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di Franca Traettino
“Vai sopra a prendermi un fazzoletto!” È ancora vivo il ricordo della voce dei miei fratelli che con tono che non ammetteva repliche mi chiedevano di salire al piano di sopra per prendere un fazzoletto. E ricordo che nemmeno mi sfiorava l’idea di rifiutarmi di obbedire: avevo bevuto insieme al latte materno la convinzione che la donna deve essere sottomessa all’uomo, deve sempre obbedirgli, sia esso il padre o il fratello.
Questa convinzione però non rimase più così ferma negli anni di liceo e universitari – eravamo negli anni Sessanta – durante i quali si aprivano insieme alle lotte politiche anche i grossi e sofferti dibattiti intorno alla condizione della donna, la parità dei diritti tra i due sessi in ogni campo. Vivevo anch’io, come la maggior parte delle giovani di allora, questa problematica anche se in forma moderata. Desideravo fortemente inserirmi nel mondo del lavoro e non essere relegata per tutta la vita tra fornelli e biancheria sporca.
Tra l’altro non incontravo resistenze all’interno della mia famiglia perché, pur essendo di stampo tradizionale, non si mostrava ostile ad una misurata emancipazione della donna purché fosse chiara in casa la definizione dei ruoli.
Nel frattempo avevo fatto due incontri determinanti: avevo conosciuto il Signore come personale Salvatore e un giovane credente che poi sarebbe diventato mio marito.
Il Signore aveva un’evidente considerazione della dignità della donna, non faceva distinzione tra i due sessi: “non c’è né maschio né femmina” (Galati 3:28); e Giovanni, mio futuro marito, rispettava le mie aspirazioni per il futuro. Mi incamminai quindi per la via del matrimonio con la certezza che non avrei per nessun motivo rinunciato al mio lavoro. E infatti non furono motivi sufficienti la distanza della scuola nella quale insegnavo con molta dedizione e impegno, la gravidanza inoltrata – in quel periodo si era messe a riposo per maternità solo sei settimane prima della data presunta del parto – la cura della comunità della quale mio marito era pastore e, più tardi, tutti gli impegni per la conduzione di una famiglia con due bambini nati a distanza di un anno l’uno dall’altro.
Il tempo non fece che aumentare i disagi e con questi le mie tensioni e la mia irritabilità. Dopo il lavoro a scuola, dove con serenità mi dedicavo agli alunni, tornavo a casa svuotata e lì cominciava la giostra: la spesa, la cucina, la cura degli ospiti spesso presenti a casa, la cura del marito e dei figli. Su questi, purtroppo, spesso scaricavo la stanchezza e le tensioni accumulate nella giornata durante la quale ero sempre in lotta con il tempo.
Ricordo che un giorno Giovanni, mio marito, mi disse a bruciapelo: “Franca, penso che tu debba lasciare il lavoro!” Pensavo scherzasse.
Aveva scoperto che esisteva una legge speciale per le lavoratrici madri con due figli in età minore che consentiva il prepensionamento ad effetto immediato con cinque anni di abbuono. Noi ne avevamo due più grandi e una terza che il Signore ci aveva appena regalato con nostra grande gioia in un momento molto particolare e triste della nostra vita. Giovanni non era mai stato molto propenso e paziente a girare per gli uffici per sbrigare pratiche, anche perché non ne aveva il tempo tra il lavoro e la cura della chiesa, ma mai come allora fu così solerte. Lo lasciai fare pensando che dopo un po’ avrebbe desistito per le lungaggini burocratiche, ma mi sbagliavo.
Intanto le difese interiori per salvaguardare il mio lavoro a tutti i costi si andavano abbassando. Passò solo qualche mese e, con mia grande meraviglia, tutte le pratiche furono pronte. Fu veramente il Signore a cambiare il mio atteggiamento. Egli aveva già iniziato il Suo lavoro dentro di me con delicatezza e con rispetto, consentendomi di farmi le mie esperienze. Mi sorprendevo a pensare che se mi fossi dedicata col cuore alla mia famiglia prima che ad ogni altra cosa, se fossi “tornata al focolare”, avrei reso un servizio alla chiesa e alla società. Non era forse vero che uno dei motivi del fallimento della famiglia era costituito dall’assenza sempre più frequente della madre? Certamente per molte è un’esigenza indifferibile quella del lavoro, ma non è pure vero che quando si è abituati ad un certo livello di vita è difficile rinunciarci?
