SCARICA PDF di questo articolo
di Geoffrey Allen
Squilla il telefono. “Pronto? Parlo con il pastore evangelico? – domanda una voce femminile. – Vorrei sapere di più sulla vostra chiesa”. Tutto contento, fisso un appuntamento. Ma, dopo mezz’ora del vostro colloquio, viene fuori il vero motivo della ricerca: “Sa, io sono divorziata e ora voglio risposarmi. Credo in Dio, ma la Chiesa Cattolica non ammette le seconde nozze. Potremmo sposarci nella vostra chiesa?”
Una coppia della vostra comunità, dopo anni di tensioni nella vita matrimoniale, decide di separarsi. Improvvisamente viene fuori che da anni lei – nonostante le apparenze di spiritualità – intratteneva di nascosto una relazione con un altro uomo, con il quale ora va a convivere. Il marito, distrutto, rimane nella chiesa con due bambini piccoli da accudire. Naturalmente lo incoraggiate a perdonare, a pregare e a sperare che la moglie si ravveda e che si creino le premesse per rimettere insieme i cocci della famiglia rotta. Ma ciò non si verifica, anzi si consuma il divorzio e l’ex moglie – ormai lontana da qualsiasi chiesa – sposa il suo amante. Quando, a distanza di tempo, il marito tradito sviluppa un’amicizia con una sorella credente, quale guida pastorale gli darete?
Una giovane moglie, cacciata fuori dal tetto coniugale a favore di un’altra donna, nella sua disperazione si avvicina al Signore, dimostrando i segni di un’autentica conversione e mostrandosi pure pronta a perdonare il marito e di riconciliarsi con lui. Purtroppo lui non ne vuole sapere. Dopo qualche anno, nasce una simpatia tra lei e un fratello della chiesa. Quale consiglio pastorale offrite loro?
Casi del genere, purtroppo, si presentano sempre più spesso nelle nostre chiese; e, a meno che i costumi della società occidentale non vengano drasticamente riformate da un risveglio spirituale su vasta scala, la previsione dev’essere che aumenteranno sempre di più. Non è facile per i pastori sapersi muovere in queste situazioni tragiche e ingarbugliate.
Indubbiamente è una priorità per le chiese e per i pastori fare tutto il possibile per rafforzare e difendere le coppie e le famiglie. Dobbiamo comprendere che si tratta di una battaglia non solo sociale e pastorale, ma spirituale. Satana odia il matrimonio vissuto secondo il modello divino, e fa di tutto per infangarlo e distruggerlo. Soprattutto le unioni dei credenti sono sotto attacco, perché se la “luce del mondo” non risplende più, allora sarà facile ridurre il resto al buio più totale …!
Poi, dobbiamo fare del nostro meglio per preparare i giovani, fin dall’adolescenza, ad affrontare il matrimonio, e per rafforzare e sostenere le coppie già formate. Tanti giovani (e anche meno giovani) nelle nostre chiese – anche, talvolta, quelli cresciuti in famiglie credenti – non hanno affatto le idee chiare su cosa significhi formare una famiglia: la loro mentalità è stata influenzata più da film, romanzi e telenovele che non dalla parola di Dio.
Infine, è un dovere pastorale aiutare e consigliare le coppie in crisi. Nessuna coppia “salta” all’improvviso: c’è sempre un periodo, di solito lungo, di tensioni e conflitti. Molte situazioni possono essere recuperate, se prese e curate in tempo. Indubbiamente questo è un campo in cui vale il vecchio adagio: “Meglio la prevenzione che la cura”.
Intransigenza
Ma, anche dopo aver fatto tutto questo, i pastori e le chiese devono sempre più spesso affrontare fatti già compiuti, del genere di quelli (inventati, ma simili a tanti casi reali) descritti sopra. Come dobbiamo regolarci?
Alcuni “tagliano la testa al toro” adottando una posizione intransigente. “Dio odia il divorzio”, essi citano giustamente dalla Scrittura, e ancora: “Quello che Dio ha unito, l’uomo non lo separi” (Mal. 2:16, Matt. 19:6). E con questo, certamente, nessuno vorrà discutere. Nessun pastore vuole incoraggiare o favorire le separazioni e i divorzi; né ci sono dubbi che il credente che lascia la moglie (o il marito) per un altro/a pecca contro il Signore, oltre che contro la propria famiglia e la chiesa, rendendosi colpevole di adulterio (Matt. 19:9).
Le questioni scottanti sono invece: Come trattare le vittime del divorzio? Il perdono di Dio è abbastanza grande per coprire i peccati passati e consentire un nuovo inizio? Sono questioni con le quali anche la nostra opera ha dovuto affrontare, e su cui in sede della nostra squadra di ministri abbiamo riflettuto e discusso a lungo, prima di giungere alle conclusioni qui esposte.
