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di Geoffrey Allen
In questa seconda parte, tratterò l’educazione dei figli nell’età formativa, cioè dalla nascita fino a circa dodici anni di età. Le problematiche che riguardano i teenagers sono diverse, e saranno il tema di un discorso a parte.
Il tocco dello Spirito
Ci sono tre princìpi chiave nell’educazione dei figli. Il primo è la grazia di Dio. I nostri figli hanno bisogno della nuova nascita, di conoscere fin da bambini il tocco dello Spirito Santo. Noi possiamo formare i comportamenti esteriori con l’ammaestramento e la disciplina, ma solo lo Spirito di Dio può cambiare il cuore. E fino a quando dobbiamo cercare di formare il carattere di nostro figlio solo dall’esterno, è un lavoro duro, perché il cuore dell’uomo, dice la Parola di Dio, è “insanabilmente maligno” (Geremia 17:9, vers. Riveduta).
È vero, non ci piace pensare a noi stessi in questo modo, né tanto meno ai nostri figli: preferiamo pensare che in fondo siamo buoni. Ma la Parola di Dio dice il contrario. E poiché c’è la malvagità dentro i nostri figli, hanno bisogno di conversione, della grazia di Dio, di un nuovo cuore. Allora i nostri sforzi educativi trovano un alleato dentro il bambino, una “quinta colonna” nella sua coscienza che lo spinge nella stessa direzione in cui cerchiamo di guidarlo. (A questo proposito, si vedano anche le esperienze riferite a parte da mia moglie.)
Come insegnano sia gli psicologi, sia la Parola di Dio, gran parte del carattere di una persona si forma nei primi cinque anni di vita. Per questa ragione, nella nostra famiglia abbiamo preferito non mandare i figli alla scuola materna ma tenerli in casa fino ai sei anni di età. Ovviamente, questa è stata una nostra scelta personale (aiutata anche dal fatto che, con la nostra famiglia numerosa, non mancavano loro le occasioni di socializzare e di giocare insieme). Ma sono convinto che abbiamo fatto la cosa migliore, in quanto ci ha dato più tempo per posare in loro delle basi.
L’educazione è infatti una responsabilità che Dio dà ai genitori, i quali dovranno risponderGli anche della parte che viene delegata alla scuola. Perciò dobbiamo vigilare su quanto viene impartito loro anche là, correggendo eventuali impostazioni non bibliche e colmando le lacune che dovessimo riscontrare.
Amore e severità
Poi ci sono altri due princìpi che vanno tenuti in equilibrio fra loro: l’amore e la disciplina. In passato, la tendenza di tante famiglie è stata di educare i bambini con tante botte e pochi abbracci: è lo stile del “Padre padrone”. Probabilmente alcuni dei più anziani tra noi hanno ricevuto un’educazione così. Questo sistema può forse dare risultati positivi con certi caratteri, ma spesso produce invece ribellione, risentimento, rabbia, durezza. La Parola di Dio dice: “Padri, non provocate ad ira i vostri figli” (Efesini 6:4, vers. Nuova Diodati). L’ira infatti è il frutto di un’educazione dura, pesante, tutta correzione e disciplina e mancante di tenerezza, amore e affetto.
Oggi, invece, il pendolo è andato all’altro estremo: nella maggior parte delle famiglie si dà tanto affetto, indulgenza, comprensione, tutto quello che il bambino vuole, e poca disciplina. Questo tipo di educazione produce figli viziati e capricciosi che fanno il bello e il cattivo tempo in famiglia. Ma così non sono più i padri a provocare i figli ad ira, ma i figli che fanno perdere la pazienza ai genitori! Ecco perché la Parola di Dio dice: “Chi risparmia la verga odia il proprio figlio, ma chi lo ama lo corregge per tempo”, e ancora: “La verga e la riprensione danno sapienza; ma il fanciullo lasciato a sé stesso fa vergogna a sua madre” (Proverbi 13:24, 29:15).
L’equilibrio biblico è dunque tenere insieme le due cose: amore e disciplina. Da una parte affetto, comprensione e grazia; dall’altra regole, correzione, disciplina e severità.
Se nel resto di questo articolo darò maggiore spazio alla disciplina che non all’amore, questo è perché oggi è l’aspetto più trascurato. Voglio ribadire però quello che ho già detto con riferimento particolare ai padri, cioè che la manifestazione di affetto più preziosa che possiamo dare ai nostri figli è il dono del nostro tempo. I regali costosi o un’abbondanza di soldi da spendere nei divertimenti non possono sostituire la nostra presenza e l’affetto che si esprime con un abbraccio, una carezza, un orecchio aperto per ascoltare. Questo è il modo migliore per esprimere l’amore per i nostri figli. E dobbiamo porre i fondamenti di questo rapporto quando sono ancora piccoli. Se non abbiamo tempo per ascoltare le piccole gioie e i piccoli problemi dei nostri figli quando hanno cinque anni, difficilmente si confideranno con noi quando ne avranno quindici.
