SCARICA PDF di questo articolo
di Ernest Bretscher sr.
Già sono trascorsi vent’anni … Da non crederci!
Mi vedo ancora, seduto nel mio salotto, in accesa discussione con mio figlio Ernesto, che in quel tempo era pastore nella giovane Comunità Cristiana di Salerno e che era venuto a farci visita per alcuni giorni.
“Non se ne parla affatto! Non ne ho assolutamente alcun interesse né la minima voglia! Di quel tipo di incontri ne ho visti fin troppi e ne sono proprio nauseato. Sono tutti della stessa pasta: parole, parole, le più belle parole, ma poi rimane soltanto teoria. Dopo, tutto rimane come prima!”
“Ma papà, ti assicuro …!”
“Ernesto, tu non hai ancora nessuna esperienza in queste cose. In Svizzera ho assistito a questo genere di conferenze. Si parla di unità, di rapporti fraterni, di amore e di lealtà. Un sacco di abbracci, di pacche sulle spalle, qualche lacrima di emozione che non guasta e poi … una volta tornati nelle proprie chiese e denominazioni, tutto come prima: critiche, maldicenze, chiusure, difesa della “sana dottrina” (che naturalmente è solo quella della propria denominazione). No, Ernesto, non insistere, proprio non ci sto e non ci verrò!”
L’oggetto di questo scontro memorabile tra padre e figlio era l’invito ad assistere a una “conferenza straordinaria” (così definita da mio figlio) che doveva tenersi in una località dei Monti Alburni, poi spostato nelle vicinanze di Battipaglia per il grande interesse che aveva suscitato.
Ma chi conosce mio figlio sa che ha anche un lato “testardo” almeno quanto suo padre, quando si tratta di raggiungere un traguardo stabilito. E, in quei giorni, i1 traguardo che si era fissato era quello di farmi conoscere quei fratelli inglesi invitati quali oratori.
“Ma papà …”
“Ernesto, ho detto di no e non se ne parla più”.
“Ma papà, sai …” “Ernesto, il discorso è chiuso!”
“Ma papà, almeno potresti pregare al riguardo!”
Io, il papà, non avevo neanche voglia di pregare al riguardo (forse per timore di dover prendere una decisione?) Ma poi il Signore, senza che io glielo chiedessi, iniziò a parlare nel mio cuore, ricordandomi uno dei più preziosi consigli che da giovane avevo ricevuto dal mio pastore in Svizzera e che da allora ha influenzato molto tutte le mie decisioni e scelte nel ministero. Egli disse: “Noi pentecostali (infatti facevo parte di una chiesa delle Assemblee di Dio in Svizzera) abbiamo ricevuto tanto e tanto dallo Spirito Santo che saremmo tentati di pensare di avere il massimo. Ma quel tanto che oggi abbiamo, non è niente di fronte a quanto lo Spirito Santo vuole dare alla Chiesa nei tempi a venire. Mi raccomando, non essere mai soddisfatto di quello che hai, ma sii sempre aperto alle cose nuove, inaspettate e inusuali che lo Spirito Santo metterà davanti a te! Perderesti la benedizione di Dio!”
E io, la benedizione la volevo. Quella conferenza sarà forse una delle cose nuove che lo Spirito Santo vuole fare in Italia? Ma poi, quegli oratori non erano neanche di estrazione pentecostale: avevano radici tra i battisti e i “fratelli”; e può mai venire qualcosa di buono da ambienti “non pentecostali”?
“Natanaele gli disse: «Può venire qualcosa di buono da Nazaret?» Filippo gli disse: «Vieni e vedi»” (Giov. 1:46).
Se fu alla fine per non deludere il figlio, per il timore di mancare all’appuntamento con lo Spirito Santo, per quell’intima frustrazione della solitudine e del desiderio di comunione con altri fratelli mai realizzatosi in quasi vent’anni di ministero in Calabria, non lo saprei definire, ma il fatto è che mi sono trovato, molto scettico e critico, senza grandi aspettative, a quel raduno pastorale a Battipaglia. Certo, gli argomenti trattati erano “normali”: Restaurare e guarire la Chiesa attraverso sinceri e leali rapporti di amore fraterno, di apertura sia sul piano personale, sia sul piano di una vera comunione spirituale con fratelli di altre denominazioni. L’esempio di un leale rapporto personale tra il pastorello Davide e Gionathan, erede al trono, serviva da spunto per descrivere la solidità di un patto, l’unione tra due cuori e tra due uomini così diversi per estrazione familiare, culturale e destino.
Un vento di novità
Nulla di fondamentalmente nuovo, neanche quando si parlava della Chiesa, del Corpo di Cristo e dell’unità tra i suoi membri. No, nulla di nuovo: continuavo a considerare questi messaggi come “teoria”, la chiesa come un corpo “mistico invisibile”, la comunione soltanto “spirituale” e così via. Infatti per molti dei presenti non era nulla di nuovo!
