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di Geoffrey Allen
Nel 1978 una notizia sconvolgente riempì le prime pagine dei giornali di tutto il mondo: 912 seguaci di un sedicente “profeta” americano, Jim Jones, si erano suicidati in massa presso la comune di Jonestown nella giungla sudamericana.
Obbedienti fino alla morte al loro capo paranoico, avevano bevuto senza remore un’aranciata al cianuro, somministrandone anche ai propri bambini. Ci sono voluti parecchi giorni per identificare e rimpatriare tutti i corpi ormai in decomposizione.
Questo episodio agghiacciante ha segnato la coscienza di un’intera generazione e viene citato come uno spauracchio tutte le volte che si parla di “autorità” e di “sottomissione” in ambiente religioso.
Ma, ha detto un saggio, “il rimedio dell’abuso non è il disuso, ma l’uso giusto”. Qualcuno usa un coltello per commettere un omicidio, ma non per questo rinunciamo ad usare i coltelli in cucina. Altri fanno pazzie con l’automobile, ma non torniamo ad andare a piedi.
Allo stesso modo, il fatto che c’è stato – e continua ad esserci – chi abusa dell’autorità, non deve indurci ad andare all’altro estremo, abbracciando l’anarchia. La Parola di Dio insegna chiaramente dei principi di autorità e di sottomissione, non solo nella chiesa ma anche nella famiglia e nella società, che nessun abuso ci autorizza a gettare alle ortiche.
Il Regno di Dio
Il tema centrale del messaggio e degli insegnamenti di Gesù riportati nei Vangeli è “il Regno di Dio”. È un regno non rappresentata da un territorio geografico, e neanche da relegare a un tempo futuro (anche se solo allora avrà il suo compimento perfetto). Lo possiamo definire così: “La sfera dove Dio governa, dove sono rispettate le Sue leggi e viene fatta la Sua volontà”.
Tante volte infatti la Bibbia parla di Dio come di un grande Re: “il Re di tutta la terra” (Sal. 47:2,7), ed esorta tutti i suoi abitanti a riconoscerLo come tale con acclamazioni, lodi, adorazione e obbedienza, perché solo Lui è il vero Dio e Padrone di tutto ciò che ha creato: “Mandate grida di gioia all’Eterno, abitanti di tutta la terra! Servite l’Eterno con letizia, presentatevi gioiosi a lui! Riconoscete che l’Eterno è Dio; è lui che ci ha fatti, e noi siamo suoi …” (Sal. 100:1-3). “L’Eterno ha stabilito il suo trono nei cieli, e il suo regno domina su tutto” (Sal. 103:19).
Dopo la morte e la resurrezione di Cristo, mediante la quale Egli ha sconfitto l’usurpatore Satana e tutti i suoi servi, Dio ha delegato a Lui la suprema autorità su tutto il creato: “Ogni autorità mi è stata data in cielo e sulla terra …”, dichiarò Gesù ai discepoli (Matt. 28:18). “Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi”, e solo alla fine del mondo Egli riconsegnerà il Regno nelle mani del Padre, “dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza …” (1° Cor. 15:27,24).
La domanda sorge spontanea, allora: In che modo Cristo esercita oggi questo potere governativo sulla terra?
La catena di autorità
In 1° Corinzi 11:3, viene rivelato un principio fondamentale per la comprensione dell’autorità nel Regno di Dio: la catena di autorità. “Voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio”. Possiamo illustrare graficamente questo versetto così:
DIO
|
CRISTO
|
UOMO
|
DONNA
L’autorità di ogni “capo” (fatta eccezione, ovviamente, per il Capo supremo, Dio Padre) gli viene delegata dal “capo” al quale a sua volta deve rispondere.
Questo principio era stato ben capito da quel centurione dell’esercito romano, il cui incontro con Gesù è riferito in Matteo 8:5-10. Egli venne da Gesù sicuro di ottenere la guarigione che cercava per il proprio servo, perché riconosceva in Lui una grande autorità spirituale: bastava una Sua parola e demoni, malattie e tempeste dovevano fuggire. Ma è estremamente significativo il modo in cui esprime la comprensione di questa autorità:
“… Perché anch’io sono un uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene …”. In altre parole, l’autorità sui subordinati deriva dalla sottomissione all’autorità superiore.
