SCARICA PDF di questo articolo
di Paul Anderson
Una guida è una persona che sa dove sta andando e che porta altri con sé. C’è una carenza di questo tipo di persona. Per questo motivo, io e Larry Christenson, pastori della chiesa luterana di S. Pedro, abbiamo deciso di dedicare gran parte del nostro tempo alla formazione di nuove guide.
Per formare degli uomini potenti, non bastano le predicazioni; bisogna dedicare loro del tempo individualmente. Il nostro obiettivi è di aiutarli a diventare ciò che Dio desidera siano, il che sarà diverso per ciascuno; perciò non abbiamo dei programmi bell’e pronti, piuttosto lavoriamo per costruire i loro rapporti con Dio, con al loro famiglia, e sul posto di lavoro. Per fare questo dobbiamo ascoltarli, pregare con essi, dare consigli, comunicare quello che vediamo Dio fare nella loro vita, e pregare regolarmente per loro. Diciamo: “Signore, che posso fare per aiutarti a realizzare il Tuo disegno per quest’uomo?” Non cerchiamo di renderli simili a noi; però, speriamo che vedano in noi delle caratteristiche di Cristo da imitare.
Non ogni uomo è disposto a questo tipo di rapporto; noi cerchiamo coloro che hanno già dato prova di desiderare tutta la volontà di Dio. Potranno avere dei problemi, potranno non essere i più dotati, ma devono essere disposti ad imparare.
Delegare
Alcuni pastori -probabilmente senza volerlo – comunicano al loro gregge: “Senza di me, non potete fare niente”. Godono quando si sentono indispensabili; e quando la chiesa corre a sostituirli alla loro partenza, vedono quanto erano importanti.
Il nostro obiettivo, invece, è di preparare gli uomini a funzionare senza di noi. Deleghiamo quasi ogni aspetto del nostro ministero – predicare, insegnare, aiutare con i problemi, visite, amministrazione – man mano che ci sono persone capaci di sostituirci. Vogliamo renderci superflui! Ci piace sentire che non siamo necessari. Gli uomini devono imparare a discernere la volontà di Dio, a prendere decisioni, a lavorare bene.
Tempo fa ho detto ad alcuni membri della chiesa: “Non voglio essere l’unico qui a prendere delle decisioni sbagliate; anche voi serve quest’esperienza!” Scherzavo, ma dicevo una cosa seria. I credenti devono imparare a prendersi le responsabilità.
Serviamo le persone anche dando loro le occasioni di servire, permettendo che tra l’altro prendano anche delle decisioni sbagliate. Un recente articolo di giornale dice che nel mondo degli affari , un sintomo di un’azienda “malata” è quando le decisioni di ordinaria amministrazione sono prese dai “capi” principali. Un buon manager sa lasciare ai subordinati le decisioni quotidiane, liberandosi così per poter pensare a cose più importanti.
Quando gli altri credenti prendono posti di responsabilità, i pastori sono liberati per dedicarsi a cose nuove. Noi continuiamo a predicare regolarmente in chiesa, ma la maggior part delle altre responsabilità è delegata agli uomini che stiamo formando. Ci sentiamo liberi di delegare qualsiasi aspetto del ministero non appena vediamo che c’è qualcuno in grado di sostituirci, e spesso troviamo che assolvono il compito meglio di noi.
Servizio
Chi sta crescendo nella vita cristiana ha bisogno di servire più che di essere servito. Molti cristiani “ricevono” solamente per tutta la vita e non maturano mai. Deve venire il momento in cui guardano al di là di se stessi, altrimenti non saranno mai utili a nessuno. Facciamo crescere le persone quando insegniamo loro a servire e diamo loro le occasioni di farlo.
Un noto personaggio ha detto che l’unico vantaggio della fama è che dà maggiori possibilità di servizio. Cerchiamo di insegnare questa realtà innanzitutto con l’esempio: servendo i potenziali leaders nei loro bisogni personali e familiari. Per esempio, li invitiamo a cena oppure ad un concerto; cerchiamo di comunicare che siamo interessati a loro e vogliamo fare investimento nella loro vita. Quando cominciano a ricambiare il servizio, stanno mettendo in pratica il comando biblico: “Per mezzo dell’amore servite gli uni gli altri” (Gal. 5:13).
Ci siamo accorti che, per formare delle guide, bisogna servirle e lasciarsi servire da loro. Dapprima, il servizio è svolto nei loro confronti; ma più comprendono il principio, più imparano anch’essi a servire. Il principio del servizio, infatti, è fondamentale sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Recentemente abbiamo constatato che i giovani della nostra chiesa ricevevano già abbastanza insegnamenti e attività ricreative; quello che mancava loro erano le occasioni per poter servire. Così, invece di fare il solito campeggio estivo quest’anno, stiamo pensando ad un progetto di servizio presso un orfanotrofio nel Messico.
