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di Therese Cirner
Una domenica siamo andati in chiesa con tutti i nostri figli vestiti nello stesso colore. Se ricordo bene, l’idea era partita da loro: qualcuno aveva suggerito: “Che bello se ci vestiamo tutti d’azzurro!”, e via, ognuno è andato a tirare fuori quello che aveva di quel colore.
Sicuramente avrei già dimenticato l’episodio, se non fosse per la reazione che provocò. Più di una persona mi si accostò alla fine del culto per domandare se ora credevo che i figli dei credenti dovessero vestirsi tutti allo stesso modo!
In altre occasioni si è avviata una discussione sul modo in cui debbano presentarsi le donne cristiane per il semplice fatto che ho i buchi agli orecchi, oppure perché quel giorno non mi ero truccata.
Ma perché mi trovo sottoposta a tanto scrutinio? Non è – ve lo posso assicurare! – perché io sia unica al mondo. È semplicemente perché occupo un posto di responsabilità. Non cesso mai di meravigliarmi dell’attenzione con cui mi osservano le altre donne per questa sola ragione. Dopo aver servito per diversi anni in una posizione di responsabilità nella nostra comunità, mi sono resa conto che la leadership implica essere tenuti sotto osservazione. Che ci piaccia o no, chiunque guida è inevitabilmente preso come modello.
So che quando ascolto altri leaders, faccio attenzione non solo alle loro parole, ma anche ai loro gesti, al modo in cui si presentano, a come si vestono e alle illustrazioni che usano tratte dalla loro vita personale. Perciò non mi sorprende il fatto che altre donne prestino attenzione a queste cose quando parlo io. Ma spesso preferirei che smettessero di osservarmi quando lascio il podio.
Non fingere la perfezione
Come affronto dunque una vita vissuta nella consapevolezza che non posso considerarmi “fuori servizio” quando lascio il podio o quando finisco di guidare un gruppo di comunione tra donne?
Qualche tempo fa, avvertii che il Signore mi diceva che l’unico modo in cui potevo sopravvivere era quello di essere me stessa … e che questo era sufficiente. Cioè, non dovevo lasciare che il mio comportamento fosse influenzato dal fatto di essere tenuta sotto osservazione, cercando di essere o di non essere in un certo modo. Ho trovato che questo è veramente sapienza divina.
Le donne più stressate nel lavoro pastorale sono quelle che si sentono “di servizio” ventiquattro ore al giorno. Chi sente che, ogni volta che esce di casa, deve cominciare a recitare il ruolo di “donna cristiana perfetta”, alla fine si stancherà e non vorrà più stare in mezzo alla gente. È già abbastanza impegnativo dover aiutare gli altri con i loro problemi; non ho proprio bisogno dello stress addizionale che deriva dal tentativo di presentare un’immagine falsa! Quando ho bisogno di riposo, deve essere un riposo dal lavoro, non dallo sforzo di presentare una certa immagine.
Ogni leader ha la responsabilità di diventare il miglior modello che può. Una donna che è un punto di riferimento per le altre deve dimostrare come una donna ama Dio, come vive la propria femminilità, come ama le proprie sorelle in Cristo, come gestisce le responsabilità domestiche, come si prende cura della famiglia, come cerca con tutto il cuore il regno di Dio. Diventare un esempio in tutte queste aree è una grave responsabilità, e una in cui tutti noi che ci troviamo in posizioni di leadership dovremmo impegnarci.
Ma dobbiamo farlo in maniera autentica e onesta. Non possiamo essere una cosa in pubblico e un’altra in privato: comportarci “là fuori” come se avessimo la vittoria a tutto campo e poi permetterci di peccare di pigrizia, di irritabilità o qualunque sia la nostra debolezza particolare. Una doppia vita, presto o tardi, ci scoppierà in faccia. La donna non è stata fatta per sopportare uno stress del genere.
Ho scoperto che la soluzione non è quella di abbandonare ogni tentativo di fare le cose giuste, ma piuttosto di smettere con i tentativi di apparire migliore di ciò che sono realmente. È questo, secondo me, che voleva dire il Signore quando mi ha detto di essere me stessa. Non mi voleva dire: “Non cercare più di vincere il peccato”, ma piuttosto che devo essere la donna che sono, una che deve lottare con debolezze e con problemi, e non fingere di essere una che non ha problemi.
In cammino
La perfezione è qualcosa che raggiungeremo solo quando saremo con Gesù nell’eternità. Parteciperemo alla Sua gloria e saremo totalmente immersi nella Sua grazia. Non peccheremo più; non ci sentiremo nemmeno stanchi!
Ma fino allora, siamo tremendamente imperfetti. Perciò il criterio per la scelta delle persone cui affidare le responsabilità non può essere quello della perfezione. Piuttosto si richiede che siano in cammino verso la perfezione, consapevoli dei propri pregi e difetti, ringraziando Dio per i pregi e chiedendoGli come usarli per servirLo con sempre maggiore efficacia, e che siano dispiaciuti per i propri peccati e impegnati a crescere nella santità.
Talvolta sono gli altri che pretendono da me la perfezione. Ma sto imparando a non lasciarmi incastrare dalle loro attese perfezionistiche. Il fatto che qualcuno pensa che io debba essere perfetta in ogni maniera non obbliga me a pretendere questo da me stessa! Io so, realisticamente, di essere debole in alcune aree e più forte in altre. Ma sto crescendo.
