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di Franca Traettino
Da fidanzati Giovanni ed io abbiamo consacrato la nostra vita al Signore e ci siamo avviati verso il matrimonio con l’assoluta certezza che la felicità sarebbe fiorita spontaneamente nella nostra esistenza. Forti dell’amore dell’uno per l’altra, eravamo certi di superare ogni tipo di ostacolo che si fosse presentato sul nostro cammino. Avevamo chiesto al Signore la grazia di un amore sempre fresco e giovane e, con l’entusiasmo e la passione che non temono noia e monotonia, siamo partiti per la nostra avventura matrimoniale.
Ma la vita insieme può riservare sorprese!
È l’incontro di due mondi diversi e a volte opposti. È l’incontro di caratteri, di abitudini, di gusti, di desideri non sempre compatibili che vengono insieme. Due mondi chiamati da Dio a diventare uno: “I due saranno una stessa carne”.
Ma l’incontro può diventare scontro e quegli aspetti dell’altro che erano stati motivo di attrazione possono diventare fonte di incomprensione e di litigi.
Diversità di abitudini
Solo per fare qualche esempio di vita quotidiana, Giovanni amava ed ama molto la musica e la lettura. Quindi su con la musica in casa e non appena si entrava in macchina. Io non amavo la musica in macchina perché desideravo parlare con lui senza interferenze di sorta.
Giovanni amava leggere di sera a letto e poteva farlo per ore. Io, abituata ad andare a letto presto, non riuscivo a dormire con la luce accesa.
Come, pensavo (e non sempre lo pensavo solamente), se mi ama, perché non spegne la radio e la luce?
D’altro canto Giovanni pensava e diceva che la musica era un sottofondo piacevole alle nostre conversazioni, quindi perché non mi abituavo? E così via …
Comparivano le prime divergenze causate dalle diverse abitudini di vita. Senza poi parlare delle differenze di opinione su alcune problematiche. Ad ognuno dei due la propria posizione sembrava la più giusta.
Senza urlare, senza fare grandi scenate (è vitale proteggere i propri figli dai conflitti di coppia e risolverli in privato!), ci si chiudeva a volte in un mutismo ostinato, limitandosi a una comunicazione solo formale. Capitava anche che “il sole tramontava sul nostro cruccio”, impedendoci pure di pregare insieme.
Finché orgoglio o egoismo non ci separi …?
“Finché morte non ci separi”, avevamo promesso con forte convinzione. Non la morte, ma l’orgoglio rischiava di farlo. Personalmente, tra le altre qualità, avevo portato nel mio corredo matrimoniale, senza rendermene conto, una sostanziosa dose di orgoglio. Se c’era stata una discussione, difficilmente io facevo il primo passo, chiedendo scusa o perdono (il Signore ha dovuto lavorare non poco per demolirlo e ancora lo sta facendo).
Altro nemico del matrimonio è l’egoismo. Si insinua silenziosamente, dopo la prima fase di amore gratuito, generoso: il desiderio di essere amati più che amare, il calcolo di chi ha dato di più e chi meno, l’accusa espressa o latente di aver deluso le proprie aspettative.
Questi due peccati, l’orgoglio e l’egoismo, allontanano l’altro da sé, ma soprattutto, allontanano Dio dalla coppia.
Abbiamo realizzato che la felice stagione dell’innamoramento aveva fatto il suo tempo, e che bisognava cominciare ad amarsi, o meglio, a costruire l’amore. Non era un fiore spontaneo, ma una coltivazione paziente, giornaliera, possibile solo con l’aiuto di Dio. Abbiamo realizzato che era il rapporto umano da privilegiare rispetto a tutti gli altri e che era secondo solo al rapporto col nostro Signore.
“Nel ritornare a me sarà la vostra forza”. E Lui è stato la nostra forza.
Salvati per grazia, dovevamo permettere allo Spirito Santo di lavorare le nostre vite perché diventassimo simili a Cristo. Quale palestra migliore del matrimonio! Confrontarsi con le imperfezioni, i difetti, le debolezze dell’altro è un allenamento quotidiano che richiede non solo pazienza e sopportazione, ma l’umiltà che consente di essere spezzati dentro e di essere trasformati fin nelle profondità del proprio essere.
