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di Geoffrey Allen
Per molti cristiani, parlare del ministero di apostoli e di profeti nella chiesa di oggi sembra un discorso irreale: come dire che si potrebbe incontrare qualche dinosauro sull’Autostrada del Sole!
Essi lo considerano un insegnamento strano, esotico, addirittura eretico. “Mai sentito una cosa del genere!” esclamano. E, purtroppo, questo può essere vero.
Ma, se diciamo di credere nella Bibbia come Parola di Dio, e di attingere da essa tutte le nostre dottrine e le nostre pratiche, possiamo forse rigettare un insegnamento soltanto perché ci risulta nuovo? Non rischiamo così di cadere sotto la stessa condanna di coloro ai quali Gesù disse un giorno: “Avete annullato la parola di Dio a motivo della vostra tradizione” (Matteo 15:6)?
Mettiamo dunque da parte tradizioni e pregiudizi, e facciamo come i Giudei di Berea. Anch’essi infatti sentivano annunciare da Paolo e Sila un messaggio che suonava nuovo, strano e in alcuni punti apparentemente blasfemo: che il Messia era venuto, ma che era stato crocifisso come un delinquente. Non per questo, tuttavia, rifiutarono di ascoltare; anzi, “esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11).
Chi è un apostolo?
Se escludiamo l’uso – o abuso – in certi ambienti del termine “apostolato” per significare ogni attività di evangelizzazione o di testimonianza, la parola “apostolo”, nella mente di molti, è associata quasi esclusivamente con i dodici discepoli scelti da Gesù. Ora, è certamente vero che a questi per primi fu dato il titolo di “apostolo” (Luca 6:13); ed ai Dodici – reintegrato il numero originale, dopo il tradimento di Giuda Iscariota (Atti 1:20-26) – è stata riservata una posizione particolare nel piano eterno di Dio. Infatti Gesù disse loro: “Quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele” (Matteo 19:28). E, nel libro dell’Apocalisse, sui dodici fondamenti della Gerusalemme celeste, troviamo scritti “i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello” (Apocalisse 21:14).
Tuttavia, leggendo il Nuovo Testamento, e evidente che il titolo di “apostolo” non fu riservato esclusivamente ai Dodici. L’esempio più lampante è Paolo, che in tutte le sue lettere si presenta come “apostolo di Gesù Cristo” e insiste che il suo apostolato non è inferiore a quello di chiunque altro (Galati 1:1; 1° Corinzi 9:2; 2° Corinzi 11:22-29, 12:11-12).
Alcuni, nel tentativo disperato di limitare a 12 il numero degli apostoli, sono arrivati addirittura a sostenere che gli Undici abbiano sbagliato ad inserire Mattia al posto di Giuda Iscariota. L’intenzione di Dio, essi dicono, era di riservare a Paolo questo posto vacante! Inutile dire che di una simile idea non c’è la pur minima traccia nelle Scritture.
Non solo, ma se esaminiamo le Scritture con un minimo di attenzione, è evidente che ci sono comunque altri, oltre Paolo e i Dodici, che sono definiti “apostoli”. Questo titolo, infatti, viene dato anche a:
- Barnaba (Atti 14:14);
- Silvano (Sila) e Timoteo (1° Tessalonicesi 1:1, 2:6)
- Giacomo, il fratello del Signore (Galati 1:19, 2:9);
- Andronico e Giunio (Romani 16:7), nominati solo in questo versetto. Il senso del testo greco dev’essere che “spiccano fra gli apostoli”, non che siano “stimati dagli apostoli”.
Non solo, ma in 2° Corinzi 11:4-15 e anche in Apocalisse 2:2 troviamo delle polemiche contro i “falsi apostoli”. Questo secondo brano è particolarmente significativo perché, come ha ben scritto Watchman Nee: “Quando fu composto il libro dell’Apocalisse, Giovanni era l’ultimo superstite dei Dodici, e anche Paolo era già morto. Ora, se gli apostoli dovevano essere soltanto dodici, e di questi solo Giovanni era ancora in vita, nessuno sarebbe stato così sciocco da pretendere di essere un apostolo, e nessuno così sciocco da esserne ingannato. Quale sarebbe stata, allora, la necessità di «metterli alta prova»?”1.
