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di Martyn Dunsford
Siamo convinti che bisogna realizzare una pluralità di anziani in ciascuna chiesa, ma nello stesso tempo che uno di essi deve avere la responsabilità di supervisore: occorre abbinare una guida autorevole e un lavoro di squadra.
- L’autorità va esercitata con umiltà. I leaders non devono interpretare il loro ruolo in modo dispotico o come un rapporto a senso unico, ma considerarlo come servizio. Devono sviluppare con le persone profondi legami di amicizia e di dialogo per camminare insieme uniti nella diversità, non in una piatta uniformità. La diversità è buona; la divergenza, no.
- Il governo della chiesa è riservato agli uomini; le sorelle non sono ammesse a questa funzione.
- Le sorelle sono invece libere di ministrare e vanno incoraggiate, allo stesso modo dei fratelli, a sviluppare i loro doni e ministeri. Esse non sono escluse da nessuna area: possono partecipare al servizio pastorale, alla fondazione di chiese, alla profezia, eccetera, ma sempre sotto la guida autorevole e protettiva di un anziano responsabile. Intendiamo 1° Timoteo 2:11-15 a significare che le sorelle non possono esercitare un ministero dell’insegnamento che determini autorevolmente le posizioni dottrinali di una chiesa.
- Riconosciamo la necessità dell’apporto profetico, sia del dono di profezia che, ancora di più, di un ministero profetico di statura consistente. Riconosciamo il grande valore della rivelazione e dell’ispirazione profetica, soprattutto per rafforzare, incoraggiare, confortare e convincere (1° Corinzi 14:3-24); ma la profezia in se stessa non può dare direttive. Non solo va giudicata (1° Corinzi 14:29, 1° Tessalonicesi 5:21), ma bisogna anche comprendere che il profeta, e chiunque profetizza, ha la sola responsabilità di riferire la parola che Dio gli ha dato. È significativo che ogni volta che viene menzionato il profeta Agabo (Atti 11:27-30, 21:10-14), egli lascia che siano gli altri a decidere quali azioni intraprendere alla luce delle sue rivelazioni.
- L’apporto di altri ministeri translocali, quali quello apostolico, non toglie l’autorità al presbiterio locale. L’autorità di un apostolo non sta nel suo titolo, ma nella sua capacità di comunicare la volontà di Dio, e viene esercitata attraverso i pastori locali e in collaborazione con loro. In altre parole, egli non può imporre loro delle decisioni arbitrarie. Può invece annullare le loro decisioni per questioni gravi in cui essi si siano dimostrati incapaci: per esempio, di disordine morale, come in 1° Corinzi 5:1-5, o per denunciare la prepotenza di un Diotrefe e approvare un Demetrio (3° Gv. 9-12).
È un grande beneficio per una chiesa locale poter contare su un ministero apostolico “paterno” (1° Corinzi 4:15), uno che la conosca abbastanza bene da darle un aiuto rilevante e che abbia quindi con essa un rapporto speciale. Ma questo non deve mai escludere l’apporto di altri ministeri, qualunque essi siano. Ogni ministero che possa aiutare, benedire o edificare la comunità deve essere ricevuto, come Paolo voleva che lo fossero Pietro e Apollo a Corinto (1° Corinzi 1:10-12), anche se questo potrebbe comportare il rischio di divisioni. La chiesa deve trovare la forza per evitare le divisioni mediante un giusto insegnamento e una guida matura, non escludendo l’apporto di altri ministeri. Una simile apertura impedisce che si sviluppi nella chiesa, o in un gruppo di chiese associate, un atteggiamento settario.
Le chiese locali devono sostenere nuovi ministeri per diffondere il Vangelo in altre località. Dobbiamo coltivare una visione mondiale, riconoscendo che “Dio ha tanto amato il mondo” e che noi siamo una piccola parte del popolo di Dio tratto da ogni nazione. La consapevolezza della nostra “appartenenza a un popolo” ci libera dall’introspezione campanilistica per poter aiutare e servire gli altri, anche in altre nazioni, via via che Dio apre le porte per il ministero e crea nuove relazioni per estendere il Suo Regno. Anche noi potremo ricevere beneficio ed edificazione accogliendoli in mezzo a noi.