La Bibbia dice: “Siate imitatori di Dio, come amati suoi figli” (Efesini 5:1). Ora, in Ebrei 12:5-8 è scritto: “… avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli [si parla a noi come ai figli di Dio]: «Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e flagella tutti coloro che riconosce come figli». È per la vostra correzione che voi soffrite. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli”.
Il bastardo è un figlio che il padre ha generato, ma poi se n’è lavato le mani. Dio, invece, si assume la responsabilità di educare e di correggere i Suoi figli. Chi di noi infatti non ha sperimentato da un lato l’amore, la comprensione e la tenerezza di Dio e dall’altro il rimprovero, la disciplina, la correzione? Anche noi dobbiamo trattare i nostri figli così: con amore, ma anche con correzione e disciplina.
Il dolore della disciplina
Il brano di Ebrei 12 prosegue: “Qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma dolore; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo suo”, e aggiunge che Dio ci corregge “per il nostro bene, affinché siamo partecipi della sua santità” (vv. 10-11). Dunque, la correzione di Dio mira a produrre nella nostra vita santità e giustizia. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di disciplinare i nostri figli secondo l’esempio del Padre Celeste, al fine di educarli nella giustizia del Regno.
Certo, ogni disciplina è dolorosa, e quando siamo costretti a correggere i nostri figli, soffriamo anche noi. Nessun genitore normale trova piacere nel punire il proprio figlio! Ma è nostro dovere farlo. Ricordiamo però che la disciplina non può cambiare il cuore – questo lo fa soltanto lo Spirito di Dio – ma solo gli atteggiamenti e i comportamenti esteriori.
La disciplina si divide essenzialmente in due elementi, che abbiamo visto nel brano riportato sopra: il rimprovero e il castigo.
Il rimprovero ha a che fare con la trasgressione di una regola o di una legge. Quando rimproveriamo, parliamo alla coscienza di nostro figlio per inculcare la conoscenza della legge e della giustizia di Dio. Ha dunque a che fare con l’insegnamento e l’ammaestramento su ciò che è permesso e ciò che non lo è: non possiamo rimproverare il bambino per non aver fatto qualcosa che non gli è mai stato detto di fare!
Quindi dobbiamo stabilire chiare regole e limiti perché i nostri figli sappiano che cosa è consentito e che cosa no. Alcune saranno regole morali, radicate nei comandamenti di Dio: “Non mentire”, “Non picchiare il fratellino”. Altre riguardano l’ordine e il governo nella famiglia. I genitori hanno una certa libertà per stabilire queste a seconda delle loro convinzioni e le circostanze della famiglia: “Si fa il letto prima di andare a scuola”, “Ci sono i turni per lavare i piatti”, “Niente TV prima di finire i compiti”. Anche queste regole però acquistano poi una forza morale, dal momento che Dio comanda ai figli il rispetto e l’ubbidienza nei confronti dei genitori (Es. 20:12, Ef. 6:1).
La necessità della punizione
Ma dopo il rimprovero, viene il castigo. Ogni legge infatti presuppone una punizione. Se il governo, per esempio, fa una legge che rende obbligatorio il casco a chi va in moto, o l’autorizzazione prima di edificare, ma poi non succede nulla a chi non la rispetta (come purtroppo accade!), quella legge non ha valore, diventa “lettera morta”. Allo stesso modo, se Dio fa una differenza tra il bene e il male, se c’è nell’universo una legge morale, deve esistere anche una pena per i trasgressori: in ultima analisi, l’inferno. Altrimenti la legge non ha più valore, è solo un “consiglio” o un “suggerimento”.
Allo stesso modo è necessario che noi genitori, quando diciamo ai nostri figli di fare o non fare una cosa, puniamo la loro disubbidienza. Così insegniamo loro che le azioni hanno delle conseguenze e che le trasgressioni verranno punite. È così che imparano il timore di Dio. Se invece spandiamo ordini e divieti, ma poi non ne facciamo nulla, che cosa insegniamo al bambino? Che egli può tranquillamente fare tutto quello che vuole, perché “tanto non succede niente”.
