SCARICA PDF di questo articolo
di Geoffrey Allen
“Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine nelle cose che rimangono da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni …” (Tito 1:5-6).
Così scrive Paolo al suo fidato collaboratore e luogotenente Tito. Leggendo queste parole, sorge spontaneamente una domanda: In quante delle nostre chiese, oggi, facciamo l’esperienza di un governo secondo questo modello biblico?
Quando parliamo del “regno di Dio” – e il Nuovo Testamento ne parla moltissimo – stiamo parlando infatti di un sistema di governo. La chiesa non è una democrazia, né tanto meno un’anarchia (anche se, allo stato dei fatti, tante chiese vivono nell’anarchia, in cui “ognuno fa ciò che è giusto ai propri occhi”!) È invece una teocrazia, cioè governata da Dio; ed Egli esprime il Suo ordine e il Suo governo attraverso quegli uomini che sceglie e stabilisce.
Questi comprendono non solo gli apostoli come Paolo, e i loro delegati come Tito (“metti ordine nelle cose …”), ma anche, a livello locale, attraverso gli anziani che si dovevano “costituire in ogni città”.
Il governo di Dio riguarda non solo l’organizzazione della chiesa – l’orario dei culti, chi predica, chi riordina le sedie, e via dicendo – ma soprattutto la vita della chiesa, la quale non è un’organizzazione ma un Corpo: quindi i rapporti tra i membri, la loro vita e la loro crescita spirituale, il discepolato dei nuovi credenti, il buon ordine nelle famiglie …
Tre modelli
Credo che ci sono tre modi di concepire il ruolo di un pastore o anziano nella chiesa:
- Il predicatore o “prete protestante”. Secondo questo modello, che è il più diffuso in tutto il mondo evangelico e protestante, il suo ruolo si esprime soprattutto nei culti. Deve presiedere la riunione, predicare, battezzare i nuovi credenti, celebrare matrimoni e funerali … È ovvio che questo non lo impegna “a tempo pieno”, a meno che la comunità non sia molto numerosa, per cui può benissimo svolgere anche un lavoro secolare per non pesare economicamente sui fratelli.
- Il medico dell’anima. Come il medico di famiglia vecchio stile, è a disposizione per ogni emergenza: tutte le volte che qualcuno sta male è pronto ad accorrere. Quando invece si sta bene, non ce n’è bisogno: possono quindi passare mesi o anni senza dover ricorrere ai suoi servizi. Il suo è essenzialmente un lavoro di “manutenzione” spirituale.
- Il padre di famiglia. È questo, invece, il modello biblico. Non si limita a “mantenere i credenti in salute”: vuole educarli e farli crescere fino a portarli alla piena maturità in Cristo. Era questo l’obiettivo che l’apostolo Paolo si prefiggeva: “presentare ogni uomo reso perfetto in Cristo” (Colossesi 1:28). E in vista di questo sceglieva e ordinava gli anziani nelle comunità locali.
Il governo della chiesa, però, non è mai dominazione né autoritarismo, ma piuttosto esprime lo spirito di Gesù, il “Re-Servo”, il quale “non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita …” (Marco 10:45); Colui che, pur essendo Maestro e Signore, lava i piedi ai propri discepoli (Giovanni 13:1-17).
Pastori e anziani
In molte chiese si fa una netta distinzione tra “il pastore” – solitamente uno solo – e “gli anziani”, spesso più di uno. Una certa differenza nei ruoli è biblica, come vedremo; ma non la distinzione tra i due titoli. In Atti capitolo 20, Paolo “mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa”, ai quali con lacrime dà le sue ultime raccomandazioni perché che non li vedrà più. A loro dice: “Badate a voi stessi e a tutti il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi (altro titolo biblico delle stesse persone!), per pascere la chiesa di Dio …” (Atti 20:28). Chi deve pascere il gregge, se non i pastori?
Anche in 1° Pietro 5:1-2 troviamo lo stesso linguaggio: “Esorto dunque gli anziani che sono tra di voi … Pascete il gregge di Dio che è tra di voi” (1° Pietro 5:1-3). Infatti l’unico brano biblico in cui si trova la parola “pastore” con riferimento a un ruolo nella chiesa è in Efesini 4:11: “È lui che dato … altri come pastori …” I titoli comuni nel Nuovo Testamento per coloro che hanno cura del gregge di Dio sono quelli di “anziano” e “vescovo”.