Il consiglio degli “intransigenti” ai separati e ai divorziati – anche quelli “innocenti” – è che devono rimanere nella condizione in cui si trovano, senza possibilità di risposarsi. Essi citano a questo proposito 1° Corinzi 7:10-11: “Ai coniugi poi ordino, non io ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito (e se si fosse separata, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito); e che il marito non mandi via la moglie”, dimenticando forse che questi versetti sono indirizzati specificamente alle coppie in cui entrambi sono credenti (come è evidente dal versetto successivo: “Ma agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha una moglie non credente …”), e quindi non risolve le questioni che riguardano le coppie in cui un coniuge non è credente, oppure con il suo comportamento ha rinnegato la fede.
Alcuni sostengono perfino che chi si converte a Cristo dopo essere divorziato e risposato, se vuole piacere a Dio debba separarsi dal nuovo coniuge – anche se hanno già dei figli – perché si tratta di una relazione peccaminosa e adulterina.
Chi sostiene questa linea afferma solitamente che l’inviolabilità del matrimonio è un bene così prezioso che va protetta con qualsiasi mezzo, anche se questo vuol dire che alcuni “innocenti” debbano soffrire per difenderla. Dobbiamo però interrogarci se, allo stato attuale delle cose, la nostra piccola minoranza cristiana sia realmente in grado di arginare la situazione: non rischiamo forse di fare come certi generali della Grande Guerra che continuavano a mandare “eroicamente” i loro uomini allo sbaraglio, alla difesa di posizioni già perdute?
Anche la Chiesa Cattolica, com’è noto, adotta una posizione similmente rigida, con la differenza però che la sua intransigenza è maggiore in teoria che nella pratica: si sa infatti che chi può permettersi i servizi di un bravo canonista riesce spesso a farsi riconoscere qualche vizio di forma nel matrimonio per ottenerne l’annullamento, restando così libero di contrarre nuove nozze religiose … (È interessante notare, a questo proposito, che le Chiese Ortodosse orientali, che hanno radici storiche altrettanto antiche, hanno adottato una posizione assai più flessibile in materia).
Senza alcun dubbio, la volontà di Dio è che le coppie – credenti e non – rimangano unite; non solo, ma la salvezza in Cristo include grazia per salvare e rimettere in carreggiata le famiglie distrutte e le coppie dissestate. Esistono bellissime testimonianze di quest’opera di recupero e di guarigione della famiglia.
Tuttavia, non sempre ciò avviene. Ed è lecito allora domandarsi se lo spirito del Vangelo – che, pur senza abolire la legge divina, per mezzo della grazia ci rende liberi rispetto ad essa – debba portare necessariamente a una posizione così rigida.
Due tipi di casi
Il primo genere di caso che tipicamente i pastori devono affrontare riguarda le situazioni createsi prima della conversione. E qui, ci sembra evidente che la grazia di Dio copre i peccati del passato. “Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate …” (2° Cor.5:17). Quello che è stato, è stato, e Gesù ha detto chiaramente: “In verità vi dico: ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita …” (Mc. 3:28). Non riesco a pensare che il divorzio sia l’unico peccato imperdonabile, la “bestemmia contro lo Spirito Santo” che “non ha perdono in eterno”.
Certo, qualcuno obietterà, ma il perdono non significa che sia permesso continuare a peccare: “chi confessa e abbandona le sue colpe otterrà misericordia” (Prov. 28:13). Ma il peccato non consiste forse nell’abbandonare o tradire il primo coniuge? Quando è in nostro potere disfare o risarcire il male commesso, chiaramente è nostro dovere farlo, come Zaccheo: “Io do la metà dei miei beni [disonestamente acquisiti] ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo” (Lc. 19:8). Ma quando non è più in nostro potere farlo? per esempio, chi ha ucciso qualcuno? Anche questi peccati il Signore li perdona ben volentieri (anche l’apostolo Paolo si era macchiato del sangue dei martiri prima della sua conversione). E altrettanto fa per chi è reo di infedeltà coniugale.
Se nella Legge di Mosè Dio stesso ha consentito e regolamentato il divorzio, non può essere un peccato imperdonabile. Certo, Gesù spiega che così fece “per la durezza dei vostri cuori” (Mt. 19:8). Ma se Dio vide la necessità di consentire il divorzio per gli Israeliti “dal cuore duro” – che pure Lo conoscevano – non dovrebbe farlo molto di più per chi non Lo conosce affatto? e anche per chi Lo “onora con le labbra ma ha il cuore lontano da Lui”?