Inoltre passi della Scrittura che avevo letto decine di volte acquistavano all’improvviso una luce e un valore per la mia vita. Eravamo ad un incontro per responsabili (e mogli) negli Stati Uniti e il passo “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole” (Genesi 2:18) divenne il metro di misura della mia vita vissuta fino ad allora. Dio mi aveva messo accanto a un uomo che aveva chiamato al Suo servizio. Qual era stato il mio atteggiamento in tutti quegli anni? Non ero forse chiamata anch’io personalmente e non di riflesso? Al centro della mia vita era questa chiamata o il desiderio di affermazione della mia dignità di donna a dispetto delle frustrazioni secolari del sesso “debole” e delle mie personali? Ero stato un aiuto posto a fianco (la costola!) o solo l’ombra?
Una luce solare, certamente lo Spirito Santo, illuminò tutta la mia vita e dopo un’inevitabile tristezza iniziale mi fu chiaro il piano di Dio, la Sua lunga pazienza e il Suo amore infinito per me. Lo avevo sempre amato e avevo desiderato fare (più o meno!) la Sua volontà, ma solo allora capivo il significato delle parole: “Lo zelo della tua casa mi consuma” (Salmo 69:9).
I riflessi furono evidenti nella casa e fuori, la consapevolezza di essere nel piano di Dio nel rapporto con mio marito e con i miei figli diede una seria svolta all’esistenza della nostra famiglia, se si tiene conto dell’influenza determinante che la madre esercita sull’atmosfera di tutta la casa, quando è serena, appagata, soddisfatta.
Da allora il lavoro “fuori casa” cui tanto tenevo non è mancato e non ho mai dovuto temere la disoccupazione! Le prove non sono mancate, come quella occorsa dopo qualche anno dalla scoperta della mia chiamata. Stavo vivendo finalmente un periodo di impegno pieno nella chiesa e di equilibrio raggiunto in casa: i nostri due figli più grandi si muovevano ormai in modo abbastanza autonomo, la piccola Paola nata dopo nove anni era in età scolare e quindi cominciava ad essere alquanto indipendente da me, quando il Signore pensò di arricchire la nostra “faretra” con un’altra “freccia”, un altro figlio!
Fu un momento di perplessità, di stupore, quasi di delusione. Non capivo, i conti non tornavano: proprio allora che il mio impegno nella chiesa era profuso a piene mani arrivava un bambino. E quasi a quarant’anni! Potevo essere la nonna! Punto e da capo con pannolini, pappine, notti insonni, orari precisi da osservare e così via. Molti furono gli incoraggiamenti, le esortazioni, le congratulazioni; ma dopo momentanei sollievi ripiombavo nell’autocommiserazione, nell’amarezza.
Poi, mentre discutevo con Dio continuamente in questo stato d’animo, un pensiero letto da qualche parte mi toccò nel profondo: “Ogni bimbo che nasce ricorda all’uomo che Dio lo ama e non si è dimenticato di lui”. Fu una sfida! Potevo continuare a rifiutare questo dono, con tutte le conseguenze psicologiche che potevano derivarne, o accettare con gioia la riconferma dell’amore di Dio attraverso questo bambino. Anche se non capivo tutto accettai la dimostrazione d’amore.
Sarebbe troppo lungo descrivere l’esperienza che ha costituito per noi questo bimbo “non programmato”; è stato il mezzo che Dio ha usato per consentirci di essere uniti più saldamente come coppia, ci ha dato nuova vitalità, è stata, in poche parole, come un’iniezione di giovinezza. Abbiamo potuto dire, per esperienza vissuta, che “tutto coopera al bene di quelli che amano Dio”.
Certamente con una famiglia come la nostra che abbraccia tre fasce di età, e in più con la vita della comunità, non sempre è facile tenere l’equilibrio interno ed esterno alla famiglia. Inoltre l’apertura di una scuola materna ed elementare della comunità, attraverso la quale desideriamo essere una testimonianza vivente nella società, assorbe molto del mio tempo. Perciò ho bisogno di fermarmi ogni giorno ai piedi della croce per attingere la forza necessaria e ricevere la Sua grazia incondizionata e irrevocabile per compiere le opere che ha preparate per me.
Riguardando al cammino che fin qui il Signore mi ha dato di percorrere, non posso non riconoscere la Sua guida nella mia vita. Quando l’ho programmata solo con le mie capacità, spesso ho dovuto realizzare che i Suoi piani non erano i miei piani. Ma tutte le volte che ho lasciato che la Sua mano mi guidasse, grandi benedizioni ne sono derivate per me personalmente e per quelli intorno a me.
Sono convinta che solo lasciandoci modellare dalle Sue mani possiamo raggiungere la statura perfetta di Cristo alla quale ogni credente è chiamato.