Pluralità
Studiando il governo della chiesa nel Nuovo Testamento, una delle prime cose che si nota è che gli anziani sono sempre nominati al plurale. Per esempio: “Poi designarono per loro in ciascuna chiesa degli anziani …” “Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa”; “Arrivati a Gerusalemme … Paolo si recò con noi da Giacomo; e vi si trovarono tutti gli anziani” (Atti 14:23, 20:17, 21:17-18); “Paolo e Timoteo, servitori di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono in Filippi, con i vescovi e con i diaconi …” (Filippesi 1:1); “costituisca degli anziani in ogni città …” (Tito 1:5); “Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui …” (Giacomo 5:14). Chiaramente la norma biblica è che in una chiesa locale non ci sia un solo responsabile – chiamiamolo “pastore” o “anziano”, poco importa – ma almeno due o tre.
Infatti questa è un’importante misura di sicurezza per la chiesa. Anche con le migliori intenzioni – e gli anziani sono esseri umani, quindi peccatori, e non perfetti né infallibili – un responsabile di chiesa può sbagliare, può mancare di saggezza, può anche abusare del potere. Ecco dunque entrare in scena la sapienza divina: “Senza una saggia guida il popolo cade, ma nel gran numero di consiglieri c’è salvezza”; “I disegni falliscono dove non c’è consiglio, ma riescono dove c’è una moltitudine di consiglieri”; “Perché con saggi consigli potrai fare la tua guerra, e nel gran numero di consiglieri c’è vittoria” (Proverbi 24:6, 15:22, 11:14). “Due valgono meglio di uno solo … Se infatti cadono, l’uno rialza l’altro; ma guai a chi è solo e cade, perché non ha nessun altro che lo rialzi!” (Ecclesiaste 4:9-10).
Detto questo, ci sono indicazioni nelle Scritture che, tra gli anziani di una chiesa, uno teneva la “presidenza”. Come in una famiglia armoniosa ci si consulta per sentire il parere di tutti, ma alla fine c’è un capofamiglia che ha l’ultima parola, così nella chiesa locale il buon ordine richiede che ci sia uno, primus inter pares, che ha la responsabilità della decisione finale. Così Paolo si riferisce a “chi presiede” (Romani 12:8), e dispone che “gli anziani che tengono bene la presidenza siano reputati degni di doppio onore …” (1° Timoteo 5:17)
Ma è proprio obbligatoria questa pluralità degli anziani? Credo che la risposta ci è data dal brano dell’epistola a Tito citato in apertura di questo articolo: “Costituisci degli anziani in ogni città … quando si trovi chi sia irreprensibile …” (Tito 1:5-6). La chiara implicazione è che, se non si dovessero trovare dei candidati qualificati, bisognerebbe soprassedere, magari lasciando quella comunità per il momento senza anziani costituiti (così come erano andate avanti fino a quel momento). E nel caso se ne trovasse uno solo, solo quello si sarebbe ordinato. Non è proprio l’ideale, ma è certamente meglio che stabilire come “anziani” uomini non qualificati, perché gli anziani non si possono assolutamente “improvvisare”!
Qualifiche
Questo punto riveste una grande importanza pratica, perché in moltissime chiese oggi si sembra credere che l’importante sia avere qualcuno con il titolo di “anziano”, anche se non dimostra tutte le qualità richieste dalla Parola di Dio. Le esigenze della Parola di Dio sono invece molto elevate. Esaminiamole ora, dove sono elencate in 1° Timoteo 3:2-7 e Tito 1:6-9.
Prima, però, c’è una questione oggi piuttosto controversa da notare: Secondo la Parola di Dio, gli anziani devono essere maschi. Care sorelle, con questo non si può discutere: non l’ho deciso io, ma il Signore! Quello che sto dicendo è chiaro già dai brani in esame – come può una donna essere “marito di una sola moglie”?! – e risulta anche da 1° Timoteo 2:12: “Non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sull’uomo” (vers. Nuova Diodati). Ciò non significa che le donne non possano avere un ministero importante nella chiesa: c’è lavoro per tutti! [Per un trattamento più dettagliato di quest’argomento, si rimanda agli articoli Il ruolo delle donne nel ministero di Geoffrey Allen, e La donna nella chiesa di Giovanni Traettino].
