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di Giovanni Traettino
“Perché nella tua chiesa ci sono donne pastore?” chiesi ad un noto leader pentecostale sudamericano.
“Io sono un gentile”, fu la sua risposta tra il serio e il faceto.
Inizialmente perplesso, ho trovato successivamente quella risposta una chiave di lettura interessante per comprendere la natura del dibattito in corso sul ruolo e sul ministero della donna nella chiesa.
C’è una parte della chiesa, quella che potremmo definire dei “femministi cristiani”, che sostiene, con varie sfumature ed accentuazioni, la natura essenzialmente culturale della “questione femminile” nella Scrittura e nella storia della Chiesa. L’altra parte, quella che potremmo definire del “partito conservatore”, sostiene – pure essa con varie sfumature – il valore sostanzialmente permanente della concezione biblica della natura e dei ruoli maschile e femminile.
Un terremoto culturale
È in corso uno degli scuotimenti (Ebrei 12:26) più profondi della storia del mondo e con esso, in primo luogo, della chiesa e della civiltà occidentale. Viviamo in modo doloroso e nella nostra carne un tempo di transizione tra i più sconvolgenti della storia dell’umanità.
È come se il movimento di lenta deriva dei continenti si fosse di colpo accelerato, provocando sommovimenti drammatici capaci di ridefinire struttura e volto dell’intero pianeta. Terre una volta sommerse riemergono ora dagli oceani, e montagne una volta svettanti su grandi pianure sprofondano nel mare.
Molte certezze sono crollate, altre stanno crollando. Ma è pericoloso buttare via insieme all’acqua sporca anche il bambino. È salutare che la ruspa della storia e della chiesa proceda alla “rimozione delle cose scosse” (Ebrei 12:27). E Dio spazza via non solo economie e sistemi di produzione (“la terra”), ma scuote anche “i cieli” delle idee e della cultura. E noi stessi dobbiamo vigilare per non diventare sentinelle di fortezze abbandonate non solo dagli uomini ma anche da Dio.
È necessario però avere le idee chiare sui contenuti del “Regno che non può essere scosso”, sapendo che il nostro Dio è anche “un fuoco consumante” ed è all’opera per purificarli e farli sussistere ferme, punti di riferimento stabili ed inalienabili (permanenti) per la costruzione del Suo progetto di famiglia sulla terra secondo il modello che è già nei cieli: la Trinità.
Le lenti colorate
Ognuno di noi, nell’affrontare una problematica così coinvolgente sul piano personale, deve tener conto di essere esposto allo “spirito del tempo”, alla concezione del mondo, cioè, della vita che al momento “governa” i pensieri e le azioni degli uomini.
Questa concezione è il risultato dei conflitti e delle integrazioni tra culture egemoniche e subalterne operanti nella storia della nostra civiltà. Ad esempio l’eredità (la cultura e il filone) pagana (o per dirla col Nuovo Testamento “gentile”) e l’eredità (la cultura e il filone) giudeo-cristiana.
Non basta. Ognuno di noi si porta dentro, nello “spirito della sua mente” (Efesini 4:23) leggi e principi, ma anche ferite, delusioni, paure, codici di lettura e di reazione alla realtà, che sono il risultato di “una mentalità”, della sua storia familiare e personale.
Quanti di noi, senza saperlo, in modo irrazionale, si sono iscritti al “partito del padre” o al “partito della madre”! Persino la nostra vita coniugale, con la nostra particolare dinamica di coppia, è un fattore non ininfluente ai fini di una “scelta di campo” in materia.
Con queste premesse i nostri giudizi rischiano di essere inevitabilmente colorati dalla nostra tradizione, dalla nostra cultura e dalla nostra esperienza.
Il regno che viene
In questo scontro tra passato e futuro l’obiettivo diventa “cogliere” e “percepire” il Regno che viene; comprendere quali sono le cose che Dio sta demolendo, quali quelle che sta stabilendo.
Il profeta Isaia dice: “Tastiamo la parete come i ciechi, camminiamo a tastoni come se fossimo privi di occhi; inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo, in luoghi desolati siamo come morti” (Isaia 59:10).
