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di Giuseppe Tosini
Qualche mese fa, sono venuto in Italia per visitare alcune chiese. Durante una gita all’isola di Capri, mi sono trovato a parlare con una copia di turisti americani. Il marito mi domandò cosa facessi in Italia, e gli spiegai che, essendo pastore, ero venuto a svolgere il mio ministero in alcune comunità evangeliche. Mi dissero che erano di New York, e poiché sono anch’io originario di quella città, trovammo degli argomenti in comune di cui parlare per un po’. Poi spostai la conversazione verso un altro tema.
“Siete per caso cattolici?” chiesi loro. Dato che erano di New York e stavano visitando l’Italia, calcolai che c’erano buone probabilità che lo fossero. “Certo, questo è un bel posto per i cattolici da visitare!” “No, siamo Ebrei”, rispose l’uomo.
Senza neppure riflettere su cosa stessi dicendo, risposi al volo: “Davvero? Anch’io!”
Per un momento mi guardarono sbalorditi. Evidentemente pensavano che stessi scherzando, o, chissà, che forse mia madre era stata ebrea. Poi, con un sorriso, il marito avanzò la sua domanda, aspettando che rivelassi il mio piccolo segreto: “Ah, sei Ebreo anche tu?” “Sì!” risposi deciso.
A questo punto si accorsero che parlavo sul serio. Sembrava proprio l’occasione buona per indurli a riflettere su cosa intende la Bibbia quando parla di “Ebrei”, “Israele”, “Sion”, “Gerusalemme” e “il popolo di Dio”.
Giudeo e Gentile
Si tratta di una questione molto importante per tutti noi oggi. Lo era anche ai tempi dei primi apostoli, e proprio loro ci hanno lasciato nelle Scritture la risposta alla domanda. L’apostolo Paolo scrisse che Israele è formato da coloro che sono secondo la promessa, non da coloro che sono secondo la carne. Al centro dell’eterno disegno di Dio è la Chiesa, e non una nazione naturale (Efesini 3:20-21).
In Romani capitolo 9, l’apostolo elenca tutti i vantaggi che hanno gli Israeliti naturali, ma descrive anche la tristezza che sente perché essi rifiutano di entrare nel vero Israele di Dio: “Io dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza me lo attesta per mezzo dello Spirito Santo: Ho una grande tristezza e un continuo dolore nel mio cuore: perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il culto e le promesse; ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!” (Rom. 9:1-5).
L’apostolo sottolinea poi che, per far parte di Israele, non basta il possesso dei patti, della legge e delle promesse, né il fatto di essere il popolo dal quale è nato il Cristo:
“Infatti non tutti i discendenti di Israele sono Israele: né per il fatto di essere stirpe d’Abrahamo, sono tutti figli d’Abrahamo …” (Rom. 9:6-7a).
Come se non fosse già abbastanza chiaro, egli prosegue ribadendo lo stesso concetto in termini ancora più semplici: “Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio” (Rom. 9:8a).
Figli della promessa
Ormai è molto chiaro che gli Ebrei nati secondo la carne non fanno automaticamente parte d’Israele. Qual è allora il vero Israele? L’apostolo dà la risposta nel medesimo brano: “È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza … i figli della promessa sono considerati come discendenza” (Rom. 9:7b,8b).
L’apostolo Paolo, scrivendo ai Romani – cioè a persone che erano nate Gentili secondo la carne – qui dice una cosa molto importante. A prima vista, leggendo la storia d’
Israele, potremmo pensare che Dio abbia provato a realizzare qualcosa con quel popolo, e che, quando esso è venuto meno alle aspettative, Egli ha rimescolato le carte ed ha escogitato un piano alternativo. Ma le cose non stanno così. “Non è che la parola di Dio sia caduta a terra”, dice Paolo (Rom. 9:6). Il fatto è questo: Non tutti i discendenti di Israele sono Israele.
Paolo vuole che i Romani capiscano di non dover considerare “Israele” come l’insieme degli Ebrei nati secondo la carne. Non si deve dire: “Quelle promesse hanno a che fare con Abramo e con la sua discendenza naturale, la nazione ebraica. Io non c’entro con il piano di Dio per loro”. Anzi, l’apostolo vuole che si sappia con la massima chiarezza chi è Israele, chi era e sarà per sempre.
Ora, che tu sia un teologo o un bambino, credo che hai bisogno di capire questo. E non basta averlo nella testa, è necessario che scenda nel tuo cuore, che riempia tutte le tue ossa, che si sprigioni da te dovunque vai. Allora potrai tornare a leggere l’Antico Testamento con nuovo vigore, certezza, fede e comprensione; potrai leggere le promesse fatte da Dio ad Israele e capire che è la Chiesa che è destinata a riceverle.
