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di Rosanna Lilli
In Matteo 10:16, Gesù afferma che il mondo è pieno di “lupi”.
È così: il mondo è un posto minaccioso per il credente. Il mondo non è inerte, ma cerca attivamente di divorarci, e questo rende inevitabile il conflitto. Non possiamo permetterci il lusso di restare passivi: dobbiamo combattere, che ci piaccia o no, per sfuggire al morso della bestia!
Nella Bibbia, “il mondo” sta a significare il sistema della società umana, le istituzioni, i valori e le potenti strutture della nostra civiltà.
Giacomo 1:27 ci esorta a “conservarci puri dal mondo”. Questo versetto richiede azione da parte nostra. Un assenso mentale alla sua verità non è sufficiente. Noi viviamo in un luogo contaminato. Se non ci laviamo, saremo sporchi!
Un altro brano importante relativo al mondo è 1° Giovanni 2:15: “Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui”. E Romani 12:2 è un riferimento tra i più noti: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati …”.
Essere conformati al mondo significa divenire, tramite un processo di pressione e di modellamento, un’esatta rappresentazione del mondo. Trasformazione, invece, significa una rivoluzione nell’essenza stessa di un individuo, una conversione di tutti gli aspetti della sua vita perché possa diventare un “essere spirituale”.
La trasformazione è molto più dinamica ed energica del semplice modellamento! Mentre è estremamente facile conformarci al mondo, la trasformazione invece può avvenire solo per l’intervento della grazia di Dio.
La Parola di Dio ci comanda di “essere trasformati”, al passivo, in quanto questo è qualcosa che non può venire da noi stessi. In altre parole, dobbiamo attivamente togliere la nostra attenzione dal mondo e permettere a Dio di inondare i nostri pensieri e cambiarci. Questo processo inizia alla conversione. Per realizzare ciò Dio usa, quali strumenti, il suo Spirito (Spirito di verità in opposizione alla menzogna del mondo) che ci è stato dato per “rimpiazzare” lo spirito del mondo nei nostri cuori, e la sua Parola che ci provvede il modello perfetto con cui confrontare il mondo (2° Tim. 3:16). È nella Parola che troviamo la verità eterna di Dio, la realtà!
Quando ci troviamo davanti a una filosofia o a un’idea che ci viene dal mondo, dobbiamo giudicarla in base alla Parola di Dio. Se collima con ciò che insegna la Parola, allora possiamo accettarla. Ma se c’è un conflitto, dobbiamo rifiutare quello che ci presenta il mondo. La Parola di Dio e lo Spirito Santo sono il metro con cui misurare quello che il mondo ci presenta.
Il punto è: che cosa vogliamo intendere, in termini pratici, con il “mondo”? Che cosa e chi vogliamo racchiudere in questa parola?
Isolamento
Ci sono dei credenti che affermano in modo indiscriminato che “il mondo” è tutto ciò (persone comprese) che esiste e che accade al di fuori dei locali di culto; quindi, per evitare di contaminarsi, vivono l’isolamento quale sinonimo di santità. Più si isolano più sono santi, più si isolano più sono santi, più si isolano … fino a scomparire completamente dalla scena!
Ma questo a me non sembra essere quello per cui Gesù ha pregato in Giovanni 17.
Ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno nelle nostre relazioni con il mondo non è tanto un rigido elenco di cose e di luoghi “proibiti”, quanto quel discernimento che ci consenta di valutare ciò che bene e ciò che è male.
Mi rendo perfettamente conto che, per ragazzi che vivono la maggior parte del loro tempo in un mondo così pieno di “messaggi” abbaglianti confezionati in pacchetti tanto attraenti, non è certo una battaglia facile!
Una notte Dio, apparso in sogno a Salomone, nuovo re d’Israele, gli disse: “Chiedi quello che vuoi che io ti dia” (1° Re 3:5). Il re rispose che, essendo così giovane e inesperto, aveva bisogno di “un cuore intelligente” per discernere tra il bene e il male (vv. 6-9). Dio si compiacque di questa richiesta, tanto da far diventare il nome di Salomone sinonimo di saggezza.
L’esempio di Salomone dovrebbe essere imitato da tutti i giovani credenti nei loro rapporti con il mondo.
Di fuori o di dentro?
Ciò premesso, volendo entrare un po’ più nella specifica applicazione pratica di questi principi, prendiamo, quale esempio emblematico, la moda (abbigliamento, trucco, stile dei capelli, ecc.).
Sebbene una certa tensione e un certo disaccordo in questo campo tra adulti e adolescenti sia quasi inevitabile, io sono convinta che, se da entrambe le parti ci fosse più conoscenza della Parola e un maggiore desiderio di piacere a Dio più che a noi stessi, il problema sarebbe ridotto ai minimi termini.
I vestiti e gli ornamenti fanno parte della cultura e quindi, come la cultura, sono relativi, non assoluti. Il guaio è che molti cristiani hanno seri problemi con le cose relative. Dio è l’Iddio dell’assoluto anche se, nel Suo agire, ha a che fare con ciò che è relativo. Egli ci dà dei principi, lasciando a noi determinare i modi in cui metterli in pratica.
Uno dei principi divini in relazione all’abbigliamento è senz’altro la modestia (1° Tim. 2:9). Ma sta a noi riconoscere quale tipo di abbigliamento risponde al requisito della modestia, secondo i canoni dettati dalla cultura in cui viviamo.
È probabile che ci siano in una parte del nostro pianeta cristiani coperti dalla testa ai piedi e, in un’altra parte, cristiani altrettanto devoti mezzi nudi, e che entrambi i gruppi siano sinceramente convinti di essere modesti!
