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di Ernesto D. Bretscher
Ero seduto tra i banchi della mia scuola. Ero ancora alle elementari e Don Nino, il parroco di un paesino sulla costa jonica calabrese, veniva regolarmente a visitare la classe per insegnare religione. Mi guardava con disprezzo, con occhi di ghiaccio, quasi fossi un criminale di guerra. Eppure ero solo un bambino di nove o dieci anni!
La mia colpa era quella di essere “vangelista”, figlio di uno “stregone evangelista” venuto da lontano a invadere il “feudo” dell’arciprete. E aveva di che preoccuparsi, perché mio padre era davvero un evangelista che lavorava sodo per predicare che solo Gesù è la nostra salvezza e che nessuno va al Padre se non per mezzo di Lui. Distribuiva valanghe di opuscoli, vangeli, Nuovi Testamenti; predicava per le strade e sulle piazze, andava a tutti i mercati delle feste patronali ad annunciare che solo Gesù poteva aiutare.
Il cattolicesimo vissuto nella Calabria degli anni ’60-’70 era paganesimo puro. Gente che si copriva di spine, che leccava con la lingua il pavimento delle chiese, che faceva in ginocchio duecento scalini di pietra, che si flagellava, che offriva soldi e organi di cera alla ricerca disperata di una “grazia”. Ovunque andavamo ad evangelizzare, il parroco del paese “invaso” scendeva sul sentiero di guerra. Le campane di tutte le chiese suonavano a più non posso per una, due ore: tutto il tempo in cui noi predicavamo sulle loro piazze. Più volte il prete andava di casa in casa dopo di noi, e raccoglieva tutti i vangeli, Nuovi Testamenti e Bibbie da noi distribuiti per poi farne un grande rogo sulla piazza centrale.
Era una battaglia ardua. Le persone che si convertivano, dietro le insistenze del prete presso i datori di lavoro perdevano il loro posto di lavoro. I bambini accolti dagli istituti cattolici perché i genitori erano troppo poveri per accudire loro venivano espulsi e rinviati a casa. La tensione che si era creata era rovente. La nostra padrona di casa venne minacciata di scomunica da Don Nino se non mandava via gli “evangelisti” da casa sua. Maturai così la convinzione che i preti fossero veramente i figli del diavolo. E gli occhi pieni d’odio di Don Nino continuarono a gelarmi il sangue ogni volta che lo incontravo.
Le persecuzioni dei preti mi resero ancora più aggressivo per cui la mia predicazione, oltre ad essere piena di Gesù, era anche fortemente anticattolica, per me religione pagana e diabolica. Riuscii così a strappare dalle “grinfie” di Don Nino il mio insegnante delle elementari che arrese veramente a Gesù la sua vita. Così avvenne anche del mio insegnante di musica. Ero solo un bambino, ma innamorato di Gesù. Presto mi misi al fianco di mio padre e iniziai ad evangelizzare, spostandomi prima con uno scooter e poi con un pulmino. Visitai un paese dopo l’altro con una piccola squadra di fratelli, andando per ogni casa e sulle piazze annunciando Gesù. Questo per centinaia di paesini calabresi, sfruttando le lunghe ferie scolastiche.
Ricordo un paesino dove il prete, saputo che stavamo per arrivare, proibì a tutto il paese di uscire di casa, di aprirci le porte, di scendere in piazza. Arrivammo nel paese e iniziammo ad andare di casa in casa; ma stranamente, sembrava non ci fosse nessuno. E le poche persone che incontravamo, davanti a noi scappavano. Ci eravamo comunque abituati. Così la sera andammo in piazza e, alzando a pieno volume gli altoparlanti montati sul pulmino, predicammo Gesù. Sapevamo che la gente ci ascoltava. Il prete, lui, era lì, da solo, in piazza ad assicurarsi che le “sue” pecorelle non disubbidissero.
Il giorno dopo ci trovammo in un altro paesino vicino in cui si svolgeva la festa in onore della Madonna. Ci siamo messi in mezzo al mercato e, accompagnati dalla mia fisarmonica, cantavamo inni di lode e parlavamo di Gesù alla gente afflussa. A un certo punto arrivarono quattro preti. “Ci siamo!” pensai. E infatti si fermarono e mi ascoltarono, rispettosi, per parecchio tempo. Quando finalmente mi fermai per una pausa, uno di loro si avvicinò, mi salutò garbatamente e mi chiese: “Come mai siete qua?”
Il cuore mi scoppiava. “Per annunciare Gesù alla gente!”, risposi. “Questo l’ho capito, e me ne congratulo profondamente, ma intendevo dire, perché in mezzo al mercato e non di fronte alla chiesa?” “Per rispetto, dato che non siamo cattolici e per non provocare il prete!”, gli risposi. “Credo – mi disse – che avreste più gente ad ascoltarvi se vi metteste sulla piazza di fronte alla chiesa. Il fatto che non siate cattolici non è un problema, bisogna annunciare a questa gente Gesù! E voi lo state facendo. Venite, seguiteci, vi faremo vedere noi dove mettervi!”
