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di Charles W. Keysor
Come il ritornello di una canzone, l’eternità è un tema fondamentale per tutta l’umanità.
La morte attende ciascuno di noi. E poi? Cesseremo semplicemente di esistere, come delle macchie lavate via da un panno sporco? O ci aspetta “là fuori” un’altra vita, dopo che saremo passati attraverso l’esperienza della morte? E in questo caso, come sarà? Ci sarà fuoco e zolfo …? arpe e aureole …? saremo riuniti con i nostri cari …? ci sarà lavoro da fare …? oppure un pensionamento infinito in cui godere per sempre ciò che ci dava più piacere in questa vita?
Molta gente si sente a disagio davanti a simili domande. Le considera come un rimasuglio della religiosità del secolo scorso, lontano dal mondo di oggi. Essi sottolineano che il vero cristianesimo si concentra sui ciò che facciamo in questa vita, sull’ubbidienza a Cristo e al Vangelo ora. Il paradiso può attendere! Altri pensano che riflettere seriamente sulla vita futura sia come porsi domande futili, come “Quanti angeli possano ballare su un microprocessore?” Altri ancora, incerti su che cosa ci sia dopo la morte – se qualcosa c’è – preferiscono evitare un argomento così scomodo e riempire invece la mente di cose più tangibili, che si possono verificare empiricamente nell’esperienza umana qui ed ora.
Ma l’eternità non si può né evitare né sfuggire. La Bibbia rende chiaro che l’eternità ci ha già raggiunti, che mentre viviamo la nostra vita presente, già attraversiamo l’anticamera dell’eternità che porterà ciascun essere umano in una sorte eterno, o vicino a Dio o lontano da Lui.
La questione, dunque, non è se l’eternità, ma piuttosto quale genere di eternità sarà la destinazione finale di ciascuno di noi.
Ci si aspetterebbe …
La vita futura è, in ultima analisi, una questione religiosa. Ci si aspetterebbe, dunque, che il paradiso e l’inferno fossero temi fondamentali della vita, del ministero e della missione della chiesa. Ci si aspetterebbe che pastori e ministri, anzi, che ogni autentico cristiano, avesse un senso acuto dell’eternità. Sarebbe logico pensare che il luogo migliore dove imparare sull’eternità sarebbe nella chiesa, e specialmente nei suoi culti, nei suoi inni, nei brani letti dalla Scrittura, nella sua liturgia, nei suoi sermoni, nei suoi insegnamenti a ogni livello. E dovrebbe essere dato per scontato che la consapevolezza dell’eternità sia in primo piano nel ministero della chiesa nei confronti di persone di ogni età e condizione.
In passato, queste aspettative sarebbero state ampiamente soddisfatte. Ma non più! Il senso prevalente dell’eternità nella chiesa è rimasto vittima dell’aggiornamento, dei tentativi cioè di rimodernare la chiesa, tanto nel mondo protestante quanto in quello cattolico. Una forte enfasi sulle priorità di questo mondo (“che il mondo stabilisca l’ordine del giorno per la chiesa”) ha in gran misura lasciato all’ombra le riflessioni sul mondo futuro.
Paradiso e inferno sono dunque praticamente scomparsi dal centro dell’attenzione della chiesa. Troviamo invece dei manager di chiesa che dànno importanza a strutture ecclesiastiche, a programmi, a bilanci. Troviamo attivisti sociali e politici nei centri del potere nelle chiese, che vogliono usarle per cambiare il mondo e creare un paradiso terrestre attraverso il potere politico. Troviamo dei conservatori evangelici presi da dottrine esoteriche che annunciano la salute, la prosperità e la felicità terrena come benefici centrali del vangelo. Troviamo carismatici e pentecostali impegnati in una ricerca frenetica di esperienze religiose immediate e di gratificazioni spirituali istantanee.
Ma … che fine ha fatto l’eternità?
Addio eternità
Sia il paradiso che l’inferno sono stati privati della loro dimensione eterna e trasformati in possibilità terrene, raggiungibili in questa vita attraverso sforzi umani. L’inferno? È il dolore e il trauma di cui tutti noi facciamo esperienza nella nostra vita quotidiana. Il paradiso? È stato ridefinito come uno stato di perfezione raggiungibile per mezzo di manipolazioni ecclesiastiche; una trasformazione politica dell’ordine sociale; la conquista della felicità, della prosperità, della salute e di esperienze religiose consolanti.