La squadra di ministeri che ruotava attorno a Paolo era internazionale, e le sue lettere dimostrano un affetto e un interessamento tra credenti e tra chiese che superano ogni barriera di nazionalità: si veda per es. 1° Corinzi 16:15-21, Filippesi 2:19-30 e Colossesi 4:7-15.
La leadership nella chiesa locale
Bisogna migliorare la qualità dei conduttori della chiesa. I veri leaders:
- hanno un forte senso della chiamata di Dio nella loro vita;
- sono caratterizzati dalla visione e dalla fede; non vacillano perché sanno verso quale meta sono diretti;
- ispirano fiducia, incoraggiano, spronano; guidano gli altri con l’esempio, precedendoli, non spingendo da dietro;
- si assumono la responsabilità di compiere la loro parte del lavoro;
- esercitano l’autorità con umiltà, essendo contemporaneamente servi e capi;
- comprendono la dinamica di una leadership di squadra, non indipendente;
- la loro leadership comprende sia aspetti organizzativi (ideare strutture che permettano di raggiungere determinati obiettivi) che pastorali (assicurare che le persone siano seguite e che progrediscano);
- lavorano sodo, restando fedeli alla chiamata, e conseguono gli obiettivi;
- sanno formare altri e delegare loro responsabilità, scegliendo uomini di fedeltà e visione, desiderosi di apprendere e di essere messi alla prova, pronti a riconoscere l’area in cui hanno ricevuto doni e unzione e disposti a lavorare insieme in un contesto di squadra;
- desiderano raggiungere l’eccellenza e migliorare continuamente;
- non si tirano indietro da scontri e battaglie quando l’opera è minacciata.
Priorità e obiettivi nella vita della chiesa
È necessario avere sulla vita di chiesa idee chiare e radicate nella Bibbia. I principi generali della Parola di Dio devono essere applicati alla pratica; per esempio:
- gli incontri nelle case (Atti 2:46) diventano gruppi in casa, cellule, ecc.;
- le riunioni di tutta la chiesa descritte in 1° Corinzi 14 ci danno indicazioni sul soprannaturale, sulla pienezza dello Spirito e sulla libertà;
- lo sviluppo della leadership è definito in 2° Timoteo 2:2: l’istruzione e la formazione di uomini fedeli.
I buoni leaders non subiscono gli avvenimenti ma sviluppano dei progetti, stabiliscono obiettivi e, mediante la comprensione e la messa in pratica della Parola di Dio, trovano i modi per realizzarli.
A volte questo può creare tensioni e addirittura conflitti nella chiesa, poiché questa vive una contraddizione. Da una parte essa ha un aspetto relazionale, che mira ad accogliere e incoraggiare le persone, tenendo conto delle loro debolezze e venendo incontro ai loro bisogni: i rapporti sono visti principalmente come lo strumento per soddisfare le loro esigenze.
In tensione con questo è l’aspetto missionario, che sottolinea il lavoro da compiere, Questo richiede un certo grado di competenza e un maggiore impegno personale e tende a produrre un senso di superiorità nei confronti di coloro che non hanno questi requisiti. Le relazioni sono considerate in funzione dell’opera.
Entrambi gli aspetti devono essere presenti nella chiesa. Solo così ognuno potrà trovare il proprio posto, senza sentirsi disprezzato, se è orientato verso la comunione, o frustrato, se verso il servizio. Crescendo verso la maturità, i credenti cresceranno anche nell’impegno in compiti specifici; e alcuni di questi saranno collegati proprio con l’aspetto relazionale.
La tendenza naturale della chiesa è quella di curare il mantenimento della propria comunione e di trascurare compiti più impegnativi quali l’evangelizzazione o la preghiera, perché è difficile raggiungere un livello costante di impegno in questi e perché, per mettere in discussione lo status quo, c’è da sacrificare maggiormente la propria comodità.
Per mantenere il giusto equilibrio, la chiesa deve essere guidata con determinazione e con saggezza. Nel dare direzione alla chiesa locale, un buon leader deve essere capace di:
- comprendere dove si colloca la comunità tra i due poli della “comunione” e la “missione”.
- impartire gli insegnamenti del caso per stimolare la fede e l’impegno;
- individuare coloro che sono pronti a partire e metterli al lavoro;
- formare dei gruppi per determinati compiti;
- usare la comunione della chiesa per stimolare coloro che non sono ancora pronti a impegnarsi.