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di Geoffrey Allen
“Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano; rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori; e non ci esporre alle tentazioni, ma liberaci dal maligno” (Matteo 6:9-13).
Nonostante questo insegnamento – anzi, comando! – di Gesù, così chiaro e diretto, è un fatto strano che pochissimi cristiani prendono veramente sul serio il “Padre nostro”. Da una parte ci sono moltitudini di persone che lo ripetono quotidianamente “a pappagallo”, senza minimamente capire quello che dicono. Dall’altra (forse per reazione), questa “preghiera-modello” e caduta in un disuso quasi assoluto. Ma, ha detto un saggio, “il rimedio dell’abuso non è il disuso, ma l’uso giusto”. Se il Signore ha detto: “Voi… pregate così”, non dobbiamo forse far quello che ha detto?
Si racconta di un ragazzino che, interrogato dal pastore sul suo modo di pregare, rispose: “Dico il «Padre nostro»”. “Ma non devi soltanto ripetere delle formule come un pappagallo”, obiettò il pastore. “Oh no!” rispose il bambino. “Ogni volta che lo dico, mi ci vogliono come minimo quindici minuti!”
Credo che, se daremo a questa preghiera il suo vero valore e significato, avremo problemi a dirla, non dico in dieci minuti, ma in un’ora! Il “Padre nostro” è uno dei brani più ricchi di tutta la Bibbia, straordinariamente denso di significato spirituale, e nello stesso tempo, ne sono convinto, uno dei meno compresi. Vogliamo dunque esaminare la “preghiera-modello” proposta da Gesù, ed imparare da essa come pregare?
Papà… e la sua famiglia
“Pregate così: Padre nostro”. La parola usata da Gesù, in aramaico, era sicuramente “Abba”, quella usata nell’intimità della famiglia, come il nostro “papà” o “babbo”. Questo è già un insegnamento rivoluzionario! I patriarchi e i profeti dell’Antico Testamento non avevano mai osato invocare Dio come “papà”: per loro, Dio era (e lo è realmente), “Colui che è l’Alto, l’eccelso, che abita l’eternità, e che si chiama «il Santo»” (Isaia 57:15). “Per questo i Giudei più che mai cercavano di uccidere [Gesù]: perché… chiamava Dio suo Padre [Abba], facendosi uguale a Dio” (Giovanni 5:18). E a questo Gesù allude quando ci dice di invocare il Dio “che sei nei cieli”.
Eppure a noi, nati di nuovo dallo Spirito Santo, è dato questo privilegio di avvicinarci senza timore a Dio, il Santo, e chiamarlo “Papà”! “Non siete più né stranieri né ospiti, ma… membri della famiglia di Dio”. “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: Abba, Padre” (Efesini 2:19, Galati 4:6).
Ma, attenzione! Gesù non ci ha detto di pregare: “Padre mio”, bensì: “Padre nostro”! Cioè, ci ha insegnato a pregare non come individui isolati, ognuno per conto suo, ma come una famiglia. Per pregare come Egli vuole, bisogna essere inseriti nella Chiesa, in rapporto con i nostri fratelli e in rapporti armoniosi con loro. Se non sei in pace e in armonia con i tuoi fratelli, non puoi pregare come insegna Gesù. “Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:24). “Chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto?” (1° Giovanni 4:20).
“Il tuo”… “il nostro”
Quando però siamo alla presenza di Dio, che cosa dobbiamo chiedere? Qual è lo scopo principale per cui Dio ha istituito la preghiera?
La maggior parte dei credenti, quando prega, inizia subito con i propri bisogni: “O Dio, sto male, guariscimi, ti prego! Signore, ho bisogno di denaro! Mi sento giù, dammi tu la forza! Ti prego, benedici la mia famiglia, il mio lavoro, la mia chiesa…”
Gesù, invece, ci insegna a cominciare dal lato opposto. Prima, addirittura, di pensare al perdono dei nostri peccati (certamente una richiesta legittima, anzi una necessità assoluta!), dobbiamo pregare: “… il tuo nome… il tuo regno… la tua volontà…”.
E prima di occuparci dell’opera di Dio (il Regno), ci è detto di occuparci della Sua persona: “Sia santificato il tuo nome”. La preghiera, cioè, comincia con la lode, con l’adorazione, con la meditazione su chi è questo nostro Padre.