Gesù dunque, in vista della Sua perfetta obbedienza al Padre “fino alla morte … di croce” (Fil. 2:8), ha ricevuto dalle Sue mani “ogni autorità … in cielo e sulla terra”. Ma Egli non esercita questa autorità solo in maniera diretta e personale: la delega agli esseri umani come Egli vuole. In particolare, la Parola di Dio ci insegna che Egli affida la Sua autorità:
- nella sfera della vita familiare, al marito sulla moglie e ai genitori sui figli (Ef. 5:22-24, 6:1-3);
- nella società secolare, al governo debitamente stabilito, ai magistrati e alle forze dell’ordine di ciascuna nazione (Rom. 13:1-5);
- nell’ambito della Chiesa, ai ministri che Egli sceglie e stabilisce, in primo luogo apostoli e profeti (2° Cor. 10:8, 1° Cor. 5:3-5, Atti 15:23,28, ecc.);
- infine, in ogni singola chiesa locale, agli anziani che hanno il compito di governarla (Atti 14:23, Tito 1:5, 1° Tim. 3:2-5, ecc.).
Tutte queste autorità dovranno rendere conto del loro operato a Cristo nel giorno del giudizio (Ebr. 13:17): quelli che fanno bene, rappresentando fedelmente la Sua giustizia e il Suo stile di autorità, ne riceveranno il premio, mentre coloro che abusano dell’autorità per servire i propri interessi o per cercare la propria gloria saranno condannati.
Ma spetta a Lui, non a noi, questo giudizio. Nel frattempo, ci è chiesto di onorarle, rispettarle e sottometterci a loro. In ogni sfera dell’autorità vale lo stesso principio enunciato dall’apostolo Paolo riguardo ai figli nell’ambito della famiglia: “Figli, ubbidite nel Signore ai vostri genitori, perché ciò è giusto”; non dice, come è stato ben osservato: “… quando (secondo voi) sono nel giusto”!
Sottosopra
Nel Regno di Dio, però, la natura dell’autorità è ben diversa da quella che, a causa del peccato e della corruzione della natura umana, assume nel mondo. In Matteo 20:25-28, Gesù dà ai discepoli questo insegnamento rivoluzionario: “Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi: anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servitore; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”.
E in Giovanni capitolo 13 Gesù dà una dimostrazione pratica di come l’autorità va esercitata nel Regno di Dio. “Si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio … Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise a di nuovo a tavola e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io»” (vv.3-5,12-15).
Notiamo bene che Gesù non rifiuta affatto la posizione di autorità sui discepoli denotata dai titoli di “Signore” e “Maestro”; anzi, la riafferma. Ma dimostra un nuovo modo di esercitare l’autorità, che dovrà essere normativo nel Regno di Dio: d’ora in poi, l’autorità è servizio, non dominio. È così che Pietro, nel quale queste lezioni devono essere rimaste profondamente impresse, esorta gli anziani nelle chiese locali: “Pascete il gregge di Dio … non come dominatori di quelli che vi sono affidati, ma come esempi del gregge …” (1° Pt. 5:2-3).
Se le cose stanno così, ne deriva una conclusione importantissima: quando l’autorità viene esercitata nella maniera voluta da Dio, sottomettersi ad essa non è un sacrificio, ma al contrario, significa lasciarsi servire.
Un atto di fede
Nella vita pratica, tuttavia, sorgono dei problemi. Sorgono dalla stessa fonte dalla quale derivano quasi tutti i problemi nella vita della chiesa: la carnalità. Carnalità da parte dei credenti, che, non avendo compreso la natura del regno e del governo di Dio, pensano di avere il “diritto” di fare nella Sua chiesa tutto quello che vogliono e si ribellano al pensiero che qualcuno debba “dare loro degli ordini”.