Lo scrittore James Hitchcock commenta nel suo libro Catholicism and Modernity: “Una strategia caratteristica dei modernizzatori religiosi è stata quella di affermare che certe dottrine tradizionali sono state sottolineate a spese di altre: accusa spesse volte fondata. Nel processo di `correggere’ l’enfasi sbagliata, però, la dottrina del passato è stata spesso eliminata completamente per il semplice accorgimento di non parlarne più. Nel cattolicesimo contemporaneo, forse nessun’altra dottrina ha sofferto questa sorte in maniera più completa che la credenza nella vita futura. Pochi, è vero, l’hanno negata o vorrebbero farlo. Molti però hanno semplicemente cominciato ad agire e a parlare come se non fosse vera; ai fini pratici, ha cessato di avere importanza”.
Questo abbandono effettivo dell’eternità pone la chiesa in una strana situazione. La gente viene in chiesa cercando delle risposte alle domande più profonde sulla vita e sulla morte. Ma finisce per ascoltare dei sermoni sull’importanza di boicottare certe marche di cioccolatini o di arance e sente dei discorsi sull’ingiustizia dell’ordine economico mondiale.
Certo, questi sono argomenti importanti. Ma che cosa hanno da dire a un uomo la cui moglie sta morendo di cancro? o a una vedova i cui anni si stanno esaurendo, mentre è terrorizzata al pensiero della morte?
Si è creato una grande spaccatura nella chiesa. Da una parte c’è la gente comune con le proprie profonde preoccupazioni, fra le quali l’eternità. Dall’altra, molti leaders cristiani che inseguono i propri obiettivi secolarizzati, riducendo il cristianesimo a qualcosa che riguarda puramente la dimensione di questa vita terrena. Cercando di indirizzarsi ai problemi reali della gente, sono finiti per trascurarli.
Ritrovare il sapore
Il problema è evidente. Ma c’è una soluzione? Forse sì. Gesù avverte i cristiani: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Matteo 5:13). Una chiesa che ha perso di vista l’eternità non può realizzare lo scopo per cui Dio l’ha creata: quello di custodire e comunicare fedelmente il Vangelo, che inizia e finisce nell’eternità.
La chiesa secolarizzata è un sale insipido. Per questo motivo viene rigettata dalla gente e vive una crisi sempre più acuta. Il recupero dell’eternità è forse l’ingrediente più importante per un autentico rinnovamento della chiesa. Ma non sarà facile rimettere l’eternità in una chiesa secolarizzata … non più facile che ridare sapore al sale diventato insipido!
L’esempio di Wesley
Una misura di quanto deve essere recuperato è dato da un confronto tra l’enfasi della chiesa moderna e quella di Giovanni Wesley, architetto del risveglio metodista diffusosi dall’Inghilterra in tutto il mondo a partire dal secolo XVIII. Il fondatore del metodismo usava spesso definirsi “un tizzone strappato dal fuoco”, frase con la quale voleva riconoscere di essere stato salvato per la grazia di Dio dal tormento eterno nelle fiamme dell’inferno, la punizione che meritava in quanto peccatore. I primi metodisti si incontravano per pregare e studiare la Bibbia per poter “fuggire dall’ira futura”.
In una lettera indirizzata a John Smith in data 25 giugno 1746, Wesley scrive: “Voglio tenere sempre davanti agli occhi sia il paradiso che l’inferno, mentre sto su questo lembo di terra tra quei due oceani infiniti; e credo profondamente che conviene a tutte le persone ragionevoli e religiose riflettere quotidianamente su entrambi”.
Questo senso costante dell’eternità era uno dei motivi fondamentali del successo fenomenale di Wesley come evangelista, organizzatore di chiese, polemista cristiano e pastore itinerante di migliaia di persone. Una simile evidente “potenza della pietà” deriva da un’unione vitale con Gesù Cristo per mezzo della fede, che produce “una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile … conservata in cielo per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi” (1° Pietro 1:3-5).
Da questa fonte eterna zampilla la potenza divina necessaria per portare un frutto duraturo per il regno di Dio. C’è anche un aspetto negativo che l’accompagna: una santa preoccupazione per il benessere eterno di quanti non sono “in Cristo”. Tale preoccupazione aumenta quando prendiamo sul serio gli avvertimenti solenni di Gesù: “Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna”, e ancora: “Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano” (Matteo 10:28, 7:13-14).