Questa verità era difficile da afferrare già per i credenti del primo secolo d.C., perciò non è sorprendente se noi ci troviamo ancora a lottare con essa. La mentalità naturale vuole credere che la nostra posizione davanti a Dio sia determinata da atti esteriori o dalle caratteristiche della carne. Ma non è mai stato così e non lo sarà mai.
Spirituale
Un simile frainteso non è solo da parte degli Ebrei. Io provengo da una famiglia cattolica. La prima volta che mi chiesero a bruciapelo se fossi cristiano, la mia risposta immediata fu: “Sono cattolico”. Secondo la mia mentalità, il mio rapporto con Dio veniva determinato in qualche modo dalla nascita naturale, e non dalla rinascita spirituale.
Gesù rese abbondantemente chiaro il fatto che bisogna nascere di nuovo nel suo colloquio con Nicodemo, un capo degli Ebrei, riferito in Giovanni capitolo 3: “Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito è spirito” (Giovi. 3:6). Quando Nicodemo sembrò perplesso, Gesù gli domandò perché trovasse strana quest’affermazione. Egli era un maestro in Israele, e non capiva nemmeno le cose più elementari!
Anche con i Farisei Gesù dovette affrontare lo stesso frainteso. Essi pretendevano di essere figli di Abramo, e quindi eredi delle promesse fatte alla discendenza di Abramo. Senza tanti giri di parole, Gesù disse loro che sbagliavano di grosso: “Voi siete figli del diavolo … Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio” (Giov. 8:44a,47).
Anche fra i cristiani vediamo gli stessi atteggiamenti. Diciamo tra noi: “Il mio papà è un pastore, perciò ho una posizione privilegiata davanti a Dio”. Ma nessuna carne può vantarsi alla Sua presenza.
La buona notizia, invece, è che coloro che nel passato hanno badato alla carne anziché allo spirito non hanno necessità di continuare secondo la carne.
È questo che cercavo di spiegare ai miei nuovi amici Ebrei in Italia. Dopo essersi ripresi dallo shock di quel pastore cristiano che pretendeva di essere Ebreo, l’uomo decise di pormi alcune domande per capire quanto sapessi d’Israele. Egli mi disse: “Tu sai di quel dito che scriveva sulla parete? Che cosa scrisse?” E gli dissi le parole. Poi mi fece tre o quattro altre domande e si convinse che, per lo meno, avevo qualche familiarità con l’Antico Testamento.
Miracolo
Allora anch’io volli fargli alcune domande per capire chi di noi fosse il vero Ebreo. “Chi fu la madre di Isacco?” gli chiesi. “Sara”, rispose. “Va bene, e quanti anni aveva Sara quando nacque Isacco?” “Be’, era vecchia, non poteva certo fare figli”. “Esatto, aveva novant’anni”, risposi, e proseguii: “Isacco, dunque, era un miracolo?” Ed egli ammise subito: “Sì, lo era”.
“Anch’io”, gli dissi, “… e non c’è Ebreo sulla faccia della terra che non lo sia. Tu sei un miracolo?”
Potevo leggere nei suoi occhi che il discorso gli filava. Il punto è che Abramo, Isacco e Giacobbe, i patriarchi d’Israele, non si meritarono la loro posizione centrale nell’eterno disegno di Dio con le loro caratteristiche naturali. La loro vita fu soprannaturale: ci si vede la mano di Dio all’opera. Anche la mia vita dimostra la mano di Dio all’opera.
Recentemente sentii predicare un uomo che interpretava la Bibbia secondo le cose naturali. Mi trovavo in disaccordo con la maggior parte di ciò che diceva, salvo quando pregò. Nella sua preghiera egli fece riferimento ripetutamente ad: Abramo, Isacco e Giacobbe, Abramo, Isacco e Giacobbe … Consideriamo dunque in che modo questi tre sono giunti ad essere i fondatori d’Israele.
Abramo. Quando Dio chiamò Abramo la prima volta, egli non era Ebreo. Era piuttosto un pagano, e faceva parte di una nazione pagana. Dio gli parlò dicendogli di lasciare la sua parentela e partire per un altro paese. Dopo che ebbe ubbidito in fede, Dio gli parlò ancora e gli promise che la sua progenie sarebbe diventata numerosa come la sabbia della spiaggia o le stelle del cielo. Abramo non fu scelto per le sue caratteristiche naturali: egli divenne Ebreo in maniera soprannaturale quando Dio lo chiamò.
