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di Geoffrey Allen
In quasi tutte le chiese è in corso un acceso dibattito sul ruolo che spetta alle donne nel ministero cristiano.
La maggior parte delle chiese protestanti “storiche” – luterane, metodiste, battiste e da qualche tempo anche quella anglicana, e in Italia, le chiese “federate” (valdo-metodiste e battiste) – hanno ormai aperto le porte del ministero pastorale a uomini e donne senza più alcuna distinzione. E questo non deve sorprendere, perché quando la Bibbia perde la sua autorità normativa e viene considerata frutto più della storia e della cultura umana che non dell’ispirazione divina, la chiesa è esposta a ogni “vento di dottrina”, quindi alle tendenze della cultura secolare, oggi fortemente determinata da correnti di pensiero democratico ed egalitario.
Anche nella Chiesa Cattolica, mentre il Vaticano continua a ribadire la sua posizione tradizionale che esclude le donne dal “sacerdozio”, dalle ali cosiddette “progressiste” si alzano voci sempre più insistenti a richiedere una revisione di questa regola. Certo, molti argomenti addotti dai “tradizionalisti” non sono quelli che un evangelico possa accettare, proprio perché il ministero cattolico è concepito come un “sacerdozio” sacramentale; concetto che noi non condividiamo assolutamente. Tuttavia la sostanza del dibattito è per molti versi simile.
Ma anche parecchie chiese decisamente evangeliche e bibliche, perfino “fondamentaliste” – e in prima linea, molte chiese pentecostali, in seno alle quali fin dai primi tempi emergevano figure “carismatiche” quali Aimée Semple MacPherson, Florence Crawford e, in tempi più recenti, Kathryn Kuhlman – accettano tranquillamente un ministero di predicazione e pastorato che non fa alcuna distinzione tra i due sessi.
Così facendo, hanno seguito l’esempio dato fin dal secolo scorso da movimenti “di risveglio” quali l’Esercito della Salvezza, nella quale, a fianco del fondatore “Generale” William Booth, occupavano un posto di primissimo piano la moglie e poi la figlia, famosa predicatrice. Anche la chiesa di Los Angeles presso la quale William J. Seymour predicava prima di formare la “missione” di Azusa Street era diretta da una donna.
Eppure, da altre parti del mondo “evangelico-fondamentalista”, si sollevano forti obiezioni a questa tendenza, citando argomentazioni bibliche che non si possono ignorare.
Da quale parte, dunque, sta la verità? Qual è la volontà di Dio in materia? Cosa dice veramente la Scrittura, e che cosa invece deriva unicamente dalle tradizioni umane o da una lettura della Bibbia condizionata dall’influenza di una cultura fino a ieri indubbiamente maschilista?
Femminismo
Bisogna infatti riconoscere che le istanze del moderno movimento femminista, almeno in parte, hanno buone ragioni per esistere. Da molti secoli la civiltà “cristiana” occidentale – della quale la Chiesa (e nei tempi più recenti, “le chiese”) facevano parte integrante – ha assegnato alla donna una posizione non solo subordinata, ma spesso oppressa e sfruttata, privandola della dignità di figlia di Dio.
Ha assunto, cioè, posizioni molto più vicine a quelle della cultura dell’Antico Testamento, oppure dei Farisei del tempo di Gesù (i quali pregavano ogni giorno “Ti benedico, o Dio, perché non mi hai fatto nascere un Gentile o una donna!”), che non alle intenzioni originali di Dio rivelate nel libro della Genesi e negli atteggiamenti adottati da Gesù Cristo.
