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di John Bedford
I cristiani che sono impegnati a vivere in un rapporto di amore l’uno con l’altro sono anche impegnati ad essere aperti.
Michael Harper nel suo libro “A New Way of Living” dice che in questo impegno c’è un rischio non antisettico. Le situazioni nelle quali ci troveremo saranno abrasive: ci troveremo a smussare gli spigoli sporgenti l’uno dell’altro, e questo può essere talvolta doloroso. A questo proposito si parla spesso con humor di “ministero della carta vetrata”. Questo comporterà l’essere esposti l’uno all’altro senza il conforto di anestetici che stordiscano il dolore. Dobbiamo prendere l’impegno reciproco di non nasconderci nel corso delle nostre conversazioni.
Cosa succede quando ci nascondiamo?
La prima cosa è che tutti e due siamo nelle tenebre (1° Giovanni 1:6-7). Siamo fuori della comunione con Dio e fuori della comunione reciproca. Questo è curioso perché apparentemente stiamo parlando l’uno all’altro, ma in realtà non stiamo comunicando. Abbiamo un rapporto “sbarrato”!
La seconda cosa è che tutte le bugie, tutte le mezze verità, tutti i nostri nascondigli sono in realtà opera del diavolo. Infatti, egli è il manipolatore della nostra conversazione. E’ proprio la natura del diavolo quella di nascondere e ingannare, creare barriere tra le persone e rompere o rovinare le relazioni esistenti. (v. Giovanni 8:44).
Terzo, ci inganniamo a vicenda e distorciamo quello che pensiamo che sia realmente la verità. Il che significa effettivamente che non stiamo godendo nessuna comunione. Non essere aperti significa peccare l’uno contro l’altro (1° Giovanni 1:8).
Perché ci vogliamo nascondere?
Se siamo onesti, la prima ragione per la quale non siamo aperti l’uno con l’altro è l’orgoglio.
Abbiamo paura che mostrando quello che effettivamente siamo perdiamo la faccia (gli altri hanno sempre pensato che noi fossimo buoni, forti, capaci. Hanno pensato che siamo puri, amorevoli e generosi. Che nobile immagine abbiamo creato di noi stessi!) Ma adesso ci si chiede di condividere quello che siamo: a volte deboli, impuri, incapaci! Se dobbiamo essere aperti il nostro orgoglio deve morire. Non è possibile condividere la propria vita, non è possibile avere una comunione reale e allo stesso tempo mantenere il proprio orgoglio e la propria immagine.
Un’altra ragione per cui ci nascondiamo è quella di mantenere la nostra indipendenza. Non abbiamo mai avuto bisogno di nessuno, non ne abbiamo adesso, non riusciamo a vedere il motivo per cui dovremmo aprire le nostre vite effettivamente. In realtà abbiamo avuto sempre bisogno di amore, incoraggiamento, esortazione, addestramento e disciplina. Non possiamo ricevere nessuno di questi aiuti se non ci umiliamo e condividiamo le nostre vite con i nostri fratelli.
Nel nostro orgoglio, se non ci apriamo, continueremo nella ribellione. Lo chiamiamo essere auto-sufficienti. L’auto-sufficienza è una scusa per il nostro orgoglio e una negazione della nostra appartenenza al Corpo di Cristo. Nessun membro è indipendente o auto-sufficiente in se stesso. Così continueremo a nasconderci se non decideremo di morire al nostro orgoglio, se non rinunceremo alla nostra immagine, indipendenza e ribellione.
In secondo luogo, ci nascondiamo per paura
Abbiamo paura di aprire le nostre vite perché se gli altri sapranno come siamo ci rigetteranno. Ci nascondiamo perché non siamo quello che gli altri pensano che noi siamo. Questa paura di essere respinti nasce dal fatto che siamo noi stessi a disprezzarci, ad avere un senso di inferiorità, a giudicarci senza valore. Ma Dio non ci ha rigettati, eppure sa tutto di noi.
Abbiamo paura di aprire le nostre vite perché gli altri ci giudicheranno e ci condanneranno. Essi si alzeranno sugli scanni della loro giustizia personale e poiché non hanno mai fatto questo, diranno: “Oh! Come hai potuto, è vergognoso!” Molti di noi si sentono ancora in colpa per il fatto di aver lanciato la prima pietra e questo è il motivo per cui abbiamo paura di aprirci per condividere la nostra vita.
Non condividiamo la nostra vita perché abbiamo paura che le persone non ci ascoltino. Oh, senz’altro daranno ascolto alle nostre parole, cercheranno di capire quello che diciamo, ma non sentiranno il grido del nostro cuore, la disperazione della nostra anima, la paralisi del nostro spirito. Noi condividiamo, non perché siamo alla ricerca di qualche buon consiglio – come siamo sempre pronti a darne – ma condividiamo perché vogliamo che gli altri ci amino apertamente e liberamente. Essi come sono, amino le persone che noi siamo.