Visione
Alcuni di noi pastori compensiamo, per il fatto di no sapere dove stiamo andando, correndo a doppia velocità. Ma un vero leader no solo sa dove sta andando ma anche come intende arrivarci; egli riuscirà a farci arrivare anche degli altri.
Stabilire degli obiettivi nella chiesa non è una semplice attività umana; è un altro modo di parlare di visioni. Noi discutiamo regolarmente con gli anziani della nostra chiesa domandandoci: “Dove ci sta conducendo Dio? Come ci arriveremo? A che cosa ci sta chiamando il Signore? Un centro di formazione? Un progetto di servizio sociale? Un centro di evangelizzazione per la gioventù? Una tipografia propria? Dove vuole Dio che saremo arrivati tra vent’anni?”
Quest’ultima domanda la poniamo no solo ai gruppi, ma anche agli individui. Recentemente l’ho post a un ingegnere che ha seguito alcuni corsi di teologia. Egli rispose: “Voglio laurearmi e poi fare il professore”. Sono diversi anni che mi incontro regolarmente con lui, e approvo la strada che sta seguendo.
È molto “cristiano” stabilire degli obiettivi, perché anche Dio ne stabilisce; Egli considera dove vuole arrivare, poi come potrà farlo. Il Padre ha dichiarato qual è il suo obiettivo per la storia e come lo realizzerà. Anche Gesù sapeva che cosa il Padre gli aveva proposto di compiere sulla terra. Perciò Egli “si mise risolutamene in via per andare a Gerusalemme”. Egli viveva con la coscienza di camminare secondo l’orario stabilito da suo Padre.
Preferiremmo insegnare ai nostri “discepoli” questo tipo di sensibilità più che qualsiasi altra cosa. Non possiamo fare la parte dello Spirito Santo nei loro confronti. Se essi non sanno ascoltare la voce di Dio, non saranno mai utili né a se stessi né agli altri. Se imparano solo ad ubbidire a noi, ma non a ricevere istruzioni da Dio, staranno lì a gridare verso di noi in mezzo alla battaglia per sapere quale arma usare contro il nemico. Questo significa panico, non guida.
È più importante insegnare a un uomo a sentire la voce di Dio che dirgli che cosa Dio ha detto a noi. L’informazione, da sola, non porta alla maturazione. Molti di noi pastori siamo arrivati alla scuola biblica e ci hanno detto: “Sedetevi, abbiamo tre anni di lezioni per voi”. Ma questo non è sufficiente per creare delle guide.
Sentire la voce di Dio
La ragione per cui alcune persone sono guide è che vedono più lontano degli altri: hanno visione. Dio ha fatto vedere a Paolo delle cose che nessuno aveva mai visto prima d’allora; Paolo fu una forte guida, e la gente lo seguiva. Dio ha promesso di rivelare i suoi piani ai profeti (Amos 3:8). Quelli che sanno ascoltarLo saranno le guide.
La Bibbia dice che Mosè conosceva le “vie” di Dio; egli sapeva quali erano i piani di Dio per il popolo. Una vera guida ha sentito che cosa Dio ha da dire sulla direzione che Egli intende seguire, ed ha acconsentito a seguirLo. Ci sono persone che vorrebbero essere delle guide, ma aspettano di vedere dove vanno i seguaci per poter andare in quella direzione!
Noi cerchiamo di insegnare ai nostri seguaci ad avere visione perché:
– così potranno dire “sì” alle cose importanti e “no” alle distrazioni. Ci sono delle cose buone che possono portarci fuori strada.
– dà una motivazione lungo la strada. Io non sono un fanatico per la corsa; corro perché mi sento meglio quando sono in forma. Ma l’avere davanti a me un traguardo, come partecipare a una gara di 10 km tra due mesi, produce un effetto nella corsa di tutti i giorni.
– aiuta a superare i momenti di scoraggiamento. Si vive con un “tempo futuro”. Gli obiettivi creano speranza, e la speranza ci fa continuare a correre. Anche Gesù resistette “per la gioia che gli era posta davanti”.
Non sempre facile
Essere guide comporta degli svantaggi: solitudine, critiche, attacchi spirituali, pressioni di tempo. Quando un uomo accetta una posizione di responsabilità nella chiesa, va in cerca di guai. Dovrà imparare ad andare avanti, nonostante gli scoraggiamenti e lo scontento, fiducioso di essere stato chiamato a guidare altri e che ce la farà ad entrare nella Terra Promessa.