Mettendo ora insieme schematicamente i due brani di 1° Timoteo e Tito, viene fuori questa lista dei requisiti per diventare anziani di una chiesa locale:
- Irreprensibile, giusto, santo, temperante, amante del bene. Il regno di Dio consiste innanzitutto in giustizia (Romani 14:17), per cui, se gli anziani devono essere “esempi del gregge” (1° Pietro 5:3), è ovvio che lo devono essere prima di tutto nella giustizia e nella santità. Le pecore seguono il pastore, un popolo segue ed imita nella maniera più naturale l’esempio dei suoi leaders (per questo, diciamolo tra parentesi, l’Italia è così inguaiata!). Se i leaders non sono santi, se scendono a compromessi con la propria coscienza, la chiesa va rapidamente in rovina.
“Amante del bene”, dice la Bibbia (Tito 1:8). Non credo che andiamo “oltre la Scrittura” se ricordiamo che la naturale conseguenza di tale atteggiamento è quella indicata in Proverbi 8:13: “Il timore dell’Eterno è odiare il male; io odio la superbia, l’arroganza, la via malvagia e la bocca perversa”.
La parola tradotto “temperante” (Tito 1:8 NRiv.) significa “padrone di sé” (vers. Nuova Diodati); è l’ultimo elemento del frutto dello Spirito in Galati 5:22. L’anziano, cioè, non deve essere preda dei propri impulsi e desideri carnali, ma uno che ha imparato, “mediante lo Spirito, a far morire le opere del corpo” (Romani 8:13).
“Bisogna inoltre che abbia una buona testimonianza da quelli di fuori, perché non cada in discredito e nel laccio del diavolo” (1° Timoteo 3:7). Spesso gli estranei sanno giudicare con maggiore obiettività e spregiudicatezza la condotta e il tenore morale della vita di un uomo. Troppe volte la chiesa evangelica è caduta, appunto, “in discredito” a causa della condotta dei suoi leaders.
- Marito di una sola moglie. Non credo che il riferimento qui sia innanzitutto alla poligamia. Piuttosto il senso è messo a fuoco con maggiore chiarezza se ricordiamo che la lingua greca non ha delle parole specifiche per “marito” e “moglie”, ma usa le parole comuni per “uomo” e “donna”. Stiamo parlando, dunque, di “un uomo da una sola donna”.
Chi non è capace di rispettare i voti matrimoniali e di restare fedele alla donna che Dio gli ha dato ha un grave difetto di carattere: gli mancano l’autocontrollo che è parte integrante del frutto dello Spirito (Galati 5:22) e la fedeltà che è richiesta agli amministratori di Dio (1° Corinzi 4:2). Inoltre bisogna ricordare che, come qualcuno ha osservato acutamente, “ogni adultero è anche un bugiardo”. Chi tradisce la moglie, la inganna pure.
Alcuni sostengono che queste parole escludano dall’anzianato gli scapoli e i vedovi (a maggior ragione se passati a seconde nozze). Non credo che sia questo il significato. Certo, non è bene che il corpo degli anziani sia composto soltanto di uomini senza famiglia, dal momento che la cura pastorale include spesso questioni di rapporti di coppia e di famiglia (l’annosa questione del “celibato del clero”). Ed è anche vero che la cura e la guida della propria famiglia è prevista come scuola e terreno di prova dell’aspirante anziano (vedi il punto 9 sotto). Ma allora, dovremmo escludere anche l’uomo sposato ma che non è riuscito ad avere figli! Chiaramente, questo sarebbe assurdo.
Morti al passato
Che dire, poi, dell’uomo che ha un “passato” discutibile? Non credo che ciò che un uomo è stato prima della conversione a Cristo possa condizionare la sua posizione come credente. “Gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio – scrive Paolo. – Né i fornicatori, né gl’idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti … erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma – aggiunge – siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo” (1° Corinzi 6:9-11).
Dunque, l’uomo che prima di conoscere Cristo è stato un adultero – compreso chi ha divorziato dalla moglie per sposarne un’altra – non è per questo escluso dal diventare un anziano nella chiesa. Infatti tutte le qualità richieste a un aspirante anziano hanno a che fare con quello che è, non con quello che è stato. “Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco sono diventate nuove” (2° Corinzi 5:17).
Diversa è invece la posizione di chi ha commesso peccati del genere dopo la conversione. Mentre non ci sono preclusioni assolute, credo che in casi del genere egli debba essere doppiamente “messo alla prova” (1° Timoteo 3:10) prima che gli si possa affidare un posto di responsabilità e di autorità sulla vita degli altri.