È dunque la nostra convinzione che chi si converte in una situazione familiare ingarbugliata debba riconoscere il male commesso, chiederne sinceramente perdono a Dio e fare il possibile per regolarizzare la situazione. Se il matrimonio è ancora recuperabile, faccia il possibile per recuperarlo; altrimenti, può mettersi l’animo in pace. Se convive, deve legalizzare la situazione. Se ha moglie e figli da un matrimonio precedente, deve assumersi le proprie responsabilità affettive e finanziarie. Se ha un cuore sinceramente pentito e il desiderio di piacere a Dio d’ora in poi, può essere un membro della chiesa in piena regola. La grazia di Dio trionfa sul peccato. Alla donna colta in adulterio, Gesù disse: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Gv. 8:11).
Le vittime del peccato
L’altro tipo di situazione riguarda credenti traditi e abbandonati dai propri coniugi. Va da sé che chi si professa credente in Cristo e poi commette questo tipo di infedeltà, tradisce non solo la moglie o il marito, ma anche il Signore, peccando anche contro il suo Corpo, la chiesa. Anche qui, il primo obiettivo deve essere il recupero. Ma quando ciò non si rivela possibile per l’indurimento del cuore, siamo giunti – dopo lunghi dibattiti – alla convinzione che, una volta consolidata nel tempo la situazione di rottura, la parte innocente è libero di contrarre nuove nozze.
Questa convinzione è confortata da due argomenti biblici:
- Nel Nuovo Testamento, Paolo afferma che “se un fratello ha una moglie non credente, e … se il non credente si separa, si separi pure; in tal caso il fratello o la sorella non sono più obbligati” (1° Cor. 7:12-15 NDiod). È vero che si discute sull’esatto significato dell’espressione “non sono più obbligati” (o “vincolati”, Riv), che la Nuova Riveduta, adottando l’opinione di alcuni esegeti, traduce: “… non sono obbligati a continuare a stare insieme”. Tuttavia la maggior parte degli studiosi, oggi e lungo l’arco della storia del cristianesimo, ritiene che si tratta di una concessione che lascia il coniuge credente (e l’altro, evidentemente, con il suo comportamento ha rinnegato la fede) libero di contrarre un nuovo matrimonio.
I casi che stiamo considerando rientrano anche tra quanto previsto da Gesù quando, trattando il tema in Matteo cap.19, dice: “Chiunque manda via sua moglie, quando non sia per motivo di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (v.9). “Fornicazione” (porneia), nel Nuovo Testamento, è un termine largo che si applica a qualunque tipo di sregolatezza sessuale, e certamente include casi di adulterio.
- Nell’Antico Testamento, la Legge prevedeva per l’adulterio addirittura la morte (Lev. 20:10); è chiaro che in questo caso il marito o la moglie traditi rimaneva libero/a di risposarsi. Non stiamo proponendo di ripristinare la pena di morte per l’infedeltà coniugale, ma è chiaro che Dio la considera morivo sufficiente per porre fine al legame matrimoniale.
I casi spinosi
E poi, ci sono i casi “difficili” … Che dire, per esempio, del credente che lascia la chiesa e la moglie, si mette con la segretaria, divorzia, fa un figlio, e poi un bel giorno si ripresenta dichiarandosi pentito, pronto a riconoscere di avere sbagliato, ma – ormai che i giochi sono fatti – chiede di essere riammesso nella chiesa? Solo Dio conosce fino in fondo i cuori e le motivazioni delle persone. Ci vorrebbero a volte la sapienza di Salomone e il discernimento del profeta Natan per venirne a capo …
Per i casi di quest’ordine, che rischiano di mettere in difficoltà il pastore locale che, magari, si ritrova a gestire una situazione del genere per la prima volta, la Chiesa Evangelica della Riconciliazione ha pensato bene di istituire una “commissione pastorale” incaricata di esaminarli e di fare delle raccomandazioni.
Tale sistema ha diversi vantaggi. Dovrebbe allontanare il rischio che ogni pastore stabilisca una propria linea, creando disorientamento e disagio tra i credenti per le eventuali divergenze di linea. Protegge i pastori locali dalle pressioni emotive del dover eventualmente adottare una decisione “spiacevole” nei confronti di fratelli ai quali può essere legato da anni di amicizia e di affetto. E li protegge anche dal dover decidere da soli casi talvolta molto difficili. “Nel gran numero di consiglieri sta la salvezza” (Prov. 11:11).
E anche così, bisogna chiedere a Dio sapienza e discernimento, perché talvolta le situazioni sono davvero complicate …