Peggio ancora, carnalità da parte di conduttori immaturi e poco spirituali – spesso elevati a tale rango in maniere non bibliche, per votazione del popolo o, peggio, semplicemente “autoproclamandosi” tali – che abusano dell’autorità, come i malvagi pastori di Israele contro i quali Dio si scaglia per bocca del profeta Ezechiele:
“Così dice il Signore, l’Eterno: Guai ai pastori d’Israele che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero invece pascere il gregge? Voi mangiate il grasso, vi vestite di lana, ammazzate le pecore grasse, ma non pascete il gregge. Non avete fortificato le pecore deboli, non avete curato la malata, non avete fasciato quella ferita, non avete riportato a casa la smarrita e non avete cercato la perduta, ma avete dominato su loro con forza e durezza. Così esse per mancanza di pastore si sono disperse, sono diventate pasto di tutte le fiere della campagna … Le mie pecore vanno errando per tutti i monti… e nessuno è andato in cerca di loro, o ne ha avuto cura … Ecco, io sono contro i pastori; chiederò loro conto delle mie pecore e li farò smettere dal pascere le pecore. I pastori non pasceranno più se stessi, perché strapperò le mie pecore dalla loro bocca e non saranno più il loro pasto” (Ezech. 34:2-6,9-10).
Diventa necessario allora porre la domanda: Quali sono i limiti della sottomissione? Fin dove i credenti sono tenuti ad “ubbidire ai propri conduttori e sottomettersi a loro” (Ebr. 13:17), e quando devono invece dire con Pietro e Giovanni: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29)?
Nelle altre sfere di esercizio dell’autorità, è tutto più semplice. Le mogli ai mariti, i figli ai genitori, i cittadini al governo: tutti sono tenuti a rispettare e sottomettersi alle autorità che Dio ha stabilito, anche quando queste non sono credenti o quando agiscono (secondo il nostro parere) ingiustamente. Bisogna confidare in Dio, l’Autorità suprema, perché ci protegga dal male e, se necessario, faccia cambiare idea a chi Egli ha posto sopra di noi. Riconosciamo pure che tutti possiamo sbagliare, per cui, mentre è possibile che l’autorità abbia torto, è anche possibile che abbiamo torto noi! Soltanto quando le sue richieste oltrepassano i limiti di ciò che è lecito per un cristiano, saremo tenuti alla “disubbidienza civile” per ubbidire piuttosto a Dio.
Nella chiesa, invece, le cose sono più complicate. Bisogna, innanzitutto, domandarsi: è questa veramente la persona che Dio ha stabilita come autorità spirituale sopra di me? È un vero pastore stabilito e autorizzato da Dio (Ef. 4:11), oppure un “abusivo”; nelle parole di Gesù, un “mercenario”, o, peggio ancora, “un ladro e un brigante” (Giov. 10:1,12)? Ama e cura le pecore, è pronto a dare la sua vita per esse (Giov. 10:11), oppure pensa solo a ingrassare se stesso (materialmente o in termini di prestigio, onore e posizione)? Riconosce che il gregge è del Signore, non sua proprietà privata, e lo cura “come chi ha da renderne conto” (Ebr. 13:17)? Cerca di dominare, oppure ha un cuore di servo?
Se colui che mi trovo sopra nella chiesa non supera questa prova, farei meglio a cercarmi piuttosto un vero pastore e sottomettermi a lui. Attenzione, però! “Il cuore è ingannevole”, dice la Bibbia (Ger. 17:9): abbiamo tutti una grande capacità di credere ciò che ci fa più comodo. Occorre stare in guardia contro la presunzione, il giudizio, l’amarezza e un atteggiamento ribelle che possono giocarci brutti scherzi, portandoci a metterci contro coloro che Dio ha realmente unto.
Volontaria
Chi invece ha sopra di sé un vero pastore, gli si sottometta con tutto il cuore. Nel Regno di Dio, infatti, la sottomissione è sempre volontaria. La Bibbia non dice mai: “Mariti, soggiogatevi le vostre mogli”, e neanche: “Pastori, sottomettetevi la vostra chiesa”. Dio stesso, per ora, non obbliga nessuno ad essergli sottomesso: ci lascia liberi di scegliere se ubbidirGli o no … e di pagare poi le conseguenze nel giorno del giudizio! Così, nella Sua chiesa, nessuno è obbligato ad essere sottomesso … anche se c’è da chiedersi se gli ostinati e i ribelli fanno parte del Regno! (cfr. 1° Sam. 15:23).