Il mondo in cui nostri giovani si trovano a vivere ha molte culture. Basterebbe visitare un paese tra i monti della Sila e una località balneare sull’Adriatico per rendersi conto dell’abissale diversità di cultura che c’è in una stessa nazione. Le persone in queste culture vestono, parlano e si comportano in modo differente l’una dall’altra, pur non essendo necessariamente l’una più cristiana dell’altra.
Ricerca di identità
I dettami culturali dell’abbigliamento sono spesso correlati anche alle diverse età.
Uno degli obiettivi dell’adolescenza è quello di trovare una propria identità, e uno dei modi nei quali gli adolescenti la cercano e quello di appartenere a un gruppo esteriormente ben identificabile.
Queste “sottoculture” dell’abbigliamento spesso rappresentano tappe e fasi che si attraversano e non sono necessariamente un riflesso delle reali convinzioni relative all’abbigliamento stesso. Nel processo della maturazione, gli adolescenti passano attraverso molte di queste fasi e non è raro il caso in cui, guardando indietro, esclamino: “Ma per quale motivo mi conciavo così?!”
Anche se la Bibbia non ci dice chiaramente che cosa indossare, è curioso scoprire quanto alcuni abbellimenti moderni siano simili a quelli antichi. Per esempio, la Bibbia menziona il trucco degli occhi (Ger. 4:30), e gli scavi archeologici hanno messo in risalto il fatto che le donne dei tempi biblici usassero l’eye-liner, il mascara, le pinzette per le ciglia … (Herbert Lockyer, Le donne della Bibbia, Grand Rapids, Michigan: Zondervan Publishing House, 1967).
I passi biblici specifici sulla modestia riguardano le istruzioni per le donne, ma possono essere tranquillamente applicati anche agli uomini (specialmente oggi!!).
Mentre alcuni interpretano il passo di 1° Pietro 3:3-4 come un divieto biblico di indossare gioielli e bei vestiti, molti studiosi concordano nell’attestare che Pietro stesse ribadendo il concetto che la credente debba focalizzare la sua attenzione, il tempo e le energie non tanto sulla bellezza esteriore quanto su quella interiore che non appassisce. Il cuore dell’ammaestramento degli apostoli aspira a far deviare l’enfasi dall’esterno all’interno. Come il loro Maestro, Pietro e Paolo erano molto più interessati alla persona che vive all’interno del costume che al costume stesso (cfr. Matt. 6:25).
Ancora oggi molte persone trovano grosse difficoltà nell’applicare questo principio. I moderni mass-media hanno effettuato un tale bombardamento sull’importanza dell’esteriore, dell’”immagine” (pensate allo slogan di una recente campagna pubblicitaria: “Sottolinea il corpo”!), che è estremamente difficile portare la gente a pensare che è il carattere della persona che deve avere la priorità!
Tempo e luogo
Un altro principio fondamentale di cui i giovani credenti devono tenere conto nel rapporto con l’abbigliamento e con la moda in genere è l’appropriatezza: l’abito giusto al momento giusto! Se un ragazzo indossa pantaloncini e scarpini durante una partita di calcio, non ci sono problemi, ma un tale abbigliamento sarebbe improprio e fuori luogo in un ricevimento … e viceversa.
Alcuni abiti sono appropriati per il mare ma non per la chiesa o per andare a fare shopping; alcuni vanno bene per stare in casa ma non in pubblico; alcuni sono adatti per andare a vedere una partita di tennis ma non per partecipare a un funerale!
C’è poi un ultimo fattore (non per importanza) che dovrebbe guidare il giovane nelle sue scelte: la considerazione degli altri (1° Cor. 8:9) come genuino atto di amore e non come obbligo. Perché sarà sempre e solo l’amore che distinguerà il vero credente, giovane e non!
Pressione o esempio?
La chiesa, quale famiglia spirituale, ha una grande responsabilità nei confronti dei giovani. Essa non è chiamata a tenere il giovane credente sotto la costante “pressione dell’esame” o ad alimentare in lui il senso di colpa, né tanto meno a farlo vivere in uno “stato poliziesco” dove, in modo esasperato, il giovane è costantemente richiamato all’ordine (Ef. 4:6).
La chiesa, piuttosto, è chiamata a rendere il giovane credente partecipe del piano di Dio per la sua vita, del Regno di Dio quale alternativa contrapposta al “mondo” per formare nel suo cuore la coscienza del protagonista, dell’agente di Dio, del guerriero che impegna tutte le sue forze e il suo entusiasmo a vincere la guerra!
Quando il giovane credente si sente parte attiva, quando trova il suo spazio, quando gli viene data l’opportunità di esprimere, nei modi che gli sono più congeniali, la sua spiritualità … il problema più grosso sarà come fermarlo!
Ovviamente, se nel suo agire manifesterà quelle debolezze, insicurezze, incoerenze, “originalità” e crisi che sono tipiche della sua età, la chiesa, quale famiglia spirituale, si dovrà armare di “santa pazienza”, formando con il suo amore e le sue preghiere un muro di protezione intorno a lui e rappresentando con il suo esempio di coerenza e stabilità un punto di riferimento per la vita del giovane credente.
Rosanna Lilli, moglie del pastore Silvano Lilli della Chiesa Evangelica Internazionale di Roma (Cinecittà), è attivamente impegnata nella vita della chiesa, dove è responsabile per la musica e del gruppo femminile. È madre di due ragazzi di 18 e 17 anni.