È ben noto, infatti, che Gesù manifestava un’attenzione tutta particolare nei riguardi delle donne, anche di quelle più disprezzate ed emarginate: la Samaritana (Giov. 4:4-42), quella colta in adulterio (Giov. 8:3-11), le varie “peccatrici”… Tra il suo seguito si contavano diverse donne benestanti che “assistevano Gesù e i dodici con i loro beni” (Lc. 8:1-3); tra i suoi “amici” contava donne come Marta e Maria (Lc. 10:38-42, Giov. 11). A quest’ultima consentì di stare “seduta ai piedi di Gesù ad ascoltare la sua parola”, qualcosa che nessun rabbino del tempo si sarebbe sognato di permettere.
Una donna – Maria – fu definita “beata” dall’angelo perché aveva creduto alla parola del Signore (mentre invece suo parente Zaccaria, in circostanze analoghe, fu punito per la sua incredulità). Furono le donne le ultime a trattenersi vicino alla Croce e le prime a diventare testimoni della Resurrezione. Ed è menzionata specificamente la loro presenza fra i discepoli che si trattenevano in preghiera e che ricevettero lo Spirito Santo il giorno della Pentecoste (Atti 1:14).
Anche Paolo – spesso, ma a torto, accusato da gente biblicamente ignorante di misoginia (cioè di essere “anti-donna”) – dimostra un grande riguardo nei confronti delle donne. È lui ad affermare che “non c’è… né maschio né femmina… in Cristo Gesù” (Gal. 3:28). Saluta con grande calore le donne nelle chiese alle quali scrive: in Romani 16:1-16, per esempio, la metà dei credenti salutati personalmente sono donne, e a loro riserva gran parte delle sue espressioni di stima, lode e affetto: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, perché la riceviate nel Signore in modo degno dei santi… perché ha prestato assistenza a molti e anche a me… Salutate Prisca e [suo marito] Aquila… i quali hanno rischiato la vita per me; a loro non io soltanto sono grato, ma anche tutte le chiese delle nazioni… Maria, che si è molto affaticata per voi… Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore… la cara Perside che si è affaticata molto nel Signore… Rufo, l’eletto nel Signore e sua madre, che è anche mia… Giulia, Nereo e sua sorella…”.
Tuttavia, dell’affermazione sopra citata – “non c’è… né maschio né femmina… in Cristo Gesù” – molti interpreti e apologisti di tendenza femminista fanno un grande abuso, per far dire a Paolo cose che certamente non ha mai pensato: cioè che nella Chiesa non ci debba più essere alcuna distinzione di ruoli tra l’uomo e la donna. Come tutte le affermazioni della Scrittura, invece, anche questa deve essere presa in equilibrio e in armonia con tutte le altre Scritture. Ed è questo che cercheremo ora di fare.
Tutti ministri
Un esame delle Scritture sereno e imparziale, infatti, dimostrerà chiaramente che Dio, nella Sua sovranità, ha deciso di riservare alcune funzioni nella Chiesa soltanto agli uomini (e comunque, ricordiamo, non a tutti gli uomini!). Non è un caso che Gesù, nonostante l’attenzione “rivoluzionaria” dimostrata verso le donne, scelse i Dodici esclusivamente tra i discepoli maschi. Ma troveremo altresì che gli spazi ministeriale aperti a entrambi i sessi sono larghissimi e che sono invece pochissimi quelli che una donna non può svolgere. Non c’è assolutamente motivo perché chiunque, uomo o donna, debba essere frustrato o non trovare spazio nella Chiesa. C’è lavoro per tutti!
Credo personalmente che la riflessione su questo tema sia stata molto sviata da un concetto sbagliato di “ministero”, influenzato forse da modelli tradizionali di chiesa in cui solo alcuni sono “ministri” o “sacerdoti”. Anche in molte chiese evangeliche si continua a parlare dei “servitori di Dio” come di una categoria a parte… come se non fossimo tutti chiamati a servire Dio!