- Sobrio, dignitoso, prudente. Sono le classiche qualità di un uomo saggio e maturo. La capacità di giudizio, di riflettere e valutare i possibili corsi di azione e le loro conseguenze, di vedere le cose con misura, sono indispensabili per non condurre il gregge nelle sabbie mobili o sull’orlo di un precipizio. La dignità, inoltre, è necessaria per comandare il rispetto sia dei credenti che degli estranei.
- Mite, non arrogante, non iracondo, non violento, non litigioso. L’umiltà e la mansuetudine – l’attitudine a servire anziché dominare, e a ricercare la pace e l’armonia anziché polemizzare – sono qualità fondamentali per un anziano.
- Ospitale. Letteralmente il termine significa “amante di stranieri” o “degli sconosciuti”. L’anziano, cioè deve avere un atteggiamento aperto e accogliente, che è indice di una certa sicurezza psicologica: non si sente minacciato dal contatto con gli estranei e le persone nuove. Naturalmente questo cuore aperto si esprimerà aprendo anche la casa per accogliere i credenti della comunità e, nei limiti del possibile, quelli di passaggio.
- Non dedito al vino. Per estensione, questo si dovrebbe estendere anche ad altri vizi di eccesso: tabacco, Droga …
- Non attaccato al denaro, non avido di guadagno disonesto. “L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali”, afferma l’apostolo più avanti (1° Timoteo 6:10), e altrove arriva addirittura a chiamarlo “idolatria” (Colossesi 3:5). Anche in questo l’anziano deve essere d’esempio al gregge.
- Capace di insegnare. O, come scrive a Tito, “attaccato alla parola sicura, così come gli è stata insegnata, per essere in grado di esortare secondo la sana dottrina e di convincere quelli che contraddicono” (v.9). Una solida base dottrinale è una parte essenziale della maturità spirituale (Efesini 4:14), e l’anziano non solo deve possederla lui stesso ma deve essere in grado di impartirla agli altri.
- Che governi bene la propria famiglia, tenendo i figli “in sottomissione e in pieno decoro”; “se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?”. Siccome il compito dell’anziano è quello di “educare” i credenti e farli crescere verso la maturità, il fatto che abbia saputo farlo nella propria famiglia è una grande sicurezza.
È da escludere, allora, che un anziano sia un giovane che ha figli ancora piccoli? Non credo che bisogna arrivare a questo estremo. Se la sua famiglia è in ordine, se la moglie è felice e sicura e i bambini amati e disciplinati, anche un uomo giovane può essere riconosciuto come un anziano. Tuttavia credo che dovremmo dare grande peso a questo fattore e apprezzare di più l’esperienza della vita e dei rapporti umani e un po’ meno la conoscenza teorica e dottrinale.
- Che non sia convertito di recente, “per timore che si gonfi di orgoglio e cada nella condanna del diavolo”.
Sono qualifiche elevate, esigenti. Tuttavia, come dice Paolo, l’ufficio di anziano è un “ottimo lavoro” cui si fa bene ad “aspirare”. Se chi legge queste righe vi aspira ma si trova mancante in uno o più punti … ebbene, si dia da fare a crescere, ad impossessarsi della vittoria che Dio ci dà in Cristo e della maturità alla quale ogni credente può e deve aspirare!
Chi li sceglie?
Veniamo ora alla questione più spinosa: Da chi vengono scelti e ordinati gli anziani?
In tante chiese evangeliche, sono i membri della stessa comunità locale ad eleggerli tramite votazione “democratica”. Ma, come abbiamo già detto, la chiesa non è una democrazia ma una teocrazia. Deve essere Dio stesso a governarla “dall’alto”, non i credenti “dal basso”. Certo, la votazione dà, dal punto di vista umano, una certa garanzia contro l’abuso del potere. Ma il problema è che la dà anche contro il suo uso corretto! Dà, cioè, il potere ai credenti di rimuovere quegli anziani che li governano in una maniera che non piace loro. Ma la questione è invece se piace a Dio! Gli anziani che si trovano in questa posizione sono inevitabilmente condizionati dal timore di offendere le suscettibilità dei credenti, anziché cercare solo di piacere a Dio. “Se cercassi di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo”, dice Paolo (Galati 1:10).
