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di Geoffrey Allen
“Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi” (Matteo 5:11-12)
Può essere sfuggita a molti di noi una delle implicazioni di queste parole di Gesù: che tutti noi cristiani siamo eredi dei profeti antichi, chiamati ad essere anche noi “profeti” nella nostra generazione.
D’altronde, non è forse questa l’implicazione della famosa profezia “pentecostale” di Gioele? “Dopo questo, avverrà che io spargerò il mio spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno …” (2:28). La Chiesa, popolo del Nuovo Patto, è chiamata ad essere un popolo tutto quanto profetico!
Un bel privilegio, questo, di cui dobbiamo rallegrarci! Ma non dimentichiamo l’altro lato della medaglia: che i profeti vengono perseguitati. Mosè, per esempio, dovette subire l’ira del Faraone, seguita da quarant’anni di critiche, di ribellioni e di amarezze nel deserto. Elia fu costretto a fuggire nel deserto per salvarsi la pelle. Geremia fu incarcerato e minacciato di morte. Daniele fu gettato in una fossa di leoni. A Giovanni Battista fu tagliata la testa. E così è stato anche per tutta la storia del cristianesimo. Chi risplende con la luce di Cristo e rende testimonianza alla giustizia di Dio finisce solitamente per essere rigettato, odiato e maltrattato.
La luce suscita l’ira delle tenebre. “Il mondo non può odiare voi – disse Gesù ai propri fratelli increduli – ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie”. “Chiunque fa cose malvagie, odia la luce”. “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, il mondo vi odia … Il servo non è più grande del suo signore. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 7:7, 3:20, 15:18-20).
È facile dire “sì” alla chiamata di Cristo nell’atmosfera calda e entusiasta di una riunione della chiesa. Ma quando i nostri amici e parenti ci danno del “fanatico” e del “settario”? quando la gente ci sputa addosso, come ha fatto a Gesù? quando ci tagliano le gomme della macchina? quando ci picchiano e ci cacciano in prigione? Saremo pronti, allora, a fare come gli apostoli che “si rallegrarono di essere stati ritenuti degni di essere oltraggiati per il nome di Gesù” (Atti 5:41)? O scenderemo a compromessi e ci metteremo a tacere?
Queste non sono cose che appartengono alla storia antica. In Cina, oggi, centinaia dei nostri fratelli sono in carcere per la loro testimonianza di fede in Cristo perché non vogliono tacere. Nell’Iran, quest’anno, tre pastori sono stati uccisi per la loro testimonianza coraggiosa. Si calcola che i martiri per Cristo nel secolo attuale siano più numerosi di quelli di tutti i 19 secoli precedenti messi insieme.
Uno stile di vita profetico
Se il mondo non ci odia e non ci perseguita, dobbiamo domandarci se la luce in noi non è forse diventata tenebre; se il nostro sale non ha per caso perso il suo sapore. Ora, non sto dicendo che dobbiamo andare in cerca di guai o provocare di proposito le reazioni con un atteggiamento ostile e negativo (come fanno i Testimoni di Geova). Ma credo che dobbiamo concludere, davanti alle parole di Gesù citate sopra, che oggi siamo un popolo poco profetico. “La chiesa profetica” è un traguardo ancora da raggiungere, non una realtà che già viviamo. Ma è a questo che Dio ci chiama: ad essere un popolo profetico nelle parole e nelle opere: con il messaggio che annunciamo e con lo stile di vita che viviamo.
Nel libro di Ester leggiamo dell’accusa rivolta ai Giudei esiliati nell’impero persiano: “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le provincie del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo … non è quindi interesse del re tollerarlo. Se il re è d’accordo, si faccia un decreto per distruggerlo …” (3:8-9). Anche nel Nuovo Testamento si descrive la reazione dei non credenti alla “stranezza” e alla “diversità” dei cristiani: “Trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza, e parlano male di voi” (1° Pietro 4:4).
Vorrei nominare in particolare tre aree in cui noi cristiani dobbiamo distinguerci, nello stile di vita e nel sistema di valori, dal popolo “pagano” in mezzo al quale ci troviamo a vivere.