La Bibbia ci presenta dunque una categoria di apostoli che non dovevano soddisfare le condizioni previste per chi doveva completare il numero dei Dodici, cioè di avere seguito tutto il ministero terreno di Gesù e di essere testimone oculare della Sua resurrezione (Atti 1:21-22). Anche Paolo non corrispondeva a questi requisiti. È vero che gli fu concessa una rivelazione speciale del Cristo risorto; ma egli dice che in questo fu “ultimo di tutti” (1° Corinzi 15:8); e all’epoca di quella rivelazione, Timoteo – più tardi nominato “apostolo” – non era neppure credente! Paolo, dunque, fu l’ultimo a vedere Gesù risorto, ma non l’ultimo degli apostoli.
I profeti nel Nuovo Testamento
Anche il titolo di “profeta” suggerisce a molti l’immagine di un tipo vestito di tunica e sandali, con i capelli arruffati e la barba lunga, che vive nei deserti e compare all’improvviso, agitando un bastone e gridando “Ravvedetevi, altrimenti perirete!”
Ma nel Nuovo Testamento, anche se troviamo qualcuno a compiere gesti drammatici (vedi Agabo in Atti 21:10-11), è evidente che i profeti erano normalmente inseriti nella vita delle chiese. Oltre ad Agabo – il più noto profeta della Chiesa primitiva (vedi anche Atti 11:28) – incontriamo diversi altri profeti:
- Giuda e Sila (Atti 15:32);
- altri profeti che scesero ad Antiochia con Agabo (Atti 11:27);
- alcuni dei cinque conduttori della chiesa di Antiochia, definiti “profeti e dottori” (Atti 13:1);
- i profeti della chiesa di Corinto, dei quali soltanto “due o tre” dovevano parlare, mentre “gli altri” giudicavano le loro parole (1° Corinzi 14:29)
Tali profeti si collocano a pieno diritto nella linea di quelli dell’Antico Testamento, da Abramo a Malachia, da Mosè a Giovanni Battista. Il loro ministero si differenzia marcatamente da quello dei predicatori, chiamati nel Nuovo Testamento “dottori” (termine meglio tradotto con “maestri” o “insegnanti”) oppure “evangelisti”. Essi sono i portavoce di Dio, gli “occhi” e gli “orecchi” del Corpo di Cristo. Anche oggi, la chiesa ha bisogno di profeti!
A cosa servono?
Un brano chiave per comprendere l’insegnamento biblico per quanto riguarda apostoli e profeti è Efesini 4:8-13: “Salito in alto… ha fatto dei doni agli uomini… Ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti…” Notiamo bene questo: è stato dopo la sua resurrezione e l’ascensione che Cristo ha dato alla Chiesa questi “doni”. Essi sono dunque ben distinti dai Dodici, nominati apostoli prima della sua glorificazione!
Lo stesso brano ci dà anche la risposta biblica a due domande importantissime:
- Perché Gesù ha dato apostoli e profeti alla chiesa?
- Per quanto tempo dovevano continuare ad essere presenti?
Gli apostoli e i profeti – insieme ai ministeri più familiari di evangelisti, pastori e dottori (o insegnanti) – sono stati dati da Cristo “per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo… affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina… ma cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (vv. 12,14,15).
Tutti e cinque i ministeri, nella sapienza di Dio, sono dunque necessari perché la Chiesa possa arrivare alla maturità, e quindi all’unità. Infatti, secondo 1° Corinzi 3:3, la principale causa di contese e di divisioni tra i cristiani (quelli veri, intendiamo: coloro, cioè, che hanno accettato personalmente Gesù come loro Signore e Salvatore), non è altro che la “carnalità”, cioè l’immaturità spirituale.
