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di Ernest Bretscher sr.
“Diceva poi a tutti: «Se uno vuole venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà»” (Luca 9:23-24)
Essere cristiano, essere discepolo di Cristo ha a che fare con il messaggio della croce. Non soltanto con il messaggio della morte di Gesù sulla croce, il quale non è troppo difficile credere o accettare; ma la croce significa anche seguire le orme di Gesù, le orme di quel Maestro del quale si pretende di essere discepoli.
L’apostolo Paolo esprime con grande chiarezza l’atteggiamento giusto di un vero discepolo il quale, oltre a credere in Gesù, vive la vita di Gesù: “Quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo”. E ancora: “Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 6:14, 2:20).
Sin dall’inizio, l’ombra della croce si proiettava sulla vita di Gesù. La sua nascita in un’umiliante stalla a Betlemme ebbe luogo sotto l’ombra della croce; l’infanzia vissuta nella semplice casa di un falegname a Nazaret, disprezzata borgata dalla Galilea dalla quale nessuno si aspettava qualcosa di buono (Giovanni 1:46) fu trascorsa sotto l’ombra della croce. Quando egli iniziò a servire Dio in un ministero pubblico, subì accuse, violenze, tentativi di omicidio, ingiustizie, disprezzo, scherno, emarginazione, calunnie, incomprensioni. Tutte queste cose non erano altro che l’ombra dalla croce sotto la quale si muoveva giorno dopo giorno.
E il suo peso divenne man mano sempre più grande, fino a fargli sudare sangue durante l’agonia nel giardino di Getsemani, quando in un ultimo atto di totale sottomissione e ubbidienza al progetto del Padre, Gesù si piegò con decisione e disse: “Non la mia volontà, ma la Tua sia fatta!”.
Durante tutta la Sua vita, per poter affermare: “Colui che mi ha mandato è con me; Egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono” (Giovanni 8:29), Gesù abbracciò la croce e, senza mormorare, senza ribellarsi, se la portò addosso fino all’ultima conseguenza della morte.
Lo scandalo della croce
Ai tempi di Paolo, la predicazione della croce era uno scandalo per i Giudei e una pazzia per i Gentili (1° Corinzi 1:23). Ma oggi sembra che perfino in mezzo ai “cristiani” essa è diventata “pazzia” e “scandalo”. Quando, per esempio, ci si riferisce al discorso sulla montagna, che può essere considerato la “costituzione” del Regno di Dio e che Gesù definisce il fondamento della vera vita cristiana (Matteo 7:24-27), molti si ribellano, si rifiutano di voler praticare quei principi, affermando che solo un incosciente, un “pazzo”, pretende di applicarli ai nostri giorni. Che la beatitudine sia per i mansueti, i pacifici, i misericordiosi, per coloro che sono perseguitati, oltraggiati e calunniati per motivi di giustizia è “roba di un altro mondo”.
Dicono che ai nostri giorni anche i cristiani hanno il dovere di difendersi e il diritto di “rispondere per le rime”, di “pagare con la stessa moneta”, di “non farsi camminare sui piedi” e così via. Lasciarsi “condurre al macello” come un agnello, lasciarsi “tosare come una pecora muta” (Isaia 53:7), è “da matti”. Dicono che anche un “cristiano” ha il diritto di recalcitrare, di salvaguardare la propria reputazione, di difendersi davanti alle ingiustizie. Amare i nemici, pregare per coloro che ci odiano e ci perseguitano, benedire chi maledice, far del bene a chi fa del male, non contrastare il malvagio, dare il mantello a chi toglie la tunica (o offrire la benzina a chi mi ruba la macchina!), è il massimo della pazzia. È addirittura uno scandalo che qualcuno possa chiederlo per il semplice fatto che sono un “cristiano”. Dicono che solo un irresponsabile, un idealista, un utopista possa pretendere tali cose. Ignorano, o vogliono ignorare, che tutto ciò non è altro che “la croce” di cui ha parlato Gesù, insistendo che i suoi discepoli la portino ogni giorno.