Nel Nuovo Testamento, invece, la parola tradotta “ministero” è diakonia, che significa semplicemente “servizio”. La stessa parola viene usata di Marta – la quale “tutta presa dalle faccende domestiche” [diakonia], viene a lamentarsi con Gesù dicendo: “Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?” [diakonein] – e di Paolo quando parla del “servizio [diakonia] affidatomi dal Signor Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio” (Atti 20:24). Anche in Atti capitolo 6, gli apostoli usano la stessa identica parola per riferirsi al “servire alle mense” (v.2) e al “ministero della parola” (v.4).
Se Gesù è venuto sulla terra “non per essere servito, ma per servire” (Mc. 10:45), e la Chiesa è ora il Suo Corpo, deve essere ovvio che anch’essa è per natura e per vocazione una “Chiesa serva”. Tutti i cristiani hanno una “chiamata al ministero”: uomini, donne e persino bambini!
Servire Dio – Servire la chiesa
Ci sono tanti modi per servire Dio, servire la Chiesa e servire l’umanità. E quasi tutti sono aperti ugualmente a uomini e a donne.
- Il sacerdozio del Nuovo Patto appartiene a tutti i credenti senza distinzione. Tutti noi siamo stati costituiti in “sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali… un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome” (1 Pt. 2:5, Ebr. 13:15). Siamo tutti chiamati ad essere adoratori, e abbiamo tutti lo stesso accesso diretto alla presenza di Dio. Infatti fu proprio a una donna che Gesù diede la rivoluzionaria rivelazione che “i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Gv. 4:23-24).
- Sia uomini che donne possono e devono annunciare il Vangelo agli altri. Il Grande Mandato è rivolto a tutti i cristiani indistintamente e senza eccezione. Quando “vi fu una grande persecuzione contro la chiesa che era in Gerusalemme e tutti furono dispersi” perché “Saulo devastava la chiesa… e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione”, allora tutti “quelli che erano dispersi se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola” (Atti 8:1-4).
- Sia uomini che donne hanno lo stesso accesso a Dio per partecipare al lavoro della preghiera e dell’intercessione. Le numerosissime esortazioni della Scrittura in questo senso sono rivolte quasi sempre a tutti i credenti senza distinzione. È specificamente detto anche che le donne possono pregare ad alta voce nelle assemblee della chiesa (1 Cor. 11:5), anche se è specificato un diverso modo di presentarsi (il che è un capitolo a parte che non stiamo trattando nel presente articolo).
- I doni dello Spirito sono distribuiti a tutti alle stesse condizioni, e possono essere esercitati anche pubblicamente sia da uomini che da donne (1 Cor. 12:7, 11:5). Nell’Antico Testamento c’erano non solo profeti, ma anche profetesse quali Maria, la sorella di Mosè (Es. 15:20); Debora (Giud. 4:4); Hulda (2 Re 22:14); la moglie di Isaia (Is. 8:3), e altre. Non sembrano esistere motivi validi per cui non dovrebbero essercene anche nel Nuovo. Dio ha promesso che “anche sui miei servi e sulle mie serve, in quei giorni, spanderò il mio Spirito, e profetizzeranno…” (Atti 2:18). Ai nostri giorni ci sono anche donne che esercitano un notevolissimo ministero di guarigione, portando grandi benedizioni a tutta la Chiesa e all’opera di Dio nel mondo.
- Tutti i campi di servizio pratico e amministrativo nella Chiesa sono aperti alle donne: “servire… dare… fare opere di misericordia…” (Rom. 12:7-8): Tabita di Ioppe, per esempio, era rinomata per questo ministero (Atti 9:36). Perciò si riconoscono nella chiesa non solo diaconi (credenti riconosciuti come esempi di fedeltà nel servizio e incaricati di particolari responsabilità), ma anche diaconesse (Rom. 16:1; 1 Tim. 3:11, dove “le donne” indica sicuramente quest’ufficio).
Autorità…
Infatti, praticamente l’unica restrizione che la Parola di Dio pone al ministero delle donne è data in 1 Timoteo 2:12: “Non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sull’uomo…” (Nuova Diodati: l’ultima parola è meglio tradotta così, anziché, come nella Nuova Riveduta, “…sul marito”, seppure la stessa parola greca aner può avere entrambi i significati).