- Lavoro e soldi. È stato ben detto da qualcuno che la religione più seguita dagli italiani oggi è il culto di Mammona (seguita da quelli di Sesso, Bella Figura e Calcio!). Dilaga intorno a noi la ricerca del cosiddetto “benessere” (che in realtà vuol dire raramente “vivere bene”), anche a costo di ogni valore morale e umanitario. Come cristiani, dobbiamo invece vivere secondo una “legge diversa”.
La Parola di Dio esorta i lavoratori, per esempio: “Non servite [i vostri padroni] soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma … qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini” (Colossesi 3:22-23).
Sono questi gli atteggiamenti che dimostriamo sul nostro posto di lavoro? Lavoriamo con la stessa dedizione e scrupolosità quando il padrone o il capo reparto è assente come quando ci sta osservando? Dio ci ha messi in quella fabbrica, in quella scuola o in quell’ufficio come rappresentanti del Suo regno per illuminarlo con la Sua luce. Guai se si dice di noi: “Predica bene ma razzola male”!
Anche Giovanni Battista faceva in questa sfera un discorso molto radicale: “Contentatevi della vostra paga”! (Luca 3:14). Ma se la nostra fede non ci libera dall’amore del denaro, “radice di ogni specie di mali” (1° Timoteo 6:10), quale garanzia dà di poterci liberare dall’inferno?
Si parla molto in questi giorni del risveglio in atto in certi paesi del Terzo Mondo. Ma quando sento parlare di regioni in cui il trenta, il quaranta o il cinquanta per cento della popolazione si sarebbe convertito a Cristo, mentre nello stesso tempo in quei paesi impera notoriamente la corruzione e il degrado morale, si può veramente parlare di risveglio? Una conversione che non produce santità nella vita pratica di tutti i giorni è solo un “cambio di religione” che non ha nulla a che vedere con il vangelo di Cristo.
- Sesso e famiglia. È un’altra area in cui è urgente che noi cristiani viviamo secondo “leggi diverse”. La cosiddetta “liberazione sessuale” è ormai diventata norma nel nostro Paese: tutti i giorni la TV e la stampa ci propongono come modelli persone che la Bibbia chiama “adulteri” e “fornicatori”, avvertendoci: “Non v’illudete: tali persone non erediteranno il regno di Dio” (1° Corinzi 6:9-10).
Sono considerati davvero “strani”, oggi, i fidanzati che vivono la Parola di Dio: “Questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo in santità e onore, senza abbandonarsi a passioni disordinate come fanno i pagani che non conoscono Dio” (1° Tessalonicesi 4:3-5); o l’uomo che non ha mai avuto rapporti con altre donne fuorché con la propria moglie. Ma sappiamo che è la sola via che Dio approva e benedice (oltre a farci stare tranquilli riguardo all’AIDS … !)
Altrettanto strani, se non addirittura malvagi, sono considerati i genitori che educano i propri figli secondo il consiglio biblico; “Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi lo ama, lo corregge per tempo” (Proverbi 13:24). In diversi paesi europei rischiano addirittura il carcere! Anche chi si propone di “allevarli … nell’istruzione del Signore” (Efesini 6:4) va contro corrente. “I genitori non hanno il diritto di imporre ai figli le proprie convinzioni religiose – ci dicono. – Bisogna lasciare che crescano, poi sceglieranno da soli”.
Tuttavia, se abbiamo il coraggio di essere “diversi” e “strani”, vivendo secondo la parola di Dio, Egli ha promesso di benedirci, dandoci delle famiglie che saranno l’invidia degli altri intorno a noi. Così saremo un popolo profetico, una luce che risplenderà davanti agli uomini, che dovranno riconoscere che siamo “il solo popolo savio e intelligente … Qual è infatti la grande nazione che abbia leggi e prescrizioni giuste come questa?” (Deuteronomio 4:6,8).