Uno dei mali peggiori che affligge la nostra nazione è la mancanza del timore di Dio. Sia l’educazione ricevuta nelle famiglie, sia il comportamento delle autorità, insegnano che si possono tranquillamente trasgredire le leggi perché difficilmente ci saranno delle conseguenze negative. Tutt’al più, si annuncerà poi il “condono” con cui sistemare tutto a condizioni vantaggiose. Si trasmette così il messaggio che non c’è governo morale, che siamo liberi di fare quello che ci pare e piace. Anche dalla Chiesa Cattolica, purtroppo, molti hanno imparato lo stesso principio: pecca pure tranquillamente, poi vai a confessarti, qualche piccola “penitenza” e tutto a posto!
Nella disciplina, dunque, più che la severità, è fondamentale la coerenza. È importante che i bambini imparino che quando diciamo una cosa, in bene o in male, siamo conseguenti. Così imparano che anche Dio, quando dice una cosa, la fa. Una scena che mi ha molto colpito, anni fa, è stata quella di una mamma che, per far venire a sé il figlioletto, chiamava: “Vieni, Paolo, la mamma ti dà le caramelle” … e il bambino che continuava a giocare tranquillo. Ecco un bambino – pensai – che già a due anni ha imparato che non c’è da fidarsi della parola della mamma; e quando sarà grande, come potrà avere fiducia nella parola di Dio?
Se noi genitori gridiamo e minacciamo, ma poi non facciamo niente, i nostri figli si convinceranno naturalmente che anche il Padre celeste fa tante minacce, ma alla fine è buono e perdona tutti, anche gli impenitenti. Questo distrugge il timore di Dio. Se vogliamo che i nostri figli imparino ad ubbidire a Dio e al Vangelo quando saranno grandi, dobbiamo insegnargli fin da piccoli ad ubbidire a noi.
La disciplina ha dunque lo scopo di impartire la conoscenza della legge e del governo morale dell’Universo. Come credenti, non siamo più sotto la Legge; ma fino a quando non incontriamo Cristo, essa ha il compito di darci la coscienza del peccato per condurci a Cristo (Rom. 3:20, Gal. 3:24). Questo vale non solo per i grandi, ma anche per i piccoli.
Dominio di sé
Il timore della punizione aiuta il bambino ad imparare l’autodisciplina, a dominare sui propri impulsi “selvaggi”. Quanti di noi si trovano in difficoltà, pur volendo piacere a Dio, perché ci manca l’autodisciplina! La disciplina esteriore aiuta il bambino ad acquisire fin da piccolo il dominio sui propri impulsi e desideri carnali.
Chi lascia fare al bambino tutto quello che vuole fino ai quattro anni di età, si ritrova poi con molto terreno da recuperare. Alcuni genitori scusano i propri figli dicendo: “È piccolo, non capisce ancora”. I piccoli capiscono molto di più di quanto loro pensano; non solo, ma imparano prestissimo fin a che punto possono tirare la corda! Ricordo che la disciplina del mio primogenito è iniziato all’età di sette mesi, prima che imparasse a camminare. Andava a tirare giù e strappare i libri dalla biblioteca, e quando gli dicevo “NO!”, mi dava uno sguardo nel quale si vedeva che capiva perfettamente, poi tornava a farlo. Così gli davo uno schiaffo sulle manine e lo allontanavo dai libri. Piangeva un po’, poi tornava di nuovo là … !
Ribellione
L’obiettivo fondamentale della disciplina è dunque di correggere la ribellione e la disubbidienza. Il primo peccato dell’uomo è stato una disubbidienza, e questa è la radice essenziale di ogni peccato. Anche il bambino pecca quando si ribella agli ordini e alle regole stabilite dai genitori che Dio ha stabiliti come autorità su di lui.
Certo, non dobbiamo stabilire così tante regole e dare tanti ordini e divieti da rendere la vita impossibile ai nostri figli. Le regole devono essere poche ma chiare, proporzionate alla sua capacità di rispettarle. Ma quando le trasgredisce, è nostro dovere correggerlo: non dobbiamo aspettare fino a quando siamo esasperati.
Calma e coerente
Molti genitori infatti commettono l’errore di ricorrere alla punizione solo quando perdono la pazienza. In questo modo, insegnano al bambino che può disobbedire finché non esaspera il genitore. Ma quando aspettiamo fino a perdere le staffe, rischiamo di disciplinare i nostri figli in modo sbagliato, con rabbia, anziché con un giudizio calmo ed equilibrato. Ho ancora un rimorso di coscienza per un’occasione – forse l’unica – in cui, esasperato per la continuata disubbidienza di uno dei miei figli (anche perché mi faceva far tardi per una riunione della chiesa!), ho perso veramente il controllo e l’ho picchiato selvaggiamente.
La disciplina e la correzione di cui parla la Parola di Dio è invece qualcosa che diamo, non perché “non ce la facciamo più”, ma perché Dio ce lo comanda per il bene dei nostri figli per insegnare loro l’obbedienza. Non deve essere l’ultima risorsa, ma un atto calmo e ragionato, eseguito perché il Signore se l’aspetta da noi. Dobbiamo correggere i figli per ubbidienza a Dio, non per esasperazione.