Isacco. Dio aveva promesso ad Abramo un figlio, anche se, secondo le leggi naturali, Sara era certamente troppo vecchia per diventare madre. Quando erano passati diversi anni, senza che nascesse questo figlio, essi fecero ricorso a mezzi naturali nel tentativo di ottenere il compimento della promessa; così nacque Ismaele. Ismaele rappresentava forse la promessa? No, ma considerate questo: Abramo amò Ismaele e supplicò Dio di far vivere Ismaele al Suo cospetto. Ma Dio accettò forse tale richiesta di Abramo? No, Egli rifiutò. Il Suo piano era che Isacco, colui che era stato promesso, vivesse davanti a Sé.
Nel brano di Romani che abbiamo esaminato, Paolo fa riferimento alla promessa di Dio ad Abramo: “È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza” (Rom. 9:7b), e ancora: “Infatti, questa è la parola della promessa: «In questo tempo io verrò, e Sara avrà un figlio»” (Rom. 9:9). Il piano di Dio fu Isacco, il figlio del miracolo, colui che secondo il, naturale non era possibile. Ismaele, il figlio nato dalla carne, non fu la chiave del disegno di Dio.
Giacobbe. Paolo estende il discorso pure al terzo dei patriarchi, Giacobbe. Anche il suo ruolo nella nazione ebraica fu determinato, non dalle sue caratteristiche naturali, ma dalla promessa di Dio. L’apostolo scrive: “Ma c’è di più. Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand’ebbe concepito figli da un solo uomo, vale a dire Isacco nostro padre; poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento dell’elezione di Dio, che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama) le fu detto: «Il maggiore sarà sottomesso al minore»” (Rom. 9:10-12).
Odiato
Qui Dio va contro la legge naturale. Di solito la precedenza tra i fratelli di una stessa famiglia appartiene al primogenito. Ma prima che nascessero questi bambini, Dio decise che il maggiore sarebbe stato sottoposto al minore. Essi non avevano fatto niente di bene; non avevano fatto niente di male. Non avevano fatto proprio niente: stavano appena per nascere. Ma Dio operò una scelta.
Ora, questo non sembra ancora troppo brutto. Ma sentite l’affermazione che segue:
“… come è scritto: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù»” (Rom. 9:13). Questo è un versetto difficile da accettare; sono parole dure. Ci piacerebbe dire: “Be’, Dio non vuole dire proprio così. Sono certo che c’è un problema nella traduzione. Qui qualcosa non va”. Alcuni cercano di spiegare l’affermazione dicendo: “Esaù fu un tipo veramente spregevole. Egli vendette la sua primogenitura per un piatto di lenticchie, ecco perché Dio lo odiò”. Ciò che mi preoccupa è che, se Dio odiò Esaù per quello che fece, cosa dovrebbe pensare di me e di te?
Questa spiegazione non va bene, perché suggerisce che noi guadagniamo l’amore di Dio. La Bibbia rende molto chiaro il fatto che Dio ci ha amati anche quando eravamo morti nelle nostre trasgressioni. Per capire ciò che la Scrittura sta dicendo, dobbiamo comprendere che Dio non odiava il bambino Esaù. Quello sarebbe stato piuttosto crudele. Infatti, nel capitolo seguente Paolo proclama che “chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Rom. 10:13). Ciò significa forse “chiunque, ad eccezione di Esaù?” Non è questo che dice il testo, vero? “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, ad eccezione di Esaù …”? No, perché Dio non cambia.
Allora, perché Dio odia Esaù? Perché egli rappresenta le opere; rappresenta la carne; rappresenta il naturale… esattamente come io e voi, prima di convertirci, rappresentavamo la carne e il naturale. La Bibbia dice che nessuna carne deve vantarsi alla Sua presenza, che carne e sangue non erediteranno il regno di Dio, e chi i giusti vivranno per fede, non per opere. Dio vuole farci entrare in testa che Israele è spirituale, non naturale; che Israele è un miracolo che Egli compie. E’ per grazia, e non per legge. È sempre stata per grazia, anche nel caso di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Grazia e fede
Ora possiamo tornare alla domanda con la quale siamo partiti: Chi sono gli Israeliti? Dio vuole che vediamo con gli occhi dello spirito. Israele è composto di persone che hanno bevuto alla fontana della grazia, che camminano per fede, che ripongono la loro fiducia nello spirito e non nella carne. La mente naturale considera la carne, spera nella “progenie” che non è progenie perché porti a compimento le promesse date da Dio.
Quando comprendiamo ciò che Dio sta realmente dicendo, allora possiamo accettare con tutto il nostro cuore che Dio ha sempre odiato Esaù e lo odierà sempre. Dio odierà sempre ciò che consiste in opere, ciò che è secondo la carne. E Dio amerà sempre Giacobbe, ciò che viene per mezzo della promessa, della fede e della grazia. Israele è il popolo della grazia e della fede, e noi,, i credenti nel Signore Gesù Cristo, siamo il vero Israele.