La comprensione di questi brani, e di tanti altre promesse e avvertimenti sul paradiso e sull’inferno, crea un senso di urgenza nel servizio cristiano. Tale zelo invece evapora quando perdiamo fiducia nell’autorità delle Scritture. Non a caso l’ascesa della critica biblica secolarizzata nei seminari teologici è seguita da una grande perdita nelle chiese della consapevolezza dell’eternità.
Leaders convertiti
Fino a quando i leaders di tutte le chiese non recupereranno il dominante senso biblico dell’eternità, non accadrà nelle loro chiese molto che incida sull’eternità.
I primi capitoli del vangelo di Giovanni esprimono chiaramente la relazione tra la coscienza della vita eterna e la nuova nascita. La mancanza di tale coscienza ci riporta alla stessa posizione di Nicodemo, un leader tra i Farisei venuto a Gesù di notte. Le parole che il Signore gli rivolge si applicano anche a molti leaders religiosi odierni: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio” (Giovanni 3:3).
La priorità assoluta, in una chiesa che vuole seriamente risvegliare la coscienza biblica dell’eternità, è la rinascita spirituale dei suoi leaders, la loro conversione. Gesù avverte: “Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Luca 6:39).
Oltre le distrazioni
Che cosa accadrebbe se il paradiso e l’inferno fossero posti al centro dell’attenzione nel ministero di tutte le chiese?
Nel ministero agli anziani, si aggiungerebbe un altro elemento alle gite, ai giochi di società, alla socializzazione, eccetera. In mezzo a queste attività, che sono da disprezzare, la chiesa toccherebbe spesso il tasto dell’eternità. Si parlerebbe e si canterebbe del paradiso. L’inferno verrebbe tirato fuori dall’armadio degli scheletri e se ne parlerebbe come una delle sole due possibilità eterne. Se l’eternità è una realtà per coloro che gestiscono i ministeri alle persone più anziane, la loro fede darà delle risposte ai dubbi e alle domande mentre godono insieme delle attività sociali.
Che cosa potrebbe essere più irreale che un ministero agli anziani che ignora il fatto della morte e ciò che accade dopo? Eppure sembra che molte chiese pensano solo a far distrarre questo settore della popolazione.
Guardare in faccia alla morte
Nel ministero negli ospedali, un senso continuo dell’eternità è necessario come lo è l’acqua a un pesce! È la malattia che porta la gente in ospedale, e la malattia fa presto a mettere le persone a confronto con la propria debolezza e mortalità. Quando vi ritrovate inchiodati su un letto d’ospedale in attesa dei risultati delle analisi che potranno rappresentare la vostra condanna a morte, l’eternità si impone alla vostra attenzione. Anche tutta la famiglia riunita attorno al malato deve guardare in faccia la stessa realtà.
Come ministrare in simili circostanze? Di solito si cerca di ascoltare con comprensione e di mostrare solidarietà con le persone nel momento del loro bisogno; si portano dei fiori, ci si offre di accompagnarle con la propria auto, eccetera. E certamente la solidarietà e l’aiuto pratico devono far parte di un valido ministero biblico ai malati. Ma occorre una cosa ancora: aiutare le persone a far fronte alla propria situazione di fronte all’eternità. Anche se la scienza medica riesce a ridare la salute a una persona, a che serve se rimane lontano da Gesù Cristo? La guarigione può solo rimandare il momento di verità eterna: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27).
Se tralasciamo o minimizziamo i riferimenti all’eternità nel nostro ministero ai malati, sicuramente la condanna di Gesù nei confronti dei Farisei diventa la sentenza più adatta ai nostri sforzi: “Queste sono le cose che bisognava fare [cioè pensare all’eternità], senza tralasciare le altre” [le opere di misericordia] (Matteo 23:23).
Da giovane pastore, mi sono ritrovato a ministrare a una famiglia in cui il nonno era malato di cancro. I medici avevano detto ai parenti: “Ci dispiace, ma la sua malattia è terminale”. Medici e familiari si erano messi d’accordo per nascondere la verità al vecchio. Quando mi chiamarono, nel mio ruolo di pastore, mi dissero che in nessuna circostanza avrei dovuto dire al condannato a morte che la sua vita terrena stava giungendo al termine.