Il modello biblico, invece – come abbiamo già visto nella citazione dall’epistola a Tito in apertura di questo articolo – è che gli anziani vengano stabiliti e ordinati dagli apostolo (o, al limite, dai loro delegati: c’è disaccordo tra gli studiosi se Timoteo e Tito fossero anch’essi apostoli in piena regola. Personalmente credo di sì: si confronti ad es. 1° Tess. 1:1 con 2:6).
Contro questa posizione, alcuni citano la traduzione Riveduta di Atti 14:23: “E fatti eleggere per ciascuna chiesa degli anziani …”. Ma tale traduzione fu evidentemente influenzata dalla teologia (presbiteriana) del valdese Luzzi: infatti la traduzione esatta è quella data in tutte le altre versioni: “E dopo che ebbero loro per ciascuna chiesa ordinati per voti comuni degli anziani …” (Diodati); “Poi designarono per loro in ciascuna chiesa degli anziani” (Nuova Riveduta); “E dopo aver designato per loro degli anziani in ciascuna chiesa …” (Nuova Diodati); “Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani” (vers. CEI).
Chiaramente, questo presuppone che ci siano anche oggi degli apostoli nella chiesa (come implica Efesini 4:11-13). Ma non abbiamo spazio nel presente articolo per approfondire questo argomento, né la scottante questione pratica di chi sono, e chi li riconosce come tali …
I diaconi
L’altro ufficio nella chiesa locale, quello di diacono, è stato troppo spesso declassato a un livello puramente “manuale” o “tecnico”. I diaconi sono quelli che preparano la Santa Cena, organizzano i turni di pulizia del locale, si occupano della cassa e della contabilità …
Nel Nuovo Testamento, invece, troviamo che l’ufficio di diacono comprende pesanti responsabilità spirituali. I primi diaconi furono i sette istituiti in Atti capitolo 6 per liberare gli apostoli dal lavoro pratico-amministrativo dell’assistenza alle vedove, affinché potessero “dedicarsi alla preghiera e al servizio della parola” (Atti 6:4).
Notiamo, comunque, che l’occasione di questa scelta fu un “mormorio da parte degli ellenisti contro gli Ebrei perché le loro vedove erano trascurate” (v.1). Dovevano, cioè, risolvere una delicata questione che aveva risvolti di giustizia sociale e che minacciava l’armonia e l’unità della chiesa. Perciò dovevano essere “pieni di Spirito e di sapienza”, anche per distinguere i casi di autentico bisogno dagli inevitabili “approfittatori” e “lagnosi”. Il loro compito aveva indubbiamente una grossa dimensione spirituale e pastorale.
Non è un caso che, poco dopo, ritroviamo almeno due dei sette (Stefano e Filippo) che predicano il Vangelo con grande potenza, operando guarigioni e miracoli e liberando gli indemoniati (Atti 7 e 8). Il diaconato è un ufficio di notevole onore e dignità nella chiesa.
Infatti i requisiti per il diaconato sono quasi uguali a quelli dell’anzianato (1° Timoteo 3:8-12), con due significative eccezioni:
- non si richiede loro la capacità di insegnare;
- possono essere sia uomini che donne.
È infatti questa l’interpretazione data dalla maggior parte degli studiosi al v.11 (“Allo stesso modo siano le donne dignitose …”), piuttosto che l’alternativa “Anche le loro mogli …” (così la Nuova Diodati). Che ci fossero le diaconesse nella chiesa primitiva è certo: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa nella chiesa di Cencrea …” (Romani 16:1).
I compiti dei diaconi possono includere qualsiasi tipo di ministero (diakonia) fuorché il governo e la guida della chiesa. Chiaramente è prevista l’amministrazione economica e l’assistenza sociale (Atti 6); ma anche l’evangelizzazione, la catechesi, il discepolato e la cura pastorale (cfr. Tito 2:3-5), l’esercizio dei doni spirituali … Perciò è necessario che “anche questi siano prima provati; poi svolgano il loro servizio se sono irreprensibili” (1° Timoteo 3:10).
Sicuramente abbiamo bisogno di recuperare e di rivalutare anche questo ufficio nelle nostre chiese, ricordando che “quelli che hanno svolto bene il compito di diaconi, si acquistano un grado onorabile e un grande coraggio nella fede che è in Cristo Gesù” (1° Timoteo 3:13).