Ora, se, noi, la Chiesa, siamo Israele, la Bibbia è piena di promesse che dovrebbero suscitare nel nostro spirito un grande senso di attesa. Quando i credenti lasciano penetrare queste promesse nella loro mente e nel loro cuore, esse possono adempiersi. Ma fino a quando la Chiesa, cioè Giacobbe, si aspetta che sia Esaù a portare a compimento le promesse, non si verificheranno mai, perché Dio ha scelto Giacobbe.
Promesse
Consideriamo alcune di queste istruzioni e promesse che i profeti indirizzarono ad Israele, ed ascoltiamo ciò che Dio sta dicendo alla Chiesa.
“Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria dell’Eterno si è levata su te! Poiché, ecco, le tenebre coprono terra, e una fitta oscurità avvolge i popoli: ma su te si leva l’Eterno, e la sua gloria appare su te. Le nazioni cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore del tuo levare”.
“Alza gli occhi tuoi, e guardati intorno: tutti s’adunano, e vengono a te; i tuoi figli giungono da lontano, arrivano le tue figliole, portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, il tuo cuore palpiterà forte e s’allargherà, poiché l’abbondanza del mare si volgerà verso te, la ricchezza delle nazioni verrà a te … ed io farò risplendere la gloria della mia casa gloriosa” (Isaia 60:1-5,7b).
Su chi splenderà il Signore? Su chi sarà vista la Sua gloria? Alla luce di chi verranno le nazioni? Chi riceverà le loro ricchezze? Qual è la casa della Sua gloria? Il profeta parla forse dei discendenti naturali di Abramo, la nazione naturale di Israele?
Pietro scrisse che i profeti ministravano per noi, per la Chiesa (1 Pt. 1:12). Queste promesse sono per la progenie di Abramo: per Isacco e Giacobbe, non per Ismaele ed Esaù. Purtroppo, buona parte del mondo evangelico ha l’idea che sarà l’Israele naturale a ricevere il compimento di queste promesse; e per questa ragione, non crede nel loro adempimento nella Chiesa.
Una volta ho sentito predicare un uomo che diceva che ogni credente dovrebbe prelevare la decima della sua decima e mandarla alla nazione d’Israele; ed i credenti rispondevano “Amen!” Mi chiedevo, mentre ascoltavo, come la gente nel Medio Oriente, gli Ebrei dell’Israele naturale, potrà mai capire chi è il vero Israele, se i credenti continueranno a ripetere tali nozioni? Essi presentano delle dottrine insensate, completamente prive di fondamento biblico, e buttano dalla finestra tutto ciò che insegnava l’apostolo Paolo.
Destino glorioso
Le origini etniche non hanno niente a che fare col popolo di Dio. Io non sono solo un Americano; non ho soltanto un’eredità italiana. Sono un vero Israelita, e le mie radici sono in Abramo. Faccio parte di una nazione nata da Dio, che è stata data a questo mondo perduto e moribondo perché risplenda in esso. Non m’aspetto che sia qualcun altro a risplendere, qualche Esaù o Ismaele. Non m’importa degli avvenimenti che leggo sui giornali. I miei occhi sono fissi nella nazione alla quale la Scrittura ha chiaramente promesso che risplenderà, la nazione che Dio ha deciso abbia un’eccellenza eterna: “Invece di essere abbandonata, odiata, sì che anima viva più non passava per te, io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le età” (Is. 60:15). E’ questo l’atteggiamento fisso e predeterminato di Dio nei confronti di Israele sin da prima della fondazione del mondo.
Noi facciamo parte di quella nazione. Se tu lo credi, l’intera tua vita sarà trasformata. Una tale consapevolezza cambierà il tuo modo di pensare, di agire, di spendere il tuo denaro. Ti farà prosperare in Dio, perché il cuore di Dio palpita nell’attesa di vedere questa nazione sorgere e diventare la gloria di tutta la terra.
Noi stiamo correndo una staffetta. Con una grande nuvola di testimoni che ci circonda sugli spalti, ci stiamo avvicinando all’ultima tappa. La generazione precedente ha passato a noi il testimone..
Un buon allenatore organizza la sua staffetta in modo che gli atleti più forti corrano per primo e per ultimo. Il libro degli Atti ci dice che i primi corridori sono partiti dai blocchi abbastanza bene. Ora noi dobbiamo correre forte, afferrare il testimone e impegnare nella gara tutte le nostre forze.
Posso immaginare Mosè, Elia, Eliseo e tutti i santi del passato che stanno in piedi e gridano: “È vicino. Ecco il traguardo. Ci siamo!” Essi guardano Gesù che lascia il Suo posto e si dirige verso la meta per accogliere il vincitore: una Chiesa gloriosa, senza macchia e senza ruga.