Come fare? Lottai con me stesso, angosciato, ma alla fine acconsentii all’inganno. In questa maniera evitai il disagio che avrei provocato sollevando la questione dell’eternità. Ma, guardando indietro, comprendo ora di aver commesso un grosso errore. Avrei dovuto capire che il destino eterno di quell’uomo era più importante che non accontentare una famiglia della chiesa. Dovevo parlargli in maniera diretta del paradiso e dell’inferno. Dovevo invitarlo a entrare nella vita eterna con Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo. Ma non l’ho fatto. Ho tradito quell’uomo e, peggio, ho tradito il mio Signore. Gesù era morto perché quell’uomo fosse liberato dal morso della morte eterna.
Nell’epistola agli Ebrei è scritto: “Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli [Gesù] vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita” (Ebrei 2:14-15). Questo è un ottimo obiettivo per il nostro ministero ai malati! La promessa del paradiso, disponibile soltanto attraverso la fede in Gesù Cristo, libera davvero gli uomini dal timore paralizzante della morte.
La missione della Chiesa
Nell’evangelizzazione e nella missione, la promessa di un paradiso da raggiungere e un inferno da evitare è sempre stata la motivazione più importante. Come dice la Scrittura: “… aspettando la misericordia del nostro Signore Gesù Cristo, a vita eterna, abbiate pietà di quelli che sono nel dubbio; salvateli, strappandoli dal fuoco …” (Giuda vv.21-23).
Ma che succede se – come oggi pretendono i modernisti – non c’è né un paradiso da conseguire né un inferno da cui scampare? In questo caso, perché evangelizzare? perché mandare missionari? Ci sono molte ragioni complesse per spiegare il grande declino nel numero dei missionari inviati nel mondo da molte chiese tradizionalmente “missionarie”. Ma una delle ragioni principali è che la gente ha smesso di pensare molto al paradiso e all’inferno. Ciò comporta un grosso cambiamento nelle motivazioni, sia per l’evangelizzazione, sia per gli sforzi missionari.
Al posto del paradiso e l’inferno, fra le motivazioni oggi portate avanti sono queste, alcune delle quali buone, altre meno buone:
- aiutare le persone a godere ora della vita esuberante promessa da Gesù;
- aumentare il numero dei membri di chiesa;
- dar da mangiare agli affamati;
- promuovere una rivoluzione politica, secondo la dottrina marxista di una lotta di classe inevitabile;
- dare un’istruzione agli analfabeti.
In molte chiese sono questi obiettivi, piuttosto che quello di salvare le persone dalla punizione eterna e dare loro la vita eterna, che sono diventati la motivazione principale delle missioni e dell’evangelizzazione. Ciò ha minato il senso dell’urgenza del compito.
Un grande contributo a questo sviluppo è stato dato dalla diffusione dell’universalismo, la dottrina secondo la quale nessuno sarà eternamente perduto: tutti saranno comunque salvati, che credano in Cristo o meno. Questa sembra essere la linea prevalente nell’ambito del Consiglio Ecumenico delle Chiese e in molte denominazioni tradizionali.
Respirare l’eternità
Nella predicazione e nell’insegnamento, non si tratta solo di includere ogni tanto qualche riferimento al paradiso e all’inferno. Piuttosto la questione è se i predicatori e i dottori pensano in maniera biblica. Se lo fanno, allora l’eternità verrà fuori a ripetizione, in un modo naturale come respirare.
Qui, allora, arriviamo al dunque. Come rimettere l’eternità nel cuore e nella mente della chiesa moderna? Dobbiamo imparare a vedere la nostra esistenza e tutta la realtà come le vedevano Gesù e gli apostoli. La loro mentalità – il loro modo di vedere la vita, la loro comprensione di Dio come Alfa e Omega – deve diventare la nostra. Nella misura in cui questo avverrà, la chiesa recupererà la sua potenza e vitalità soprannaturale. Attributi, questi, che Dio dà a gente che, per dirla con Giovanni Wesley, si rende conto di stare “su un lembo di terra tra due oceani infiniti”: in un mondo temporale, ma con lo sguardo fisso sull’eternità.
© 1985 Pastoral Renewal, Ann Arbor, MI, USA.
Charles W. Keysor è pastore della Countryside Evangelical Covenant Church di Clearwater, Florida, USA, e autore di diversi libri.