riempita da impegni di lavoro o di studio, oltre a fare tutto ciò che è in tuo potere per trovare un lavoro (non importa quale) per non essere di peso agli altri, hai il resto del tempo libero per servire Dio, la chiesa e la gente! Non manca il lavoro – ha detto qualcuno – manca solo qualcuno che ti paghi per farlo! Chi ha il desiderio di “cercare prima il regno e la giustizia di Dio”, troverà tante di quelle occasioni di servizio da non avere più il tempo per sfruttarle tutte.
Trovare la tua chiamata
C’è un’infinità di modi di servire Dio. Ma la base di tutti è: avere un cuore di servo. Per constatare se hai le carte in regola, prova a farti le seguenti domande:
- Sono contento di rendermi utile in qualsiasi maniera viene richiesta, o solo in quei compiti dove mi sento più capace degli altri?
- Sono contento di servire quando vengo ringraziato o riconosciuto pubblicamente, ma non quando nessuno se ne accorge?
- Faccio meglio il lavoro quando mi vedono gli altri che non quando solo Dio mi vede?
Il re Davide, “l’uomo secondo il cuore di Dio”, aveva il giusto atteggiamento. Egli aveva una posizione pubblica e godeva di grande onore e stima, tuttavia scrisse: “Io preferirei stare sulla soglia [altre traduzioni interpretano la frase: “fare il portinaio”] della casa del mio Dio, che abitare nelle tende degli empi” [noi diremmo: “fare una vita da nababbo con gli empi”] (Sal. 84:11). Quando si trattava di dare onore a Dio, non gli importava niente di fare una figuraccia davanti a tutto il popolo (2° Sam. 6:14-22)! Anche noi la pensiamo così?
Molti credenti si pongono il problema di trovare quale sia il lavoro o il ruolo al quale Dio li ha chiamati. E nell’attesa di qualche grande rivelazione celeste, non fanno niente! Ma il modo più semplice per trovarlo è: mettiti a servire! “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze”, consiglia il Saggio (Eccl. 9:10). Come il timone può dirigere una nave solo quando è in movimento, così Dio può guidarti solo se ti metti in moto.
Farai presto così a scoprire di essere più capace in certe cose che non in altre. Di solito ci sono tre indicatori che coincidono per guidarti nel ruolo al quale Dio ti chiama: 1) Ti piace farlo e ti realizzi in questa forma di servizio; 2) Sai di farlo bene (basta con la falsa modestia!); 3) Te lo confermano gli altri (specialmente i responsabili della chiesa).
Conosci te stesso
Come ulteriore indicazione, molti commentatori trovano nell’elenco di Romani 12:6-8 sette tipi di servizio cristiano, corrispondenti ad altrettanti tipi di personalità (vedi il riquadro: “Che tipo sei?”). È errato pensare che Dio, nel chiamarci a diversi ruoli di servizio nella Chiesa, non tenga conto del nostro temperamento e delle capacità naturali. Certo, la tendenza o l’abilità naturale da sola non basta; ma d’altro canto, non è stato forse Dio a crearci tutti diversi l’uno dall’altro, e a formarci e chiamarci “fin dal seno della madre” per il lavoro al quale ci ha destinati nel suo Regno? (Ger. 1:5, Is. 49:1, Gal. 1:15).
Ma, che tu abbia già scoperto il tuo ruolo particolare di servizio o meno, non specializzarti troppo! Questo vorrebbe dire porre un freno all’opera dello Spirito Santo nella tua vita. Non pensare: “Quello non è compito mio”. Se vedi un bisogno, hai trovato un lavoro!
E non pensare che il ruolo che ricopri attualmente sia il punto di arrivo della tua carriera spirituale. Stefano e Filippo erano diaconi nella chiesa di Gerusalemme, incaricati dei servizi sociali e dell’amministrazione del denaro. Ma questo non impedì loro di predicare il Vangelo con grande potenza, né a Dio di confermare la loro predicazione con segni e miracoli (Atti 6:1-8, 8:5-7). Infatti più tardi Filippo viene definito “l’evangelista” (Atti 21:8). Similmente, Barnaba e Saulo erano tra i “profeti e dottori” di Antiochia fino a quando lo Spirito Santo li mise da parte per diventare apostoli (Atti 13:1-4, 14:14).
C’è lavoro per tutti! Non stiamo dunque con le mani in mano ad aspettare che un sogno, una visione o una profezia strabiliante ci chiami a chissà quale altisonante compito nel Regno di Dio. Piuttosto rimbocchiamoci le maniche e, come disse Nehemia al popolo di Dio del suo tempo: “Leviamoci e mettiamoci a costruire!” (Neh. 2:18).