Tocca dunque agli anziani e a chi partecipa alla guida della chiesa una grande responsabilità. La cura pastorale, infatti, non si può limitare ai soli aspetti “spirituali” della vita dei credenti. Dio è interessato a tutta la nostra vita (meno male!): lavoro, soldi, matrimonio, vita familiare, tempo libero … e vuole essere Signore di tutto. Perciò, tutte queste aree sono legittima cura dei pastori ai quali Egli ha delegato la cura delle Sue pecore; e di tutte queste aree della nostra vita, Egli chiederà conto a loro.
Il loro compito, comunque, non è quello di fare da “bambinaie” ai credenti vita natural durante. Al contrario, la Parola di Dio dice che Gesù, dopo la Sua ascensione in cielo, “ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi … fino a che tutti siamo arrivati … allo stato di uomini fatti …” (Ef. 4:11-13).
Il pastore, certamente, deve talvolta “ordinare” ai credenti, specialmente a quelli più immaturi e agli ostinati e presuntuosi: egli è autorizzato dal Signore a farlo (cfr. 2° Tess. 3:4; 1° Tim. 6:17). Ma molto più spesso, come Paolo, preferirà “fare appello al vostro amore” (Filem. 8-9). Lo scopo della cura pastorale, l’obiettivo di ogni vero pastore, non è quello di tenere i credenti per tutta la vita sotto la propria cura, piuttosto è quello di “presentare ogni uomo perfetto in Cristo” (Col. 1:28), di farli maturare al punto da non avere più bisogno delle sue cure, ma al contrario essere in grado di curare gli altri.
Perciò – come ama ripetere un carissimo pastore di mia conoscenza – egli non pensa di dover discernere la volontà di Dio per i credenti sotto la sua cura, piuttosto il suo compito è quello di ascoltare Dio con loro. Altrimenti non impareranno mai a farlo da soli. Un vero pastore non mira infatti a far dipendere i credenti da sé, ma da Dio.
Chiaramente, ogni esercizio di autorità comporta dei rischi. Ma chi non è pronto ad affrontare alcun rischio non è adatto al Regno di Dio! E non sono forse maggiori i rischi di uno stato di anarchia, dove “ognuno fa ciò che è giusto ai propri occhi”? Se è vero che ci sono stati leaders nella chiesa che, in tutta buona fede, hanno sviato il gregge, non è anche vero che molto più spesso si sono sviati e hanno fatto naufragio i credenti che, privi di cura pastorale oppure gettando alle ortiche il consiglio dei loro responsabili, hanno fatto di testa loro?
Uso e abuso
Esiste certamente l’abuso dell’autorità pastorale: manipolazione, dominio, sfruttamento … Ma il rimedio non sta nel disuso, ma nell’uso giusto, secondo la Parola di Dio. Altrove in questo numero si parla dei “fattori di sicurezza” garantiti dal modello biblico di autorità: la pluralità dei ministeri, la sorveglianza degli anziani locali da parte di ministri più qualificati (apostoli), ecc. Ma la garanzia fondamentale è quella data dal timore di Dio. Quando pastori e anziani hanno il giusto atteggiamento nei confronti di Dio e del suo gregge, potranno, è vero, sbagliare (non ce ne sono di infallibili!), ma non potranno guastare la chiesa di Dio.
Esistono dei Jim Jones, ma per ognuno di essi ci sono centinaia di veri pastori che amano e servono il gregge, pronti a dare la vita per esso. Sottomettiamoci dunque con gioia a loro, sapendo che “essi vegliano per la nostra vita come chi ha da renderne conto” (Ebr. 13:17). Solo così la chiesa troverà sicurezza e sarà edificata e il Regno di Dio potrà espandersi su tutta la terra.