- Rapporti tra fratelli. Una terza area in cui siamo chiamati a vivere una vita “profetica” è quella dei rapporti fraterni. In un mondo sempre più pieno di gente isolata e oppressa dalla solitudine, oppure che vive rapporti conflittuali a causa dall’egoismo sempre più imperante, noi, la famiglia di Dio (Efesini 2:19), abbiamo il dovere e il privilegio di dimostrare cosa vuol dire vivere riconciliati con Dio e l’uno con l’altro.
Dio ci chiama a vivere quella vita di “insieme” che caratterizza i primi capitoli del libro degli Atti, a imparare cosa vuol dire “sopportarci gli uni gli altri e perdonarci a vicenda” (Colossesi 3:13), ad amarci abbastanza da correggere i nostri fratelli, quando è necessario, ma non rigettarli o allontanarci da loro, e da aiutarli anche nelle cose materiali. Si diceva dei credenti dei primi secoli: “Guardate come si amano l’un l’altro!” Ed è la stessa testimonianza pratica quella che toccherà il cuore della nostra generazione. “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).
Parole come frecce
Ma, per quanto essenziale, non basta la giustizia di Dio dimostrata nei nostri comportamenti per far risplendere nel mondo la luce di Cristo. Abbiamo bisogno anche di una predicazione profetica del Vangelo. Dobbiamo avere il coraggio di annunciare il consiglio di Dio con amore, certo, ma senza lasciarci condizionare dal timore di offendere. “Se cercassi ancora di piacere agli uomini – scrive l’apostolo Paolo – non sarei servo di Cristo” (Galati 1:10).
Negli Atti degli Apostoli troviamo diversi esempi di grande franchezza nella predicazione, che talvolta è quasi brutale. Pietro, per esempio, dopo la guarigione dello zoppo alla Porta Bella del tempio, grida alla folla: “ … Il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi metteste nelle mani di Pilato … Voi rinnegaste il Santo, il Giusto e chiedeste che vi fosse concesso un omicida; e uccideste il Principe della vita … Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati …” (Atti 3:13-15,19).
Così fa anche Stefano davanti ai suoi accusatori (Atti 7). E Paolo, invitato a parlare all’Areopago di Atene, non si lascia sfuggire l’occasione di predicare il ravvedimento e il giudizio: “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo che egli ha stabilito …” (Atti 17:30-31).
Abbiamo ancora bisogno di questo tipo di predicazione! Troppo spesso annunciamo invece un vangelo dolciastro, tutto promesse di benedizioni senza richiedere prima il ravvedimento dal peccato e l’abbandono della ribellione nei confronti di Dio. Se c’è una cosa di cui il nostro Paese ha bisogno, è un ricupero del senso del timore di Dio e del giudizio eterno.
Non possiamo forse riconoscere la società di oggi nelle denunce infuocate dei profeti? “Cercate nelle piazze se trovate un uomo, se ve n’è uno solo che pratichi la giustizia, che cerchi la fedeltà … Anche quando dicono: `Com’è vero che il Signore vive’, è certo che giurano il falso … Si dànno all’adulterio, si affollano nella casa della prostituta. Sono come tanti stalloni ben pasciuti e focosi; ognuno di essi nitrisce dietro la moglie del prossimo. Non li dovrei punire per queste cose, dice il Signore, non dovrei vendicarmi di una simile nazione?” (Geremia 5:1-2,7-9).
“Questo paese è pieno di assassini, questa città è piena di violenza” (Ezechiele 7:23). “L’iniquità parla all’empio nell’intimo del suo cuore; non c’è timor di Dio davanti agli occhi suoi. Essa lo illude che la sua empietà non sarà scoperta né presa in odio. Le parole della sua bocca sono iniquità e inganno; egli rifiuta d’essere giudizioso e di fare il bene. Medita iniquità sul suo letto; si tiene nella via che non è buona; non odia il male” (Salmo 36:1-4).
Chiesa profetica
Per penetrare la scorza dura dei nostri connazionali, abbiamo bisogno di parole che esprimano un’autorità profetica. “La mia parola non è forse come un fuoco – tuona il Signore contro i falsi profeti – e come un martello che spezza il sasso?” (Geremia 23:29). E Paolo descrive la propria predicazione in termini simili: “Il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione” (1° Tessalonicesi 1:5).