In questo mare in tempesta diventa importante avere la bussola della Parola. La Parola di Dio è verità (Giovanni 17:17). La Parola di Dio è “salda” ed è “una lampada splendente in luogo oscuro” (2° Pietro 1:19). Chi persevera nella Parola di Dio è veramente discepolo di Gesù. Egli conoscerà la verità e la verità lo farà libero (Giovanni 8:31-32).
Ed è possibile “tagliare rettamente la parola della verità” (2° Timoteo 2:15). Tutta la Scrittura è “divinamente ispirata” (2° Timoteo 3:16)!
Occorre dunque un rinnovamento e un riorientamento della nostra mente (Romani 12:2) per mezzo della Parola. Non si tratta di essere femministi o maschilisti, rivoluzionari o conservatori, modernisti o passatisti, ma semplicemente di leggere, ascoltare e mettere in pratica con umiltà quello che la Parola di Dio ha già rivelato! Si tratta di fedeltà alla Parola.
Il problema dell’interpretazione
Sorge a questo punto il problema dell’interpretazione dei due Testamenti e dei testi apparentemente in conflitto.
I credenti sono divisi:
- tra quanti fanno una lettura tutta culturale delle Scritture. Essi assumono – in modo consapevole o in modo inconsapevole non importa – i valori predominanti della società e della cultura (o subcultura) di appartenenza, e privilegiano quei testi che rispondono meglio alla loro sensibilità. Gli uni sceglieranno come testo principe, mettiamo Galati 3:28, gli altri magari 1° Timoteo 2:12;
- tra quanti fanno o presumono di fare una lettura aculturale come se il testo fosse stato scritto da autori “sottovuoto”, avesse camminato “sottovuoto”, per essere utilizzato da lettori “sottovuoto”; e quanti invece fanno uno sforzo di lettura trans-culturale delle Scritture, tenendo conto sia del contesto storico-culturale degli autori e degli scritti, che del contesto storico culturale dei lettori.
Una lettura intelligente
È dunque necessario leggere con intelligenza. La prima cosa da fare è cogliere il disegno e l’intenzione originale di Dio.
Alla stessa maniera desideriamo ritornare, non alla condizione della Chiesa del Nuovo Testamento, ma all’intenzione di Dio per la Chiesa del Nuovo Testamento. È questo il criterio ermeneutico che sembra darci lo stesso Gesù con il Suo ripetuto riferimento al “principio” (vedi Matteo 19:4,8), al progetto descritto nei primi capitoli della Genesi.
Questo ci consente di fare il secondo passo: distinguere tra l’intenzione originale di Dio e la condizione dell’uomo o della donna e del suo popolo nelle società e nelle culture di turno. Credo ad esempio che sia degno di attenzione il fatto che Mosè (A. T.) si sia mosso in un contesto pagano, mentre Gesù in un contesto prevalentemente giudaico, e Paolo (N.T.) in un contesto transculturale, a tratti giudaico, a tratti pagano. Chiaramente questo produceva diverse “pedagogie”!
Terzo passo: Individuare gli elementi culturali (la mentalità e la tradizione) e circostanziali (l’occasione, il tempo e il luogo) che possono cadere, “scossi” e “rimossi” dalla storia, senza ferire o alterare la realizzazione del disegno e dell’intenzione di Dio. Eventualmente adattarli al contesto culturale nel quale si vive.
In questo modo la Parola scritta viene restituita al suo significato originale, all’intenzione eterna del suo Autore.
Il disegno originale
“I tuoi desideri si volgeranno verso il tuo marito, ed egli dominerà su di te” (Genesi 3:16). Fu questa la maledizione di Dio per la donna, dopo il peccato di Eva. Ma non era questo il proposito iniziale di Dio per la donna. E Gesù (“progenie” della donna! – Genesi 3:15) venne per restaurarlo! “Al principio non era così!”
Egli coinvolse pienamente le donne nella sua vita e nel suo ministero. Una donna, Sua madre, lo portò nel mondo. “Perché ecco, da ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Luca 1:48). Una donna, Elisabetta, fu il primo essere umano a benedirlo, mentre ancora era nel seno della madre: “Benedetto il frutto del tuo seno” (Luca 1:42). Fu una donna, Sua madre, la persona che più di tutti vigilò su di Lui per tutta la Sua infanzia ed adolescenza.