Anche l’apparenza dell’autosufficienza deve scomparire. Soltanto perché sono in una posizione di responsabilità, questo non vuol dire che non debba mai avere bisogno di nessun altro. La leadership non ci nega la possibilità dell’amicizia e del riposo.
Chiunque si trovi in una posizione in cui aiuta gli altri, a volte ha bisogno di essere a sua volta aiutato. Ci sono dei momenti in cui ho bisogno di bussare alla porta di qualcuno e di dire: “Ti devo parlare. C’è qualcosa che non va nella mia vita e da troppo tempo sto combattendo con questa debolezza. Mi puoi aiutare?”
L’autosufficienza è il modello sbagliato di vita cristiana per chiunque. Condurre altre donne non significa insegnare loro come andare avanti senza l’aiuto di nessuno, ma piuttosto dimostrare con la propria vita di riconoscere il proprio bisogno di aiuto e cercarlo.
Non sempre “Benissimo, grazie!”
Un’altra cosa: Non siamo in obbligo di dare l’esempio di un sorriso permanente. Non trovo che gli uomini e le donne della Bibbia abbiano sempre sorriso. Anzi, leggendo le Scritture, trovo molte più occasioni in cui si digrignano i denti e si battono il petto.
Fare finta che tutto va sempre nel migliore dei modi è falsità. La vita reale ha, come è detto nelle promesse matrimoniali, dei momenti buoni e altri cattivi, la malattia oltre alla salute, la povertà e non solo la ricchezza. Nessuno ha una vita esente da problemi.
Ci sono per tutti noi delle stagioni nella vita in cui certe cose diventano difficili. I nostri familiari si ammalano, e ci ammaliamo anche noi. Soffriamo gli effetti dell’invecchiamento. Possiamo avere problemi matrimoniali, non perché non abbiamo un buon matrimonio ma perché la vita ci mette sotto pressioni particolari o perché il Signore mette in evidenza un difetto con il quale dobbiamo fare i conti. Questi non sono sintomi del fallimento spirituale, ma sentieri che ci portano verso la santità.
Come responsabili, non dobbiamo nascondere sotto il tappeto le difficoltà della vita. Dio non intende che sorridiamo dicendo: “Ah, il piano di Dio per la mia vita è così meraviglioso!” anche quando non ci sentiamo per niente felici.
Dichiarare il falso, dicendo sempre che va tutto bene, non aiuta gli altri a far fronte alle sofferenze della vita. Ciò che invece aiuta le altre donne è poter osservare in che modo una credente affronta le difficoltà. Come fa fronte a una malattia in famiglia? Come affronta i problemi economici? Come esercita la fiducia in Dio? In che modo il Signore la sostiene in simili momenti?
Anche qui, non è necessario che io sia perfetta per poter costituire un modello utile. In mezzo alle difficoltà pecco, sbatto la testa e commetto errori di vario genere. Tuttavia, posso esemplificare una donna la quale, nei momenti difficili, sa che il mondo intero non è improvvisamente impazzito e confida che c’è un Dio che è in controllo della situazione, il quale è anche il nostro Padre amorevole che ha cura di noi.
Un esempio realistico
L’approccio giusto al dovere di essere un modello per altre donne sta tra due estremi: uno, quello di fare finta di essere arrivate alla perfezione, e l’altro quello di accontentarci di meno di quanto ci è possibile fare. Vuol dire né pretendere di essere ciò che non siamo, né abbandonare il tentativo di essere il meglio che, con l’aiuto di Dio, possiamo diventare. Chiamo questa via di mezzo quella della “autenticità”.
Quando Dio ha fatto ciascuno di noi, ha fatto un buon lavoro. Se siamo al riposo nella convinzione che Dio ci ama e che Egli è riflesso in ciascuno di noi in maniera unica, i doni dello Spirito operano in noi con maggiore facilità, secondo la misura della grazia che Egli ci ha concesso.
Una chiave per essere “autentici”, ho trovato, è quella di ascoltare le reazioni degli altri. Ho bisogno di sentire le opinioni di mio marito, di altri in posizioni di responsabilità, e dei miei fratelli credenti sull’andamento del mio servizio cristiano.
Non è che dobbiamo stare lì a chiedere continuamente: “Come sono andata? Come mi presento? Che ne pensi tu?” Ma ogni tanto, ci è utile sottoporci a una valutazione del proprio cammino, facendo domande quali: “Vuoi esprimere una valutazione dei miei pregi e dei miei difetti? Come posso migliorare nel servizio che svolgo?” Questo mi libera dal peso di dover arrivare da sola a tutte le risposte. Ricevo un aiuto per capire quali cose sto facendo bene e in quali altre devo invece migliorare. Questo è fortemente liberatorio.
La ricerca dell’autenticità non risolve tutti i problemi derivati dal fatto di vivere sotto i riflettori. Ma abbandonare le false aspettative di ciò che io debba essere come leader di altre credenti mi ha aiutato a sopravvivere. E spero che io abbia anche fornito a quelle donne che mi hanno osservato un modello realistico di ciò che significa vivere una vita cristiana.
Therese Cirner ha responsabilità pastorali per altre donne nella comunità The Word of God di Ann Arbor, Michigan, USA, ed è l’autrice di diversi libri.