Innestati
Ricordo che mia madre amava molto ricavare nel suo giardino rose dai colori nuovi innestando lo stelo di una rosa su quella di un’altra. Venivano fuori delle rose dai colori meravigliosi. Ma l’innesto richiedeva un taglio sullo stelo sul quale di volta in volta si innestava l’altro, taglio sul quale si avvolgeva strettamente un filo in modo da favorire la fusione dei due rami.
Così è delle vite di una coppia: sono innestate tra di loro e sono chiamate a diventare una sola vita, che può risultare bellissima, se si lasciano avvolgere insieme dall’amore e dalla cura di Dio.
“Perché siano come noi una cosa sola”. Le vittorie e i successi di Giovanni sono divenuti i miei e viceversa, ma così pure le cadute e le sconfitte. Le nostre qualità e i nostri difetti sono diventati patrimonio comune.
I difetti dell’altro diventano i miei, allo stesso modo in cui i miei sono diventati di Gesù. Abbiamo continuamente bisogno della Sua umiltà per farli nostri e di imitare il suo amore per accoglierci e per non giudicarci con una condanna senza appello; per perdonare e dimenticare.
Il nostro matrimonio è diventato un campo in cui la grazia ha potuto e deve ancora esprimersi.
Leggevo recentemente che nel rito matrimoniale ortodosso, chiamato “rito dell’incoronazione”, il sacerdote durante la cerimonia dice allo sposo: “Ricevi come corona … (il nome della sposa)”, e alla sposa: “Ricevi come corona … (il nome dello sposo)”. La corona nella chiesa ortodossa è simbolo della regalità dello Spirito Santo, ma è anche segno del martirio che l’accompagna sempre.
Sacrificio quindi, che però genera gioia indescrivibile in questo rapporto paragonato a quello misterioso di Cristo per la Chiesa. “Voi attingerete con gioia l’acqua dalle fonti della salvezza” (Is. 12:3). E la gioia diventa indescrivibile e contagiosa.
Contagia i figli, che acquistano sicurezza nel rapporto che i genitori hanno tra di loro. Quante volte abbiamo riso con i nostri ragazzi dei difetti miei e di Giovanni! La cosa ci ha permesso di guardarli con occhi diversi e di aggiustarli senza sentirci giudicati e doverci difendere.
Contagia anche la comunità che gioisce nel vedere Dio all’opera nelle nostre vite e offre speranza per la propria.
Trent’anni “insieme”
Quest’anno il nostro matrimonio compie la bella età di trent’anni. Dio è stato buono con noi, mantenendo la Sua promessa: l’amore continua ad essere vivo, perché alimentato continuamente dalla Sua presenza che rinnova ogni giorno.
La leva decisiva, infatti, della nostra vita insieme (fisica, mentale e spirituale) è la preghiera insieme. È lì che lo Spirito Santo continua a convincerci di peccato, ad allargare il cuore dell’uno verso quello dell’altra, a ispirare la nostra vita, ad aprire orizzonti nuovi, a farci toccare vette di gioia completa.
Riguardando al cammino fatto con Giovanni in tutti questi anni, non posso non leggervi il lavoro paziente e longanime di Dio, il vero garante del nostro patto matrimoniale.
… E tu, Giovanni?
- Cosa pensi delle cose dette da tua moglie?
- Sono d’accordo con le cose che ha detto Franca. Il matrimonio è il seminario della vita, un laboratorio per la formazione della “cosa nuova” che è il progetto unitario pensato da Dio per la coppia.
- Come hai vissuto il tuo matrimonio?
- Come “il luogo” della vocazione di Dio per la mia vita, “lo spazio” della ricerca dell’altro e del dono di me stesso, dell’espressione piena della mia umanità con tutti i suoi fallimenti e i suoi eroismi.
- È quindi una vocazione il matrimonio?
- Si, io sono profondamente convinto che il cristiano ha davanti a sé due vocazioni: quella del celibato (ancora tutta da rivalutare nel mondo evangelico) oppure quella del matrimonio. Nel matrimonio siamo chiamati a riflettere e ad imitare la “comunione” che c’è nella Trinità (“come noi siamo uno”), a costruire una comunità di amore e di accoglienza.