Il nome di Dio
È ben noto che, nel pensiero biblico, il nome rappresenta la persona stessa. Stiamo chiedendo, dunque, che Dio sia onorato, temuto, lodato e adorato da tutto il Suo creato. La versione “Interconfessionale” della Bibbia (TILC) ha tradotto questa frase con una parafrasi ardita ma non senza ragione: “Fa’ che tutti ti riconoscono come Dio”.
Ovviamente, i primi a farlo dobbiamo essere noi stessi! Infatti, tutte le grandi preghiere della Bibbia incominciano col riconoscere chi è Dio e le grandi cose che Egli ha fatto. “O SIGNORE, Dio d’Israele! Non c’è nessun dio che sia simile a te, né lassù in cielo, né quaggiù in terra! Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi servi che camminano in tua presenza con tutto il cuore…” (1° Re 8:23). “Signore, tu sei colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi…” (Atti 4:24). “L’anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore…” (Luca 1:46-47).
Nella Bibbia, Dio si rivela con molti “nomi”, ciascuno dei quali ci fa capire qualcosa della Sua natura: “Colui che è”, “Dio nostra giustizia”, “Dio che è pace”, “Dio che guarisce”, “Dio che provvede”, “Dio nostra bandiera”, “Pastore”, “Salvatore”, e decine di altri. L’adorazione, la lode e la meditazione sulla grandezza, sulla santità e sull’amore di Dio crea e ravviva nei nostri cuori la fede perché il resto della nostra preghiera sia potente ed efficace. Nello stesso tempo, toglie la nostra attenzione da noi stessi e ci fa vedere le cose nell’ottica giusta: quella di Dio, centro dell’universo e centro della nostra vita. Ci prepara dunque al passo successivo.
Cercare il Regno…
Le prossime due frasi: “Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come e fatta in cielo”, dicono praticamente la stessa cosa; infatti, la versione più breve della preghiera data in Luca 11:2-4 omette la seconda, “sia fatta la tua volontà…”, che è una spiegazione e un ampliamento di cosa vuol dire pregare perché venga il regno di Dio.
Il regno di Dio è stato così definito: “La sfera dove Dio regna, dove il Suo dominio è effettivo e la Sua autorità incontestata, e in cui di conseguenza si realizza la Sua perfetta volontà”.
Pregare perché venga il Regno di Dio, allora, significa supplicare Dio perché venga presto quel giorno glorioso del ritorno di Gesù, in cui si proclamerà in cielo: “Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli… Hai preso in mano il tuo grande potere, e hai stabilito il tuo regno!” (Apocalisse 11:15-17). “Maran-ata! Vieni, Signore Gesù!”, pregavano i cristiani primitivi, e con loro “tutti coloro che amano la sua apparizione” (2° Timoteo 4:8).
Ma il regno di Dio non è solo futuro, è già presente in mezzo a noi (Luca 17:21)! Anche il suo futuro compimento dipende in parte da noi, perché ci è detto di “attendere e affrettare la venuta del giorno di Dio…” (2° Pietro 3:12), giorno che verrà solo quando “la sposa dell’Agnello [cioè noi, la Chiesa] si sarà preparata” (Apocalisse 19:6-7).
Non ha senso pregare perché venga il regno di Dio, se io stesso per primo non accetto su di me la Sua autorità assoluta, se non permetto che si realizzi nella mia vita la Sua perfetta volontà. Il regno di Dio, oggi, “consiste in giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rom. 14:17). Quando dunque prego: “Venga il tuo regno”, sto dicendo: “Possa io vivere nella tua perfetta giustizia! Fa’ che io manifesti la tua pace e la gioia dello Spirito Santo!” Dobbiamo, allora, lasciare che lo Spirito scruti i nostri cuori per vedere se c’è in noi qualche ostacolo, qualche peccato nascosto, qualche compromesso che impedisca la realizzazione del governo di Dio nella nostra vita.
… il governo di Dio
Dopo di che, possiamo pregare perché si estenda il dominio di Dio sugli altri che ci stanno vicino, a cerchi sempre più larghi. “Signore, venga il tuo regno nella mia famiglia! Ti prego per mia moglie [o per mio marito] e per i miei figli [o i miei genitori]. Signore, fa’ che la nostra famiglia viva nella tua giustizia e santità, che i nostri rapporti manifestino la tua pace, che insieme possiamo gioire in te, nostro Salvatore! Facci essere una luce in mezzo alle tenebre, una benedizione per le altre famiglie che ci circondano!” (cfr. Genesi 12:3).