Dio si aspetta che la nostra disciplina sia coerente, più che pesante. L’ideale (ma devo confessare di non averlo pienamente realizzato!) è che la disciplina subentri già alla prima disubbidienza, o per lo meno dopo un primo avvertimento. A molti genitori questo sembra eccessivamente severo. Ma quando il bambino sa che dopo un primo avvertimento, se continua a disubbidire, verrà immancabilmente punito, impara presto ad ubbidire! E allora non sarà necessario ricorrere molto spesso alle punizioni. Quando invece siamo imprevedibili e il bambino non sa se le prenderà dopo la seconda o la ventesima disubbidienza, è ovvio che la tentazione è grande di tirare sempre di più la corda, e alla fine saremo costretti ad arrivare più spesso a punirlo.
Anche i criminologi hanno constatato che la ferocità delle pene inflitte influisce poco sulla delinquenza: quando c’era la pena di morte per centinaia di delitti anche banali, questo non impediva un alto tasso di criminalità. Quando invece c’è la quasi certezza di essere presi e puniti, anche se non severamente, si pensa non due ma tre volte prima di trasgredire. “Il cuore è ingannevole”, dice Dio (Geremia 17:9), ed è un fatto della natura umana che siamo tutti portati a credere che “questa volta mi andrà bene”, a rischiare dicendoci che “non mi succederà nulla”, fino a quando l’amara esperienza non ci insegni diversamente.
La verga della correzione
Ci sono diverse forme di disciplina; ma quella di cui la Parola di Dio parla specificamente è la verga, cioè nel linguaggio comune, “le botte”. Nonostante tutti i discorsi della psicologia moderna, sono ancora convinto che la punizione fisica, applicata di preferenza sul sedere (dove il Progettista del nostro corpo l’ha fornito di un bel “cuscino” dove non si rompe niente!) ha diversi vantaggi importanti sulle varie alternative. Quando per esempio il bambino viene invece punito con l’isolamento, ad es. mandandolo nella sua stanza, gli si lascia spazio per covare risentimento e rabbia, per cui molte volte questo tipo di disciplina è controproducente: il bambino esce dalla camera risentito e ribelle più di prima. Per non dire che oggi le camere di molti bambini sono talmente pieni di giochi e di divertimenti che non è quasi una punizione …! Inoltre, in questa maniera rischiamo di comunicare al bambino che non gli vogliamo più bene.
Chiaramente non bisogna eccedere nella disciplina corporale con punizioni troppo violente, ma neanche andare all’altro estremo. La disciplina deve essere sufficiente per fargli sentire il peso del nostro dispiacere e per spezzare la sua ribellione, producendo un sincero pianto di rimorso. Se non raggiunge questo traguardo – se lo lascia risentito e ribelle, con la sensazione di averla vinta – è controproducente. Subito dopo, poi, è bene fargli chiedere perdono a Dio per la disubbidienza, e anche al genitore; perdono che viene prontamente concesso e dimostrato con un caloroso abbraccio.
È molto importante che i nostri figli imparino fin da piccoli ad umiliarsi e a confessare di aver fatto male. Ha detto qualcuno che alcune delle parole più difficili da pronunciare in qualsiasi lingua sono: “Ho sbagliato” e “Perdonami”!
È anche importante che la punizione avvenga quanto prima possibile: “Poiché la sentenza contro una cattiva azione non è prontamente eseguita, il cuore dei figli degli uomini è pieno di voglia di fare il male” (Ecclesiaste 8:11). Questo vale specialmente nel caso dei bambini piccoli, che vivono intensamente nel momento presente e dimenticano quasi subito le cose passate: tre ore per loro sono come tre mesi per noi adulti. Non ricordate come sembrava un’eternità da un compleanno all’altro quando eravate piccoli, mentre ora gli anni passano in un lampo?
Anche per questo motivo la Bibbia sottolinea la punizione fisica: dura pochi attimi, poi è finito tutto. Ovviamente, quando i figli diventano grandi le cose cambiano: arriva il momento in cui la mamma è costretta a dire, soprattutto ai figli maschi: “Aspetta che arrivi tuo papà … !” Ma anche qui è vitale essere conseguenti: le minacce vuote, mai portate ad effetto, sono altamente diseducative.
Questi principi biblici per la famiglia sono davvero efficaci, e se li applichiamo ai bambini fin da piccoli, più avanti avremo molto meno problemi di ribellione e di indisciplina. L’esperienza della nostra famiglia – seppure limitata a “soli” sei figli! – è che i risultati sono assolutamente positivi.