In modo assolutamente rivoluzionario per la mentalità del suo tempo Egli si circondò anche di discepole che lo seguivano e perfino lo sostenevano economicamente! (Luca 8:1-3).
Mostrò una sensibilità per la condizione femminile (la meretrice, l’impura, l’ammalata, la vedova, la bambina) piena di ansia di riscatto e di liberazione. Sono donne le ultime alla croce; donne le prime alla tomba della Sua resurrezione. E lo Spirito Santo, il giorno della Pentecoste, trova insieme con i discepoli le donne e Maria la madre di Gesù.
L’apostolo Paolo, fariseo e cittadino romano, è in grado di comprendere l’insegnamento di Gesù e di trasferirlo sia alla sinagoga che alla società pagana. Egli ha capito la lezione di Gesù. Per elaborare la sua concezione della donna egli ritorna all’intenzione di Dio, al disegno originale.
Uguali e complementari
1° Corinzi 11 è in buona parte un commentario dei primi 3 capitoli della Genesi. L’uomo e la donna sono uguali quanto all’origine e alla dignità:
- “Ogni cosa è da Dio” (1° Corinzi 11:12b);
- “Come la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna” (1° Corinzi 11:12a);
- “D’altronde, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna” (1° Corinzi 11:11); e sono disegnati per essere uniti e complementari dal punto di vista fisico, biologico, psicologico e spirituale.
- Pari sul piano coniugale (1° Corinzi 7:4) e sul piano della salvezza (Gal. 3:28) (vedi anche il comune accesso al battesimo, diversamente dall’Antico Testamento, in cui solo gli uomini potevano essere circoncisi).
- Pari nell’esercizio dei doni e nel mandato a dominare la terra (1° Corinzi 12:11; Genesi 1:26,28). Il termine ebraico per donna è ishshah, una chiara integrazione e completamento del termine usato per uomo: ish (Genesi 2:23).
- “Questa [il genere femminile] finalmente è ossa delle mie [il genere maschile] ossa e carne della mia carne” (Genesi 2:23).
- “Perciò l’uomo … si unirà alla sua moglie, e saranno una stessa carne” (Genesi 2:24). Vedi anche Matteo 19:4 e seguenti per la sintesi che fa Gesù del piano di Dio per il rapporto uomo-donna, e per intendere le basi del suo rilancio del valore e della dignità della donna.
Diversità e subordinazione
Ma la “nuova dignità” proclamata da Gesù Cristo per la donna non significa inversione dei ruoli o superamento e annullamento della differenza.
L’uomo e la donna sono fisicamente diversi, sessualmente diversi e psicologicamente diversi (per la differenza che passa tra il dare e il ricevere il seme, originare e ospitare il concepimento). È un dato fisso e permanente. Dio li ha creati diversi.
“… li creò maschio e femmina” (Genesi 1:27); “… ed ecco, era molto buono” (Genesi 1:31). Viva la diversità! Benedetta la diversità!
Ma l’uomo e la donna sono anche in un rapporto strutturato e di subordinazione. La donna è sottomessa all’uomo. Come nella Trinità Dio disse: “Facciamo [plurale] l’uomo a nostra [plurale] immagine e a nostra [plurale] somiglianza” (Genesi 1:26). I rapporti tra uomo e donna (nella famiglia e nella chiesa) sono strutturati come nella Trinità tra Padre e Figlio. È per questo Gesù meno di Dio Padre? No! Ma Dio ha ordinato (strutturato) i loro rapporti.
Gesù, pur essendo uguale al Padre, è eternamente sottomesso a Lui. Al Padre spettano l’iniziativa, le decisioni, le dichiarazioni autoritative, il governo finale: Gesù consegnerà il regno al Padre. Questo non gli impedisce di esercitare la Sua autorità (che è delegata!) e di conquistare il mondo al Padre. In questo è come una madre, come i vari livelli di autorità delegata nella chiesa.
La donna è “l’aiuto conveniente” all’uomo (Genesi 2:18), è creata dopo l’uomo e dall’uomo (Genesi 2:21 e segg.) e riceve il suo nome dall’uomo (Genesi 2:23). Ma soprattutto è creata a motivo dell’uomo (Genesi 2:18). Ed anche questo era molto buono (Genesi 1:31).