Io e mia moglie preghiamo per ciascuno dei nostri sei figli, perché possa realizzarsi il piano che Dio ha per la vita di ognuno; perché siano protetti dai tranelli del Maligno e dalle pressioni del mondo (a scuola e con i loro compagni). Prego per avere sapienza e la conoscenza della Sua volontà nelle varie decisioni in cui li devo consigliare e guidare (per esempio, la scelta della scuola e del futuro indirizzo professionale); e prego perché, già fin da ora, sia realizzata la Sua volontà nella scelta del compagno/a della loro vita, se Lui intende che un domani si sposino.
[N.B. Le parole riportate sopra furono scritte nel 1987. Oggi (2001) i miei figli sono cresciuti, tutti camminano con Cristo e sono impegnati nelle loro varie comunità cristiane locali, e tutti sono sposati, o presto lo saranno, con altrettanti cristiani impegnati, quattro dei quali provengono da famiglie non credenti. Dio è fedele e ascolta la preghiera! – N.d.A.]
Preghiamo poi per i vicini di casa, per le persone con le quali veniamo a contatto giornaliero, e per la nostra comunità locale. “Venga il tuo regno in noi! Signore, costruisci la tua chiesa! Facci essere un popolo glorioso, pieno della tua potenza e della tua santità! Aggiungi alla comunità altre anime che tu salverai, e facci crescere nella maturità e nel carattere di Cristo!” (cfr. Matteo 16:18, Efesini 5:27, 4:13). Preghiamo anche per i malati, perché sia fatta la Sua volontà nel guarirli (cfr. Esodo 15:26, Marco 1:40-42, Isaia 53:3-4).
Preghiamo per la chiesa in tutta Italia, la nazione nella quale Dio ci ha trapiantati, perché sia purificata, edificata e moltiplicata. La Chiesa è il punto focale del regno di Dio nel mondo, lo strumento che Egli ha scelto per estendere il Suo governo sulla vita degli uomini. Se dunque vogliamo pregare per il Suo regno e la Sua volontà, non possiamo mancare di pregare per il suo progresso e la sua santificazione.
Preghiamo anche per il governo e per le autorità (1° Timoteo 2:1-3), perché anche là sia fatta la Sua volontà sulla terra, come è fatta in cielo. “Signore, ogni autorità viene da te; Tu sei colui che abbassi uno e innalzi l’altro. Ti prego, togli di mezzo i corrotti ed i malvagi e confondi i loro disegni, e promuovi in politica, nella magistratura e nelle forze dell’ordine uomini e donne onesti, che amano la verità e la giustizia!” (cfr. Romani 13:1-5, Salmo 75:6-7, Daniele 4:25-35, ecc.).
Lo scopo della preghiera
Nel “Padre nostro”, infatti, Gesù ci insegna che lo scopo per cui Dio ha istituito la preghiera non è, come pensano molti, perché noi possiamo ottenere da Dio le cose che ci necessitano o che desideriamo. Questo è solo un “sottoprodotto” (cfr. Matteo 6:33)! Piuttosto, Dio ci ha affidato quest’arma perché noi possiamo partecipare con Lui nel realizzare il grandioso disegno del Suo regno. Ci ha concesso il grande privilegio di aiutare, con le nostre preghiere, a “mettere tutti i nemici di Cristo sotto i suoi piedi” (1° Corinzi 15:25). La preghiera è un’arma potente!
Anzi, il fatto che Gesù ci abbia insegnato a pregare: “Venga il tuo regno”, suggerisce che la venuta del Regno sia subordinata in qualche modo alle nostre preghiere; che se noi non preghiamo, non verrà mai, o più tardi del necessario! Altrimenti – se fosse destinato a venire comunque, con o senza le preghiere della Chiesa – che senso avrebbe pregare? La preghiera, in questo caso, sarebbe un gioco, un’illusione concessa dal Padre celeste ai suoi “bambini” solo per farli contenti; come un papà che dice al figliolo di “spingere” la macchina che, in realtà, si muove da sola grazie al motore.