Abbiamo bisogno di riscoprire questa potente parola profetica, di cui Paolo parla nel discorso sui doni spirituali in 1° Corinzi 14: “Se tutti profetizzano ed entra qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti, i segreti del suo cuore son svelati; e così, gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi” (1° Corinzi 14:24-25). Quando è successo questo nella tua chiesa? Di solito, invece, possono entrare persone piene di peccati, addirittura indemoniate, e … non succede niente: se ne vanno a casa tranquille, senza essere messe a confronto con il bisogno che hanno di Dio e del suo perdono.
Ma non solo nei culti: abbiamo bisogno di portare i doni dello Spirito fuori dai nostri locali di culto. Quando lo Spirito Santo scese sui 120 il giorno della Pentecoste, subito si riversarono fuori dalla “stanza dove erano seduti” in un luogo pubblico, dove la folla che accorreva poté assistere alle manifestazioni dello Spirito. Sia Gesù che gli apostoli usarono i doni dello Spirito soprattutto per evangelizzare sulla pubblica piazza: doni di guarigione, miracoli, parole di conoscenza e di profezia … Se aspettiamo che la gente venga dentro i nostri locali di culto per convertirsi a Cristo, l’Italia non sarà mai evangelizzata!
Dalla teoria alla pratica
Ma che cosa possiamo fare concretamente per tradurre in pratica questa visione di una chiesa profetica, una in cui “tutti profetizzano”?
Credo che sono necessari quattro “ingredienti” che ciascun credente deve coltivare nella propria vita e, se siamo responsabili nella chiesa, anche nella vita di coloro che curiamo:
- Bisogna coltivare la comunione con Dio e imparare ad ascoltarLo. Tante volte Dio vorrebbe parlare alla Chiesa e a quelli che non Lo conoscono, ma non trova un portavoce. Siamo troppo pieni dei nostri pensieri, progetti e preoccupazioni che non riusciamo a captare la parola che Dio sta dicendo. Egli parla solitamente con una voce “dolce e sommessa” (1° Re 19:12), e chi non fa silenzio dentro di sé non riesce a captarla. E poi, come il giovane Samuele, dobbiamo imparare a riconoscere la voce di Dio e la parola che Egli ci rivolge, che troppo spesso confondiamo con i nostri pensieri o immaginazioni.
- Dobbiamo crescere nella fede. Profetizziamo “secondo la proporzione della nostra fede” (Romani 12:6 Riv.), e certamente non bisogna tentare di farlo oltre quel livello, cadendo nella presunzione e nel fanatismo! Dobbiamo stare nell’attesa fiduciosa che Dio può servirsi di noi e che vuole farlo, e poi aspettarci di ricevere le rivelazioni che lo Spirito Santo “distribuisce a ciascuno … come vuole” (1° Corinzi 12:11).
La fede non è però questione di “formule”, ma di fiducia in un Dio fedele (non nella nostra stessa fede!) È il fondamento di tutto ciò che Dio fa nella Chiesa: “L’opera di Dio … è fondata sulla fede” (1° Timoteo 1:4).
Come, allora, crescere nella fede? Un metodo che non sembra funzionare è quello di chiedere a Dio: “Signore, aumentaci la fede”. Quando i discepoli fecero questa richiesta a Gesù, ricevettero una risposta tutt’altro che incoraggiante: “Se aveste fede …” (Luca 17:5-6)! Piuttosto la Scrittura ci dice di fare qualcosa per far coltivare e far crescere la fede che già abbiamo, come d’altronde implica la risposta di Gesù che la paragona a un “granello di senape”.
Una cosa che possiamo fare è descritta nell’epistola di Giuda v.20: “Ma voi, carissimi, edificando voi stessi nella vostra santissima fede, pregando mediante lo Spirito Santo …”. La preghiera nello Spirito e la comunione con Dio fanno crescere la nostra fede in maniera spontanea e naturale.