Queste restrizioni – per coloro che riconoscono alla Bibbia un’autorità normativa – escludono che le donne possano governare la chiesa come membri del corpo degli anziani, il che è chiaramente un esercizio di autorità. Infatti la Bibbia stabilisce dei criteri per l’ordinazione delle diaconesse come dei diaconi, ma manca qualsiasi accenno alle “pastore” o “anziane” (1 Tim. 3:1-13); anzi, tra le qualifiche di un anziano/vescovo è quella di essere “marito di una sola moglie… che governi bene la propria famiglia…” (vv. 2-4). A maggior ragione, non si può parlare di “apostolesse”, visto che gli apostoli esercitano autorità anche sulle chiese locali e sui loro presbiteri (1 Cor. 5:3-5, 2 Cor. 10:8, 13:10), compresa la scelta e la disciplina di questi ultimi (Tit. 1:5, 1 Tim. 5:19-20).
D’altra parte, una tale posizione comporta pesanti responsabilità: “i conduttori… vegliano sulla vostra vita come chi deve renderne conto” (Ebr. 13:17). Chi desidera essere pastore o anziano per poter “dominare sul gregge” o emergere sugli altri, si squalifica da sé.
Perciò le donne non devono sentirsi “represse” se Dio, nella sua sovranità, ha deciso di riservare ad altri questo peso… Ed Egli non è tenuto neanche a fornirci delle spiegazioni esaurienti delle Sue ragioni! Notiamo tuttavia che, delle due ragioni addotte dall’apostolo (1 Tim. 2:13-14), una (la priorità nella creazione) riguarda la condizione umana prima del peccato originale, quindi le intenzioni originali di Dio, per cui non si può pensare che sia stata ora annullata dalla nostra redenzione in Cristo.
Una parentesi su una questione recentemente sollevata in una nostra comunità: non è indispensabile che sia presente un anziano della chiesa per presiedere alla Cena del Signore (d’altronde, ci sono delle chiese senza anziani ordinati!). Chi lo fa però deve essere regolarmente delegato dall’autorità della chiesa: non stiamo promuovendo una prassi “selvaggia” per cui ognuno si sente autorizzato a farlo “privatamente”, poiché la Cena è una celebrazione comunitaria e non meramente privata.
Non occorre però un “sacerdote” perché non c’è “sacrificio” da offrire, e comunque siamo tutti sacerdoti e tutti fratelli, invitati alla tavola che appartiene al Signore. Ma, poiché “presiedere” è comunque un esercizio di autorità, credo che dovrebbe essere un uomo a occupare questo spazio, piuttosto che una donna, anche se diaconessa.
… e insegnamento
L’altra restrizione, quella sull’“insegnamento”, è di più difficile definizione. Vuol dire che una donna non deve predicare durante il culto della chiesa? tenere lezioni bibliche ai ragazzi o agli adolescenti? insegnare a un corso di catechesi o di studio teologico?
Innanzitutto, occorre chiarire che il divieto di “insegnare” non può essere letto come assoluto (come d’altronde la frase seguente, “…ma stia in silenzio”!): infatti in Tito 2:3-4 è detto esplicitamente che “le donne [più] anziane… siano maestre nel bene, per insegnare alle giovani…” (NDiod). E se possono (anzi, devono) insegnare alle più giovani, non si può escludere che possano farlo anche ai ragazzi, a partire dai propri figli.
Ma poi (ed è qui il vero nocciolo della questione), cosa significa “insegnare”? Ci sono tante donne brave a spiegare e comunicare informazioni (infatti ci sono più donne insegnanti che uomini nelle nostre scuole). Perché mai non dovrebbero farlo nella chiesa?
Come gli scribi, o come Gesù?