- “L’uomo non viene dalla donna, ma la donna dall’uomo” (1° Corinzi 11:8);
- “L’uomo è immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell’uomo” (1° Corinzi 11:7);
- “L’uomo non fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo” (1° Corinzi 11:9).
Pertanto, Paolo conclude: “Voglio che sappiate … che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1° Corinzi 11:3). Dio cioè ha dato lo stesso ordine funzionale (capo/corpo) a tutti e tre questi rapporti.
L’uomo ha autorità sulla donna (è il capo della donna). La conclusione è che come Dio ha autorità su Cristo, Cristo ha autorità sull’uomo, e l’uomo ha autorità sulla donna. Tutto questo all’interno di strutture di amore quali la famiglia (marito/moglie) e la chiesa, nelle quali gli elementi di reciprocità e di rispetto fanno da fondamento alla relazione: “D’altronde, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna. Poiché, siccome la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo esiste per mezzo della donna, e ogni cosa è da Dio” (1° Corinzi 11:11-12).
E in Efesini, prima di definire la subordinazione della donna all’uomo (“Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti … ; il marito infatti è il capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa” – Efesini 5:22-23), Paolo dà il contesto nel quale operare: “sottomettetevi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Efesini 5:21).
- Ma oltre a quello visibile nella creazione, l’apostolo Paolo introduce l’argomento della redenzione: “Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà …” (1° Timoteo 2:14-15).
E tuttavia questa “fragilità” non deve essere un pretesto perché l’uomo abusi della sua autorità, ma agisca “col riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita …” (1° Pietro 3:7).
La donna nella chiesa
Da queste premesse e da questi argomenti discendono la posizione e la condotta che la donna deve avere nella chiesa:
Uguali sono il valore e la dignità. Comuni le motivazioni e l’accesso ai doni (Romani 12:5-8 e 1° Corinzi 12). Fecondità e dominio – quindi servizio e creatività – sono benedizione e mandato comune (Genesi 1:28). E qui la Scrittura sembra suggerire che la donna, esattamente come l’uomo, può avere motivazioni per ogni tipo di servizio nella chiesa: Romani 12:5-8 è per tutto il corpo di Cristo.
Quindi profezia (si vedono le figlie di Filippo, Atti 21:9, ma anche Atti 2:17), servizio (la diaconessa Febe, Romani 16:1), insegnamento, esortazione, dare, presiedere, opere di pietà sono per tutti: uomini e donne. Ma se questa affermazione passa con un sufficiente “consenso” per quanto riguarda la profezia, il servizio, l’esortazione, il dare e il fare opere di pietà, incontra difficoltà per quanto riguarda l’insegnamento e la presidenza (o anche la guida, il coordinamento).
Come si conciliano la libertà di pregare e profetizzare (1° Corinzi 11:4 segg.), anche se a capo coperto, con la proibizione di 1° Corinzi 14:34-36: “Le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare, ma debbono stare sottomesse, come dice anche la legge”) e 1° Timoteo 2:12: “Non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito”?
È, a mio avviso, chiaro che la linea di demarcazione è l’autorità. E cioè, nella misura in cui l’insegnamento (ma poi anche tutti gli altri ministeri di Efesini 4 e il governo della chiesa locale e translocale) è esercizio di autorità, per stabilire la linea della chiesa e per governare (chiamare altri a seguire ed assicurarsi che la Parola sia praticata), sia in materia di dottrina che di costumi, è riservata a quegli uomini che Dio ha chiamato.
Le donne quindi possono esercitare un ministero o essere parte di una squadra ministeriale (vedi le donne che seguono Gesù, o che aiutano Paolo in Romani 16) ma non esserne a capo, avere l’ufficio di anziano o di vescovo, far parte del “collegio degli anziani”. Possono però essere alla guida di una scuola domenicale, di un coro o di un gruppo di intercessione, di un’opera sociale, di un gruppo di evangelizzazione.
La sottomissione, l’essere coperte da un capo (“avere il capo coperto”!) è una garanzia biblica particolare ed indispensabile per loro che sono considerate dalla Scrittura “il vaso più debole”.