Noi condividiamo i nostri problemi per poterci sostenere a vicenda. Recentemente, un fratello ha dovuto licenziarsi da un lavoro di manager che gli portava via troppo tempo. Le preghiere e i consigli pratici datigli dagli anziani gli hanno dato la forza di cui aveva bisogno. Egli sapeva che il benessere della sua famiglia era più importante della sua carriera, e con l’aiuto dei fratelli ha preso in mano la situazione.
Quando mi delegò maggiore responsabilità per la cura pastorale della chiesa, Larry Christenson mi offrì questo buon consiglio: “Sii sensibile al popolo, ma responsabile davanti a Dio. Dovrai rendere conto del popolo, non al popolo”. È la voce di Dio che deve essere decisiva per noi. Le persone potranno darci consiglio importanti, ma Dio non chiederà conto a loro delle nostre decisioni. Se Mosè avesse condotto secondo i desideri del popolo, sarebbe tornato subito in Egitto!
Tanti pastori hanno smesso di guidare perché si sono stancati di aspettare che i credenti esercitassero i loro doni o imparassero a servire. Alla fine, hanno deciso di fare da soli anziché dare tempo alle persone e attirarle al servizio. Così cessano di essere guide e diventano attivisti. Anche Mosè fu un “attivista” prima di diventare una guida – e nel processo uccise un uomo. Se Nehemia fosse stato uno di questi, avrebbe avuto un collasso nervoso prima di finire il suo muro!
Amore
Quando Gesù rimproverò Pietro, non ebbe necessità di dirgli: “Ora, tu sai che ti voglio bene, ed è per questo che ti dico queste cose”. I discepoli erano stati fatti prigionieri dal suo amore: quando altri si tirarono indietro, essi rimasero fermi perché il loro Maestro li amava.
Mi fanno una profonda impressione le sue parole ai Dodici: “Ho grandemente desiderato di mangiar questa pasqua con voi”. Dobbiamo domandarci: “amo veramente le persone con le quali lavoro?” Se sì, lo sapranno. Se no, dire loro di sì non servirà.
Per esempio, quando mi incontro con uno degli uomini che curo, non parliamo solo dei suoi problemi familiari o di lavoro, ma anche della tesi teologica che sta preparando, o dei gruppi in casa che egli sorveglia. È questo uno dei modi in cui io lo servo. Egli mi ha servito in molte maniere: incoraggiandomi per un messaggio che ho predicato, fornendo informazioni utili per uno studio biblico, comprandomi un libro che servirà nei miei studi, preparandosi nuove responsabilità ministeriali.
Abbiamo fatto anche molte cose insieme al di fuori del nostro appuntamento settimanale. L’anno scorso, abbiamo partecipato insieme a una squadra sportiva; la prossima settimana, andiamo ad un concerto insieme alle nostre due famiglie; ogni tanto, andiamo fuori a cena con le nostre rispettive mogli; abbiamo seguito insieme un corso teologico per corrispondenza. Da questo genere di rapporto, possiamo parlare del futuro in maniera significativa. Ci vuole del tempo; ma se egli dovrà prendersi delle responsabilità pastorali, è indispensabile!
Se le pecore sentono che il loro pastore è più interessato al loro successo che al suo proprio, il lavoro è quasi fatto. Come scrisse Pietro, molti anni dopo che l’amore del Maestro gli aveva toccato il cuore: “Pascete il gregge di Dio che è fra voi, non forzatamente, ma volenterosamente secondo Dio; non per un vil guadagno, ma di buon animo” (1 Pietro 5:2).
Prima i rapporti
La responsabilità deriva dai rapporti. Noi cerchiamo di non dare incarichi ministeriali se non sul fondamento del rapporto. Il nostro reciproco impegno forma la base della crescita nel ministero. Enza di esso, il ministero tende a orientarsi intorno a programmi piuttosto che persone.
Noi pastori tendiamo a programmare delle attività troppo presto, senza avere stabilito i rapporti. Marco indica che Gesù scelse dodici uomini innanzitutto “per tenerli con sé”; solo dopo “per mandarli a predicare” (3:14). Nella nostra chiesa, siamo contenti di stare insieme con i nostri uomini. Nella scorsa settimana, alcuni dei contatti che ho avuto con loro, al di fuori dei culti regolari, sono: una visita all’attività commerciale di un uomo; una partita a tennis; un pranzo; una visita alla pista di pattinaggio; una cena; lavorare insieme per pitturare la casa.