Un’ultima parola sulla frase “Sia fatta la tua volontà”. Se ne è fatto, e se ne fa tuttora, un grande abuso, come se fosse un’espressione di rassegnazione: “Non ci possiamo fare nulla; allora sia fatta la volontà di Dio!” Niente di più falso! Questa preghiera, come abbiamo già notato, è al contrario un grido di battaglia! In quale modo, oggi, viene fatta la volontà di Dio “in cielo”? Forse con malattie, morte, guerre e distruzione? No, la volontà di Dio è gioia, armonia e vita eterna, un’eternità dedicata ad amarLo e ad adorarLo. Tale, dunque, è la volontà di Dio che ci è detto di chiedere “sia fatta anche in terra”! Mettiamoci dunque “la completa armatura di Dio”, e andiamo alla guerra!
Pane quotidiano
Soltanto ora, il Signore Gesù ci autorizza a pensare a noi stessi. E non per chiederGli la ricchezza e il lusso, la Mercedes e la villetta al mare (come a volte suggeriscono i promotori della “teologia della prosperità”, oggi di moda in certi ambienti americani), ma… “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il pane, non il caviale; e solo per oggi! Non che Dio non possa, o non voglia, darci molto di più; ma non ci autorizza a chiederGlielo!
Poco più avanti nello stesso capitolo, il Signore Gesù ci esorta: “Non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete… Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose… Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più… Il domani si preoccuperò di se stesso” (Matteo 6:25-34). Che cosa ci vuole insegnare il Signore? Non certo di esser incoscienti, rifiutando di prenderci le responsabilità per i bisogni nostri e quelli della nostra famiglia. Infatti, è scritto altrove: “Se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare” (2° Tessalonicesi 3:10). Piuttosto, Egli vuole inculcarci una mentalità diversa da quella del mondo verso il denaro, il lavoro e le necessità materiali.
Prima, ci insegna che, anche se lavoriamo, il nostro pane è sempre una grazia di Dio. È a Lui che dobbiamo guardare, e non alle nostre forze e abilità, non al datore di lavoro, non alla cassa integrazione! Oggi, siamo riusciti ad isolarci quasi del tutto da quella stretta dipendenza dalla natura in cui vivevano i nostri padri. La parola “carestia” non fa più parte del nostro vocabolario, o al massimo, è qualcosa che accade in India o in Etiopia. Dimentichiamo facilmente che è Dio che fa crescere il grano e ogni altro nostro nutrimento. Dobbiamo invece apprezzare la vita stessa, il pane quotidiano, l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo come doni della Sua grazia. Impariamo ad essere riconoscenti!
Poi, dobbiamo imparare a “vivere per fede” (Habacuc 2:4). Anche se oggi il pane abbonda, Dio è sempre un Dio geloso, e ci fa sentire in altri modi la nostra dipendenza da Lui, per esempio, con la disoccupazione o con la difficoltà a trovare casa. Dobbiamo imparare a “cercare prima il regno e la giustizia di Dio”, occupati o disoccupati che siamo, e a dipendere da Lui per le necessità quotidiane! Un atteggiamento di distacco dalle cose materiali fa parte dell’“equipaggiamento di base” del cristiano. Non possiamo mai dire a Dio: “Non posso, non ho i soldi”.
Ho conosciuto, anni fa, un fratello che aveva un buon lavoro, una posizione di responsabilità con uno stipendio più che adeguato. Tuttavia, si era sentito spinto dallo Spirito a dare per l’opera di Dio una tale proporzione delle sue entrate (non ricordo se il 30, il 50 o il 70 per cento), da dover dipendere sul serio da Dio per il pane quotidiano. Vi meravigliate se dico che non gli mancava niente? “Date, e vi sarò dato – ha detto il Signore – vi sarò versato in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurata a voi” (Luca 6:38).
Vivere senza debiti
Dopo il pane, la seconda necessità della vita è il perdono: “Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”; o, come Luca riporta la frase: “e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore” (Luca 11:4).
Tutti abbiamo peccato, perché “peccare” significa “mancare il bersaglio”, “venire meno all’ideale di Dio per noi”. Il peccato è un debito nei confronti di Dio, che nessuno di noi è in grado di pagare. Gesù illustra questo fatto con la parabola di Matteo 18:23-35, dove paragona ciascuno di noi a un servo che doveva al suo padrone la cifra pazzesca di “10.000 talenti”, cioè 320.000 kg di argento puro: ai prezzi attuali, circa 110 miliardi di lire! Una cifra di cui, chiaramente, nessun servo avrebbe mai potuto disporre!
L’unica nostra risorsa, allora, è implorare misericordia perché ci sia condonato il debito. E Dio, nella sua immensa bontà, e pronto a farlo… a una sola condizione: che anche noi – come il servo della parabola – facciamo altrettanto verso i nostri simili che avessero qualche “piccolo” debito nei nostri confronti.