All’interno di questo quadro di sicurezza, Gesù Cristo vuole liberare le donne da ogni senso di inferiorità perché esercitino il ministero con cui Dio le ha equipaggiate. Nessuno interpreta la posizione di Paolo (1° Timoteo 2:12) nel senso che una donna non possa insegnare a bambini o a giovani sia nella famiglia (2° Timoteo 1:5) che nella chiesa o nella società. È del resto da sempre prassi nella chiesa occidentale l’impiego di donne nella catechesi, non solo dei bambini ma anche dei catecumeni e degli adulti.
Pochi uomini disdegnerebbero di sedersi ad ascoltare donne come Kathryn Kuhlman, Basilea Schlink, Madre Teresa di Calcutta. La donna dunque può insegnare nel senso di trasmettere un insegnamento “ricevuto” e “coperto” dall’autorità e dalla responsabilità di chi governa la chiesa locale o trans-locale. Allo stesso modo potrà profetizzare o presiedere, sempre in sottomissione sotto la copertura di un capo. In questo senso deve avere il “capo coperto”.
Scegliere la femminilità
Il femminismo ha distorto le aspirazioni della donna ed ha alimentato quel seme di ribellione e di competizione nei riguardi dell’uomo che ha come esito finale il rifiuto della condizione e della identità femminile e il desiderio di sostituire l’uomo nel suo ruolo all’interno della famiglia e, di riflesso, nella chiesa.
Il prezzo di questa operazione è molto alto per la nostra e per le future generazioni. È necessario che l’uomo sia uomo e la donna sia donna, che ognuno valorizzi la propria specificità.
Noi viviamo in un tempo in cui la pressione della cultura predominante è incredibile: gli uomini sono meno uomini e le donne sono meno donne. Il piano di Dio è che la donna, come l’uomo, accetti fino in fondo e valorizzi la propria “diversità” e la viva come una benedizione ed una ricchezza per la sua identità, per la famiglia, la chiesa e la società.
È vero che la donna fu sedotta per prima, ma è anche vero che la donna (in Maria, la madre di Gesù) ospita il Salvatore, nato di donna, per prima. Era questo il piano di Dio (Genesi 3:15-16).
“La donna sarà salvata partorendo figli” probabilmente significa proprio che la redenzione è passata attraverso una rappresentante del “genere” femminile, e che la via alla salvezza e quindi alla pace, alla gioia e all’equilibrio per la donna non è nel rifiuto della sua condizione e della sua identità (con il rifiuto della maternità, l’aborto, il divorzio, per arrivare fino al lesbismo e al transessualismo), accettazione e valorizzazione della sua diversità creazionale e funzionale.
Il problema del contesto
C’è un’ultima questione cui voglio fare cenno. Ed è quella sollevata a proposito del contegno/comportamento della donna. 1° Corinzi 11:2-16, 1° Pietro 3:1-6 e 1° Timoteo 2:9-15 hanno in comune l’esortazione fatta alle donne di curare l’aspetto ed il comportamento. Devono essere “il segno” e il riflesso delle “virtù femminili” per eccellenza, “come conviene a donne che fanno professione di pietà” (1° Timoteo 2:10): sottomissione, modestia, spirito benigno e pacifico.
Controversa è tra gli evangelici la questione del “velo”, non per la sostanza dell’insegnamento ma per la “forma” da alcuni considerata “culturale” ovvero ambientale del velo. E qui bisogna dire che le argomentazioni di Paolo in 1° Corinzi 11 sono miste.
Mentre sono ineccepibili ed assoluti gli argomenti “ontologico” (la creazione e la natura) e quello teologico (struttura dell’autorità voluta da Dio, v.3), e stabiliscono chiaramente e senza contraddizione il principio permanente e immutabile dell’autorità e della sottomissione, rimane discutibile l’argomentazione fondata sulla convenienza (“È decoroso che una donna preghi Dio senza essere velata?”, v.13) perché legata al costume e all’ambiente.
Rimane il fatto che Paolo fa discendere questo terzo argomento dai primi due e introduce la messa in guardia sugli angeli (v.10) che ha un rilievo spirituale importante. Ma rimane la domanda: per la osservanza della “forma” o della “sostanza?”
È mia opinione che questo argomento rende relative le conclusioni, per cui non dovrebbe essere materia di divisione tra le chiese.