Non credevo alle mie orecchie. Caricammo i nostri strumenti, aiutati da loro, e fummo condotti proprio accanto alla porta della chiesa. I sacerdoti cominciarono a farmi parecchie domande e infine mi chiesero: “Come siete ricevuti dai preti in questa regione?” Raccontai loro l’episodio del paesino del giorno precedente. Poco dopo ci portarono il prete “colpevole”, il quale si profuse in mille scuse, dicendo di aver pensato che fossimo di una setta misteriosa. Poi venne il vescovo, il quale ci abbracciò, ci ringraziò e disse: “La nostra Calabria ha un disperato bisogno di giovani come voi che annuncino Gesù. Il nostro cattolicesimo qui è all’ottanta per cento paganesimo. La gente ha bisogno di Gesù, e noi stiamo combattendo per cercare di distruggere la loro vecchia mentalità e portare loro un Gesù Salvatore, vivente, presente”.
Così scoprii per la prima volta un cattolicesimo diverso. In seguito abbiamo continuato ad incontrarci. Conobbi diversi sacerdoti, che avevano tutti un’esperienza reale con Gesù. Erano pieni di lui. Ne ero sbalordito. Ma erano preti cattolici?! Ricordo Don Eugenio Zaffina, con il quale mi incontrai tante volte. Era un uomo straordinario. I suoi parrocchiani lo chiamavano “il prete protestante”! Infatti mi fece parlare alla sua parrocchia.
Il vescovo, Mons. Ferdinando Palatucci, mi invitò a pranzo e avemmo, insieme a diversi sacerdoti da lui convocati, un tempo di comunione fraterna meravigliosa. Pregammo insieme, parlammo, ed egli mi chiese perdono – a me, un giovane di soli 20 anni! – per tutto il male che diversi suoi confratelli sacerdoti ci avevano fatto. La sua umiltà, il suo amore per Gesù, il suo cuore per le pecore cattoliche pagane, mi toccarono profondamente. E cominciai ad amarlo, ad amare i cattolici di buona volontà, quelli che amavano lo stesso mio amatissimo Signore. Li benedissi nel mio cuore, pregai per loro, mi augurai che questo potesse significare l’inizio di una guarigione profonda tra veri cristiani cattolici e veri cristiani evangelici. Il Signore si rivelava anche ai cattolici … e questi erano veramente miei fratelli!
Dopo questi episodi chiesi perdono al Signore per il mio anticattolicesimo, per il mio peccato di giudizio e di disprezzo, e non mi permisi mai più di criticare la Chiesa Cattolica. Certo, con la mia teologia non feci alcun compromesso, continuai ad essere profondamente evangelico, ma rispettavo le differenze che ci separavano e continuai ad annunciare Gesù ai cattolici, con assoluta onestà.
Un giorno incontrai una vecchietta che ascoltava le mie trasmissioni radiofoniche. Era una donna umile, amava il Signore all’inverosimile. Aveva vissuto una vita al servizio dei sofferenti. Ora mi aveva sentito parlare di Gesù e il suo cuore ora ardeva dal desiderio di incontrarmi. Andai a trovarla e lei mi espresse tutta la sua gioia, mi disse che pregava per me ogni giorno, chiedendo a Gesù di proteggermi e di fare in modo che il mio zelo per Lui non venisse mai meno. E ora desiderava pregare con me presente.
Fui scioccato. La sua stanza di preghiera era piena di madonne, crocifissi, immagini, candele, eccetera. Si inginocchiò davanti alla statua della Madonna … ma non pregò Maria. Pregò il Padre nel nome di Gesù. La sua preghiera mi commosse profondamente. Alla fine mi baciò, rimise nelle mie mani un’offerta per la mia missione, e mi benedisse.
Uscii benedetto e confuso allo stesso tempo. Pensai: “Com’è possibile, Signore, che una donna che ti ama tanto viva ancora nell’idolatria?” E il Signore a me: “Com’è possibile che un figlio come te, che mi ami tanto, pecchi ancora? L’amore che hai per me è forse riuscito già a liberarti da ogni limite, peccato e difetto umano? Io non vi giudico perché fate o non fate le cose giuste, ma perché vi ho accettati in me, nella mia grazia”.
Da allora ho capito la lezione. Se amiamo Gesù, veniamo a Lui con i nostri peccati e i nostri errori. È nella misura in cui riusciamo a contemplarlo che cresciamo a Sua immagine e somiglianza e perdiamo la nostra vecchia vita. I cattolici e noi abbiamo punti di partenza diversi; ma se cerchiamo Gesù, la Verità, convergiamo tutti verso di Lui, diventando sempre più simili l’uno all’altro, e insieme, simili a Gesù. Ma questo processo richiede anni … tanti anni. A volte, secoli …