Per me invece sì, c’era qualche cosa di nuovo: non nell’insegnamento, non nei messaggi, ma c’era qualche cosa, allora indefinibile, nello spirito degli oratori. Dietro le parole traspariva “il vissuto”, la concretezza, la realtà di quanto affermavano. Valeva la pena approfondire, perché se le parole degli oratori non fossero state soltanto insegnamenti ma esperienze, allora le cose cambiavano. Così avvicinai uno degli oratori e con grande franchezza gli dissi: “Ho una sola cosa da chiedervi, e vi chiedo di rispondere con sincerità. Quanto abbiamo sentito da voi in questa conferenza, in Inghilterra lo vivete concretamente e realmente, o anche lì sono solo teorie? Rispondete con onestà, perché se veramente lo vivete tra di voi e le vostre chiese, allora lo voglio pure io. Se è possibile nel vostro paese, lo sarà anche in Italia”.
E altri fratelli, come me, lo volevano e lo cercavano. Anch’essi erano stanchi, avviliti, frustrati, sofferenti di fronte alla tragica situazione della Chiesa del Signore Gesù, la sua Sposa che deve diventare santa, pura, senza macchia né ruga, irreprensibile e che oggi invece presenta un deplorevole aspetto di divisioni, di settarismi, di orgogli spirituali e di lotte intestine.
Il pensiero che qualche cosa possa cambiare sarà forse solo un sogno, un’utopia, una bravata alla Don Chisciotte nel combattere i mulini a vento? O sarà veramente l’inizio di un’opera nuova dello Spirito Santo in Italia? Intanto cominciamo da noi, si dissero quei fratelli. Sarà forse solo quella piccola nuvoletta che dopo tanti anni di siccità annuncia la pioggia? Ma almeno cerchiamo di essere “nuvoletta”!
Era l’inizio di un cammino che dura ormai da vent’anni. Un cammino non sempre facile: infatti, davanti a certe difficoltà di tipo caratteriale o di indipendenza, o ancora di concetti teologici personali, alcuni, nel corso degli anni si sono ritirati, mentre altri si sono aggiunti dopo aver osservato a lungo il reale funzionamento dei principi biblici che devono regolare la vita di un corpo nelle grande diversità dei singoli membri.
Unità nella diversità
Infatti, un pastore che si è voluto aggiungere alla schiera e che alla conferenza di Battipaglia ha posto la prima pietra per un cammino comune nel rispetto delle rispettive diversità, si è espresso così: “Le mie esperienze nel mondo evangelico mi hanno reso molto scettico rispetto al vostro cammino, e mi aspettavo che dopo un certo tempo vi sareste divisi. Non credevo fosse possibile formare una squadra fatta da uomini dai caratteri così diversi, da estrazioni denominazionali così dissimili, dalle teologie anche varie, che si stimano, si amano e rimangono uniti nel riconoscimento della diversità dei ministeri. Questo è per me la prova che avete realizzato, con l’aiuto dello Spirito Santo, il gran desiderio del Signore Gesù espresso nella Sua preghiera sacerdotale: “Io ho dato loro la gloria che tu hai data a me, affinché siano uno come noi siamo uno …” (Giov. 17:22). Mi sono reso conto – mi disse quel pastore – che l’unità nella diversità è perfettamente possibile. Ho dunque deciso anch’io di fare questo stesso cammino insieme con voi”.
È vero, difficoltà personali di fronte a quella scelta decisiva nel mio ministero ne ho dovute risolvere pure io, e non senza lotte e combattimenti interiori molto intensi. Si trattava di rinunciare alla mia indipendenza, che per quasi vent’anni era stata il mio “orgoglio”. “Sono indipendente” era il mio vanto, senza che mi rendessi conto che quanto consideravo un pregio era invece un enorme danno per il mio ministero, per la mia crescita spirituale, per la benedizione della chiesa e per l’opera dello Spirito Santo. Il muro dell’indipendenza mi privava di una vera, reale e profonda comunione con altri fratelli della Chiesa del Signore, limitava la mia visione alla prospettiva ristretta dai paraocchi della mia “sana dottrina”, ereditata negli anni precedenti da una chiesa pentecostale e che consideravo l’unica teologia vera e giusta.
Non era facile riconoscere che altri fratelli provenienti da altre denominazioni e ripieni di Spirito Santo portassero con sé una ricchezza spirituale a me fino allora sconosciuta. È una buona lezione di umiltà e di equilibrio, di ridimensionamento e di approfondimento della reale opera e della persona dello Spirito Santo, che non poteva che farmi del bene e soprattutto farmi crescere nella conoscenza del Regno di Dio a beneficio della chiesa di cui sono pastore.
Non posso essere che profondamente grato al Signore per quel momento memorabile, vent’anni fa, quando mio figlio cercava di stimolarmi a lasciar da parte ogni dubbio e scetticismo rispetto a un nuovo movimento dello Spirito Santo nella chiesa italiana, insistendo fortemente per la mia partecipazione a quella conferenza. Rifiutando, avrei forse mancato l’ora di una nuova visitazione dello Spirito Santo … e con quali conseguenze per il mio ministero?
Non voglio neanche immaginarmelo!