Secondo loro, non bisogna prendere troppo sul serio le parole di Pietro: “Domestici [operai, impiegati, studenti, figli … ], siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni [capi-officina, capi-ufficio, insegnanti, genitori … ]; non solo ai buoni e ragionevoli, ma anche a quelli che sono difficili. Se qualcuno, per motivo di coscienza davanti a Dio, sopporta afflizioni e soffre ingiustamente, ciò è una grazia … Ma se soffrite perché avete agito bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio. Infatti a questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché seguiate le sue orme. Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno; oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente” (1° Pietro 2:18-23).
Un altro Vangelo
No, dicono, un evangelo così, un evangelo della croce non è per il nostro tempo. A noi piace l’evangelo del successo, dell’abbondanza, del benessere. Ci piace sentire: “Venite a Gesù e avrete successo … vivrete nell’abbondanza … non avrete più problemi … sarete guariti … conoscerete la felicità …”. Ma non si parli di un prezzo da pagare! Va molto bene Matteo 11:28: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo”, purché non si parli di quello che segue: “Prendete su di voi il mio giogo (la mia croce) e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore”.
Essere umiliato, abbassato, schiacciato come un verme, disprezzato, perdere la faccia è l’ultima cosa che farei, anzi non lo farei affatto. Sarei proprio pazzo ad accettare una cosa del genere. Non sono mica Gesù, io. Anzi, è un vero scandalo che ci si chieda di avere “in voi gli stessi sentimenti che sono stati in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; apparso esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce” (Filippesi 2:5-8).
Così parlano! E non solo oggi, ma da sempre la predicazione della croce è uno scandalo, una pazzia … ma solo per coloro che periscono! Per coloro che periscono tra i Giudei, tra i Greci, ma anche tra i … cristiani: coloro che dicono di credere in Cristo, che Lo chiamano “Signore, Signore!”, ma che non accettano i suoi insegnamenti, che non agiscono secondo le Sue parole, che non Gli ubbidiscono (Matteo 7:21-23). Di loro parla l’apostolo Paolo quando scrive ai Filippesi: “Molti [molti!!] camminano da nemici della croce di Cristo (ve l’ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), la fine dei quale è la perdizione; il loro dio è il ventre [le cose della carne] e la loro gloria è in ciò che torna a loro vergogna; gente che ha l’animo alle cose della terra” (Filippesi 3:18-19).
Pensando a quei “credenti” per i quali il discorso di portare la croce è un’assurdità, uno scandalo, una pazzia, Paolo non può fare a meno di piangere perché sa che essi corrono alla perdizione, benché conoscono Cristo venuto per la loro salvezza. E il pianto di Paolo non è forse anche il pianto dello Spirito Santo ai nostri giorni quando incontra ostilità, ribellione e disubbidienza davanti all’insegnamento del portare la croce ogni giorno per diventare un vero discepolo del Maestro (Luca 14:27)?
Amici di Cristo
Tra il popolo di Dio, tanti si sono convinti di essere amici di Cristo per il semplice fatto che “credono” in Lui, che si sono “convertiti” a Lui. Essi si convincono che le parole di Gesù in Giovanni 15:15 siano rivolte a loro. Ma si può essere “amici” di Cristo se si è “nemici” della Sua croce? Perché l’avvertimento di Paolo si indirizza proprio ai nemici della croce di Cristo. Credo di poter affermare che essere “nemici” della croce di Cristo ci fa essere nemici di Cristo stesso, mentre essere “amici” di Cristo ci rende anche “amici” della Sua croce: “Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando” (Giovanni 15:14).
Per il discepolo di Cristo, l’amico di Cristo, vale quanto è scritto del Maestro, il quale “per la gioia che gli era posta davanti … sopportò la croce, incurante dell’infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:2). Per la gioia che ti è posta davanti, prendi anche tu, come Simone, la croce sulle spalle e, come lui, segui il Maestro! (Luca 23:26).
Così, insieme a Paolo, potrai dire anche tu: “Quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo” (Galati 6:14).