È spaventoso pensare quanta gente ripeta ogni giorno queste parole, dicendo in effetti a Dio: “Ti prego di non perdonare i miei peccati”! Chiunque non ha perdonato ogni offesa, ogni torto, ogni ingiustizia subita – cancellando così il “debito” degli altri nei propri confronti – farebbe meglio a tacere! È talmente importante questo principio che, alla fine del “Padre nostro”, Gesù lo sottolinea e lo rafforza ancora, spiegando: “Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi (meravigliosa promessa!); ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6:14-15).
Facciamo bene, dunque, quando preghiamo, ad esaminare noi stessi, chiedendoci: “Qualcuno mi ha fatto un torto che non ho ancora perdonato? C’è in me odio, rancore o risentimento nei confronti di qualcuno?” E se ne troviamo, dobbiamo dire subito: “Padre, lo perdono! Annullo il debito! E ti prego, Signore, perdonami le mie colpe e le mie mancanze, a cominciare da questo risentimento, dalla durezza del mio cuore che non è misericordioso come il tuo”.
Protezione
Infine, il Signore ci insegna una richiesta di protezione: “E non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno”.
Chi prega così, è uno che ha deciso che non vuole peccare. Non ha senso chiedere “Liberami dalla tentazione”, se in fondo al nostro cuore ci piace un poco poco essere tentati e, con qualche parte di noi, speriamo di cadere! È proprio per questo che, tante volte, non fuggiamo le tentazioni, come fece invece il giovane Giuseppe quando la moglie del padrone, trovatolo solo in casa, gli disse: “Coricati con me” (Genesi 39:7,12). “Il timore dell’Eterno è odiare il male”, dice il libro dei Proverbi (8:13): odiare il peccato come Dio lo odia, detestarlo, combatterlo, fuggirlo, desiderare con tutto il cuore vincere il male che si annida dentro di noi (Rom. 7:17-18) e vivere nella santità che Lui gradisce.
Nello stesso tempo, questa frase è una confessione di debolezza: “Da solo, non ce la faccio! Aiutami!” Davanti alle tentazioni (o “prove”), davanti agli attacchi del nostro avversario Satana, se Dio non è con noi, saremo sicuramente sconfitti. Per fortuna, Egli è con noi… finché noi siamo con Lui! (Qualcuno ha detto: “Se Dio è più lontano oggi che ieri, chi si sarà spostato?”!) Ma non bisogna essere presuntuosi, credendo di essere ormai forti e di sconfiggere facilmente il nemico. Così fecero gli Israeliti davanti ad Ai, dopo la grandiosa vittoria di Gerico. Si dissero: “Quelli sono in pochi”… e rimasero sconfitti! (Giosuè 7:3-5). Certo, “io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica”; ma, disse Gesù, “senza di me, non potete fare nulla” (Filippesi 4:13, Giovanni 15:5).
Atteggiamenti
Il “Padre nostro” mette in discussione i nostri valori e gli atteggiamenti profondi del nostro cuore; infatti, tratta ognuno dei principali rapporti che costituiscono la nostra vita. Per pregare come insegna Gesù, è necessario che abbiamo gli atteggiamenti giusti, quelli che Dio desidera in noi. Verso Dio, un atteggiamento di fiducia, e insieme di profondo rispetto e adorazione: “Padre… sia santificato il tuo nome”. Verso il mondo, una posizione di profonda riserva, riconoscendo il male che lo domina: il nostro desiderio è infatti che in esso “venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà…”. Verso le cose (e il denaro che le rappresenta), una posizione di distacco: ci limitiamo a chiedere l’indispensabile, “il pane quotidiano”. Verso il nostro prossimo, un cuore di misericordia e di umiltà, perdonando i torti ricevuti come noi desideriamo che Dio ci perdoni i nostri falli. Verso noi stessi, il riconoscimento della nostra fragilità morale e della debolezza nei confronti del male. E verso il diavolo, un’opposizione implacabile, che comprende un sano timore delle sue astuzie, e insieme la certezza della vittoria che è nostra in Cristo.
“Voi dunque pregate così”, ha detto Gesù. Se impariamo a pregare secondo il modello che Egli ci ha dato, diventeremo dei veri “guerrieri” spirituali, capaci di distruggere le fortezze di Satana e di promuovere ed affrettare la venuta del regno di Dio. Amen! Così sia!