Perciò la Scrittura dice esplicitamente che tutti e cinque i ministeri devono continuare la loro opera nella Chiesa “fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:13).
È chiaro che non abbiamo ancora raggiunto questo traguardo! È dunque evidente che, nel piano di Dio, la Chiesa ha ancora bisogno di apostoli e di profeti! E continuerà ad averne bisogno per tutta la sua esistenza in questo mondo; perché, da brani come Efesini 5:27 e Apocalisse 19:7, comprendiamo che non appena il traguardo sarà stato raggiunto, il Signore verrà per accogliere a sé la sua Sposa, ormai pronta per la celebrazione delle nozze.
Se invece la Chiesa dovesse insistere a voler andare avanti senza il contributo e la direzione di questi ministeri fondamentali, probabilmente non arriverà mai alla maturità, e il ritorno di Cristo continuerà ad essere una speranza differita. È per questa ragione che oggi lo Spirito Santo sta attirando l’attenzione della Chiesa sulla necessità di apostoli e di profeti nel suo mezzo.
Teoria o pratica?
Molti lettori, forse, non avranno grande difficoltà ad ammettere là validità biblica di tutto il discorso fin qua. I problemi sorgono, invece, quando la questione ci tocca praticamente! Un conto è dire: “Abbiamo bisogno di apostoli e di profeti oggi”, o perfino: “Riconosco che X.Y. in Australia è un apostolo e W.Z. in Giappone un profeta”. È molto più difficile, invece dire: “Riconosco Mario Rossi di Roma come apostolo e Paolo Bianchi di Torino come profeta”; perché questo comporta, come conclusione logica: “… e accetto, anzi, chiedo il loro intervento e la loro autorità nella mia vita e nella mia chiesa”!
Certamente, bisogna guardarsi dai “falsi apostoli” (2° Corinzi 11:13) e dai “falsi profeti” (come, d’altronde, dai falsi pastori, Giovanni 10:1,12-13, e dai falsi evangelisti, Galati 1:7-9). “Li riconoscerete dai loro frutti”, ha detto Gesù (Matteo 7:16). Ma l’esistenza del falso non giustifica un atteggiamento di sospetto o di rifiuto generalizzato. Ci sono in circolazione delle banconote false, ma non per questo decidiamo di rifiutare la busta paga!
I veri ministri di Dio non cercano di “imporsi”, né di costruire un loro “impero” personale, ma hanno un cuore di servo e la sola ambizione di promuovere e di edificare il Regno di Dio. Cristo oggi sta suscitando nella Sua chiesa apostoli e profeti (cosa che, d’altronde, ha sempre fatto nel corso della storia: Giovanni Wesley, per esempio, era indubbiamente un apostolo, e George Fox un profeta). Ma sta anche stimolando la chiesa a riconoscerli come tali, a chiamarli con il giusto nome e a dare loro tutto lo spazio e tutto il riconoscimento di cui hanno bisogno per svolgere efficacemente il loro servizio.
È importante, infatti, dare loro questo riconoscimento. Gesù disse: “Chi riceve un profeta come profeta (e non come pastore, né tantomeno come un agitatore che disturba la pace e la tranquillità!) riceverà premio di profeta” (Matteo 10:41) Come osservò qualche anno fa un apostolo contemporaneo: “Per alcuni sono un evangelista, perché ho svolto in mezzo a loro questo ruolo; per altri sono un apostolo, e posso agire come tale nei loro confronti. Per altri ancora, non sono altro che un gran fastidio!”
Dio ci chiede di dare ascolto a quello che lo Spirito Santo sta dicendo alle chiese, e di riconoscere ed accogliere gli uomini unti dallo Spirito per queste funzioni, perché sono indispensabili alla crescita, alla maturazione e all’unità della chiesa del Signore.
1 Watchman Nee, The Normal Christian Church Life, Washington, International Students Press, 1969, p.16.