Credo che la chiave ci viene data dall’abbinamento del versetto sopra citato: “insegnare… usare autorità sull’uomo”. L’insegnamento, nel suo pieno significato biblico, è un esercizio di autorità spirituale. Fu detto infatti di Gesù – dal quale deriva ogni ministero spirituale nella chiesa – che la gente “si stupiva della sua dottrina, perché egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi” (Mc. 1:22).
L’insegnamento cui si riferisce la parola di Dio non è dunque semplicemente impartire informazioni – e finché si tratta solo di questo, non c’è motivo per cui non lo debba fare chiunque ne è capace, uomo o donna che sia – ma di stabilire la dottrina e le norme di condotta. Perciò viene detto che “noi maestri… subiremo un più severo giudizio” (Giac. 3:1): perché ci assumiamo la responsabilità di impartire ai nostri fratelli indicazioni autorevoli su cosa credere e come vivere.
Quindi, una donna potrebbe presentare uno studio biblico, anche a un uditorio misto, o comunicare insegnamenti già stabiliti e consolidati nella chiesa. Ma, nel momento in cui va oltre l’insegnamento “puramente teorico” e si mette ad applicarli alla vita pratica, allora diventa un esercizio di “autorità sull’uomo”.
Bisogna che ci domandiamo, allora, fino a che punto sarebbe utile un simile “insegnamento”? Il motivo per cui Dio ci parla non è forse perché “mettiamo in pratica la parola e non la ascoltiamo soltanto, illudendo noi stessi” (Giac. 1:22)? E il compito di chi insegna non è allora quello di aiutarci a vedere come metterla in pratica?
Ci troviamo dunque spinti a questa conclusione: che, per rispettare l’ordine biblico, una donna potrebbe insegnare alla chiesa solo a condizione che svolga il suo ministero “come gli scribi” e non come Gesù! Ma, poiché ogni ministero nella chiesa deve rappresentare ed esprimere quello di Cristo, una simile conclusione sarebbe, a dir poco, paradossale. L’aspirante predicatrice si trova, biblicamente, in questo dilemma: se vuole annunciare la parola di Dio con autorità, contravviene all’ordine divino; e se si adatta a farlo senza autorità, contravviene alla natura del ministero cristiano!
Bisogna aggiungere, però, che ci sono molte forme di discorso, anche tra quelle talvolta incluse nella categoria di “predicazione”, che non costituiscono “insegnamento” nel senso biblico. La donna può, come abbiamo già visto, profetizzare nella chiesa; e la profezia può essere comunicata in diverse forme, che comprendono non solo l’oracolo profetico e le visioni, ma anche l’esortazione profetica. Questa è dunque un campo che rimane pienamente a disposizione delle donne, non meno che degli uomini.
Lo stesso si può dire delle testimonianze e della condivisione di esperienze, intuizioni e parole di sapienza divina. Queste cose non rientrano nella categoria dell’“insegnamento” inteso come esercizio di autorità nella chiesa: al contrario, devono essere sottoposte al giudizio e al discernimento di chi vi esercita l’autorità.
In conclusione, dunque, c’è tanto spazio perché le donne possano esercitare il loro ministero nella chiesa. Ma Dio, il Signore della chiesa, ha deciso per le Sue buone ragioni di riservare agli uomini – e poi, solo a quegli uomini che Egli stesso sceglie e stabilisce – queste due aree: l’insegnamento e l’esercizio dell’autorità sulla chiesa.
Ma perché le donne cristiane, piene di zelo e di amore per il Signore e per la Chiesa, trovino il loro giusto collocamento e non siano tentate a invadere spazi rimasti vuoti ma che, secondo l’ordine voluto da Dio, non spettano a loro, è urgente – nella chiesa come nella famiglia – che siano gli uomini ad alzarsi e rendersi disponibili per portare i pesi e assumersi le responsabilità che Dio ha destinate a loro.