Abbiamo paura di condividere la nostra vita con le nostre debolezze perché gli altri ci correggeranno e ci raddrizzeranno. Abbiamo paura che essere corretti possa ferire il nostro orgoglio, forse la nostra posizione, oppure l’immagine che abbiamo di noi stessi. Non vogliamo cambiare e abbiamo paura che gli altri lo vogliano.
In terzo luogo, ci nascondiamo per vergogna
Ci sentiamo colpevoli dei nostri peccati e non siamo sicuri del perdono degli altri. Abbiamo paura di fare brutta figura e abbiamo paura degli altri i quali, sentendosi più giusti di noi, ci potranno colpire con la trave che hanno nel loro occhio mentre cercano di correggere la pagliuzza del nostro occhio. Così, nella nostra vergogna copriamo la nostra colpa e ci nascondiamo. Adamo all’inizio si comportò così, e noi figli di Adamo continuiamo a fare quello che fece nostro padre. Dio si rivolge a noi attraverso gli altri: “Adamo dove sei?”
L’ultima ragione per la quale ci nascondiamo è che in fondo siamo ancora egoisti. Perché dovremmo essere aperti? Cosa ci guadagniamo? Che ne ricaviamo? Nel nostro egocentrismo ci nascondiamo perché se siamo aperti rischiamo di essere chiamati a servire i nostri fratelli, o peggio, ad ammettere di aver bisogno del loro ministero per noi. Ma che cos’è l’orgoglio, la paura, la colpa e l’egocentrismo se non peccato? Perciò la ragione fondamentale per cui non ci apriamo a condividere la nostra vita apertamente l’uno con l’altro è che stiamo ancora cercando di nascondere i nostri peccati. Possiamo dire: “Ma io ho paura di essere ferito ed abbandonato”, ma in realtà io sto dicendo: “Mi rifiuto di prendere la mia croce”; perché è attraverso l’essere feriti ed abbandonati che siamo chiamati a prendere la nostra croce. Gesù prese la Sua croce per essere ferito ed abbandonato. Perché portando quella sofferenza apertamente e senza vergogna potesse benedire quelli che Lo ferivano. E’ a questo ministero di benedizione reciproca che Dio ci sta chiamando, anche se talora può essere attraverso la sofferenza. Dio ci sta chiamando a prendere un impegno a condividere le nostre vite apertamente l’uno con l’altro.
Impegno
Devo fare personalmente un atto della mia volontà per vivere la mia vita apertamente con tutti i miei fratelli e le mie sorelle. Camminerò nella luce, in modo trasparente con Dio ed i miei fratelli. (allora a nostra gioia sarà completa; vedi 1° Giovanni 1:4). Questo impegno avrà altresì bisogno di:
Coraggio
Dobbiamo uscire allo scoperto, e all’inizio, quando ci apriremo, ci sarà la sofferenza della crocifissione. Il dolore che viene dal crocifiggere il nostro orgoglio e dal morire alla nostra paura di essere respinti. Il dolore quando la restaurazione di un rapporto interrotto comporta la confessione del nostro peccato e la ricerca della restaurazione del rapporto con i nostri fratelli. La sofferenza che deriva dal ricevere qualche buon consiglio che non avevamo chiesto o di cui non avevamo bisogno. Solo allora arriverà l’orecchio pronto ad udire ed il balsamo dell’amore. Dopo aver preso quest’impegno, saremo preparati ad andare avanti per la:
Confessione
L’offeso deve fare il primo passo. Il peso è sull’innocente, non sul colpevole (Matteo 18:15). Perché in molti casi l’offesa è sconosciuta all’altra persona. Noi che sappiamo che qualcosa non va bene, dovremmo fare il primo passo per aggiustare le cose.
1° Giovanni 1:9: E’ nostra responsabilità di confessare i nostri peccati nascosti ai nostri fratelli. Dio già li conosce.
Matteo 18:15: Se offesi, facciamo il primo passo. Se siamo stati feriti o trattati ingiustamente spetta a noi aprirci con i nostri fratelli.
Galati 6:1-2: Se vediamo il nostro fratello spiritualmente nel bisogno, dobbiamo essere noi a muoverci per aiutarlo e restaurarlo.
Quando soffriamo di autocommiserazione noi siamo gli unici che possano mettere le cose a posto portandoci alla croce e morendo al nostro egocentrismo.
Conforto
Quando avremo preso questo impegno, preso coraggio, confessato il nostro peccato e vissute le nostre vite apertamente ci sarà allora il conforto del perdono e della vicinanza. Il conforto di una comunione e di una accettazione reali.
Comunione reale con Dio: 1° Giovanni 1:3.
Adorazione e sacrificio reali a Dio: Matteo 5:23-24.
Condivisione reale nei nostri bisogni: Atti 4:35.
Dobbiamo prima riconciliarci e poi offrire il nostro dono.
Impegniamoci a vivere apertamente l’uno con l’altro in onestà ed amore. Noi ci impegniamo a morire, ad aprirci, ad essere amati e ad essere corretti, perfino a lasciarci offendere, affinché possiamo essere una benedizione l’uno per l’altro e lasciare che Gesù sia effettivamente il Signore delle nostre vite.