Poi, ci fa bene frequentare persone piene di fede. La fede, come lo scetticismo e l’incredulità, è “contagiosa”. Quante volte le Scritture ci dicono di esortarci, incoraggiarci ed edificarci a vicenda! Se abbiamo poca fede, possiamo acquistarne di più stando con coloro che “ne hanno da vendere”. E naturalmente, se siamo leaders nella chiesa, abbiamo una grande responsabilità di vivere nella fede per poterla comunicare a coloro che ci seguono. Non potremo mai portare gli altri oltre il punto al quale siamo arrivati noi stessi.
- In terzo luogo, è importante anche l’insegnamento. È già importante per poter crescere nella fede: “ … la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla Parola di Cristo” (Romani 10:17). Ma ci sono anche altre cose da imparare. Nell’Antico Testamento esistevano delle “scuole dei profeti” (2° Re capp. 4,6).
“Come? – dirà qualcuno – Non si può mica andare a scuola per imparare a profetizzare!” E invece sì! Dobbiamo imparare come ricevere le rivelazioni di Dio e distinguere la Sua voce dai nostri pensieri e le nostre fantasie. Facciamo questo anche sottoponendo le nostre “rivelazioni” a coloro che ne hanno maggiore esperienza perché possano confermare o smentire le cose che “sentiamo”: intuizioni, visioni, sogni o altro.
Poi, dobbiamo imparare come, quando e dove comunicare ciò che riceviamo. Un errore molto frequente in chi incomincia a profetizzare è quello di pensare che tutte le rivelazioni ricevute vanno comunicate subito, a tutti e dovunque! Invece probabilmente la maggior parte di ciò che riceviamo da Dio è per noi stessi, oppure è per un altro tempo e luogo. Il fatto che Dio ha parlato non autorizza noi a farlo!
Spesso – soprattutto all’inizio della nostra esperienza profetica – Dio ci parla sul piano personale per incoraggiarci, correggerci e stimolarci. Il fatto che sentiamo la Sua voce mentre siamo in una riunione non significa che dobbiamo comunicare la parola ad altri: può essere semplicemente che è l’unica occasione in cui Lo ascoltiamo!
Altre volte Dio ci parla per stimolarci alla preghiera, e la giusta risposta è quella di … pregare! Buona parte delle rivelazioni date ai profeti dell’Antico Testamento ricade in questa categoria.
- Infine, occorrono occasioni per esercitarci alla profezia. È questa, credo, una delle funzioni delle “cellule” o “chiese in casa”. Nel culto generale, la Parola dice che devono parlare solo “due o tre profeti” (1° Corinzi 14:29). È invece nell’intimità delle case che ci conviene imparare a “profetizzare tutti” (v.31): là è più facile trovare il coraggio di aprire bocca, e gli eventuali errori possono essere corretti con dolcezza e rispetto, senza dare scandalo ad estranei o non credenti.
Giudicare le profezie
Infine, è importante non ingoiare acriticamente tutto ciò che viene detto sotto forma di “profezia”: “i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino” (1° Corinzi 14:29). “Non credete a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio” (1° Giovanni 4:1). Chiaramente, vanno giudicate dalla loro conformità all’insegnamento della Parola di Dio scritta: “Alla legge! Alla testimonianza! Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora! (Isaia 8:20); e poi, più soggettivamente, dal discernimento dei profeti più esperti e consolidati.
Ma, una volta confermata la validità della parola rivoltaci da Dio, non lasciamo che cada nel dimenticatoio! Una chiesa profetica è una che non solo ha delle profezie, non solo le ascolta e le approva, ma una che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica! Beati noi se, avendo avuto rivelazioni da parte di Dio, le conserviamo con cura e attenzione e ci curiamo di fare tutto ciò che Dio ha detto. Non chi ascolta la parola, ma chi la mette in pratica sarà benedetto nel suo operare (Giacomo 1:25).
Dio vuole un popolo dinamico, un popolo pieno di vita, un popolo profetico che sia uno strumento nelle Sue mani per la salvezza di molti. Che possiamo rispondere a questa esigenza divina per portare molto frutto e comunicare la salvezza alle moltitudini intorno a noi che periscono per mancanza della conoscenza del Dio vivente e vero.