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di Geoffrey Allen
Chi non impara le lezioni della storia – ha sentenziato un saggio – è condannato a riviverla.
Tutto l’Antico Testamento ne è una conferma. Quante volte Dio castiga Israele, ma lui – “popolo dal collo duro” – ritorna sempre a commettere gli stessi errori. Ora, scrive l’apostolo Paolo, “queste cose avvennero loro per servire da esempio e sono state scritte per ammonirci” (1° Corinzi 10:11).
A maggior ragione noi – eredi di duemila anni di storia della Chiesa, dal tempo degli Apostoli fino a oggi – dobbiamo avere la saggezza di lasciarci istruire e ammonire, per non ricadere negli stessi errori del passato.
Nel campo teologico, per esempio, riaffiorano regolarmente le stesse discussioni. I “testimoni di Geova” dei nostri giorni hanno ripristinato la vecchia eresia di Ario (negazione della divinità e dell’eterna pre-esistenza di Cristo), ampiamente dibattuta e già scartata nel quarto secolo del cristianesimo.
Più vicino alla nostra realtà, una parte notevole del movimento pentecostale (almeno negli Stati Uniti, ma presente anche in Italia) ha rispolverato, o forse reinventato, la vecchia dottrina dei “Modalisti” o “Sabelliani” del terzo secolo. Questi rigettavano la dottrina della Trinità, non negando (come gli Ariani) la divinità del Figlio, ma sostenendo il concetto – certamente eretico, ma un po’ meno grave – che non esista distinzione tra le Persone divine, considerate come semplici “modi” o “manifestazioni” dello stessa, unica Persona divina.
Probabilmente se i fondatori di questi “pentecostali Oneness” (cioè “Unitari”, non Trinitari) avessero conosciuto meglio la storia di coloro che ci hanno preceduti nella fede, avrebbero evitato di ripeterne gli errori.
Anche nel campo pratico, dopo qualche anno di esperienza di vita di chiesa, viene da dire che “non c’è nulla di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1:9)! Gli stessi errori si ripetono quasi all’infinito.
La nostra tendenza umana è sempre quella di “buttare via il bambino insieme con l’acqua sporca”. Lo vediamo con i Riformatori che, riscoprendo il valore della fede personale e della coscienza individuale, hanno però piantato i semi della vergognosa frammentazione attuale delle Chiese di matrice protestante. Abolendo l’autorità governativa e magisteriale nella chiesa, hanno prodotto una situazione anarchica in cui, come ai tempi dei Giudici, “ognuno fa quello che gli pare meglio” (Giudici 17:6).
È importante dunque che non ci illudiamo che il cristianesimo sia nato con noi o che la storia sia iniziato con il nostro particolare movimento, per quanto ne possiamo apprezzare il contributo particolare al ricco patrimonio spirituale e pratico della storia della Chiesa.
Radici
Ma anche per un altro motivo è importante conoscere le nostre radici. Ci aiuta a conoscere meglio noi stessi. Ogni famiglia ha un patrimonio di esperienza e di tradizioni. Chi cresce in un istituto spersonalizzato è derubato e impoverito di questo patrimonio, e spesso (come Alex Haley, autore del libro omonimo, che discendeva da schiavi più volte strappati via dalle loro “radici”), avverte il bisogno di ricercarle per riavere il senso della propria identità. La domanda: “Chi sono io?” trova risposta anche in relazione agli altri che ci hanno dato la vita.
Se è vero, da una parte, che il nostro padre è Dio e che è Lui che ci dà identità, sicurezza e un nuovo “patrimonio genetico” che ci libera da tanti condizionamenti negativi del nostro passato umano, è anche vero che questa nuova identità ci viene trasmessa passando attraverso i nostri “padri nella fede”. Non esistiamo in isolamento, ma siamo membra di un Corpo che non è solo “mistico”, ma si manifesta anche concretamente nel tempo, nello spazio e nella storia.
Questo numero di Tempi di Restaurazione è dunque dedicato a una riflessione sulla nostra identità di cristiani, come ci viene comunicata dalle nostre radici storiche. Non possiamo negare gli ultimi duemila anni e ricominciare tutto da capo, per quanto a volte ci piacerebbe farlo! Cerchiamo di imparare le lezioni della storia e andiamo avanti verso il traguardo di una “chiesa gloriosa” capace di esprimere tutta la “infinitamente varia sapienza di Dio” (Efesini 3:10)!