È stato n incoraggiamento per uno degli uomini sapere che volevo vedere il suo nuovo locale di lavoro. Ho potuto lodarlo pubblicamente per il suo buon rendimento come datore di lavoro. Probabilmente ciò valeva almeno dieci sermoni! Fu una gioia per sentirlo dire che ha detto a tutti i dipendenti (ne ha 76 nella sua ditta di metalmeccanica) che sono liberi di entrare nel suo ufficio per chiedergli consigli o per pregare quando ne avessero bisogno. Diversi hanno approfittato dell’invito. Gli ho chiesto di parlare a tutta la chiesa del suo “piccolo progetto per il Signore” e tutti si sono rallegrati.
Troppo spesso, noi pastori incontriamo le persone sul nostro terreno. Quando invece possiamo incoraggiarle sul terreno loro, facciamo capire che ci interessa maggiormente il successo delle persone che la sopravvivenza dei progetti. Un pastore h detto: “Dobbiamo dare alle persone la precedenza sulle cose. Le cose sono servi delle persone”.
Alla scuola biblica, non ci hanno incoraggiati a formare delle forti relazioni personali con i membri di chiesa; ci hanno consigliato di cercare gli amici fuori della chiesa. Gesù, invece, disse: “Io non vi chiamo più servi … vi ho chiamati amici” (Giov. 15:15). Anche noi vogliamo chiamare i nostri membri “amici”; così, passiamo del tempo insieme facendo le cose che fanno gli amici, e non solo le cose che fanno i membri di chiesa. Per alcuni, può essere altrettanto importante giocare insieme come pregare insieme.
Fratelli
Nella nostra chiesa, i due pastori si incontrano regolarmente con gli altri quattro anziani. Questi ci riconoscono come pastori e rispettano la nostra autorità; ma sono anche i nostri amici. Essi ci danno dei consigli di gran valore per la nostra vita personale e per il ministero; ci danno conferma e correzione; ci fanno delle domande penetranti che contribuiscono a tenerci nel giusto equilibrio. Sono abbastanza maturi da non salutare con entusiasmo ogni nostra idea.
Sono uomini riflessivi, non adulatori; sono anche fratelli che riconoscono la nostra autorità spirituale. Godiamo nello stare insieme. E ci rendiamo conto che i culti di chiesa e gli incontri tra gli anziani no bastano, da soli, a sostenere il tipo di amicizia che desideriamo.
Siamo profondamente incoraggiati nel sapere che abbiamo un gruppo di uomini disposti a sostenerci là dove vedono Dio particolarmente all’opera nella nostra vita, e a dire la verità in carità quando hanno dei dubbi sulla nostra guida.
Essere esigenti
Una guida è uno che si commuove a pensare dove le persone stanno andando; egli sogna di dove potrebbero arrivare.
Douglas Hyde, già capo redattore del Daily Worker di Londra, convertitosi dal Marxismo a Cristo, scrive nel suo libro Consacrazione e guida che i cristiani farebbero bene ad imparare dai comunisti come sfruttare il potenziale dell’individuo. “Il paradosso – prosegue – è che i comunisti dimostrano una fede nelle persone ben maggiore che la maggior parte dei cristiani, i quali dovrebbero essere i grandi sostenitori del valore dell’individuo. Essi chiedono molto, e ricevono ciò che chiedono … Con una piccola minoranza della gente, sono convinti che riusciranno a cambiare il mondo … Quando si pensa a questo modo, la vita prende un significato tutto nuovo”.
Egli crede che il più delle volte, i laici che accettano delle responsabilità nella chiesa non sono molto convinti che il pastore crede in loro e nelle loro capacità. Molte persone abili non vengono utilizzate nelle chiese. Sul posto di lavoro, possono fare dieci ore al giorno e sono contente di farlo, perché ci si aspetta qualcosa da loro e hanno i talenti per farlo; ma alla chiesa no danno neppure un’ora, perché essa non presenta loro una sfida.
Recentemente ho detto al nostro gruppo pastorale: “Tutti voi fate un ottimo lavoro. Ma se fra tre anni farete ancora le stesse cose che oggi fate, sarete dei fallimenti. Cercate delle persone che siano capaci di fare quello che fate voi, e lasciate che vi aiutino. Poi lasciate fare a loro”. Dobbiamo imparare a sfruttare il potenziale del 90 per cento della chiesa che lavora dal lunedì al venerdì, e la domenica sta lì a guardare.
La giusta priorità
Ho letto sul giornale di un direttore delle vendite che si era stufato delle scuse per lo scarso rendimento dei rappresentanti. Egli cominciò a dedicare l’ottanta per cento del suo tempo al migliore trenta per cento di essi: li stimolava, li elogiava, li ascoltava, li esortava. Agli altri dedicava quanto meno tempo possibile. Alcuni di questi dettero le dimissioni, ma altri migliorarono. Il totale delle vendite salì vertiginosamente.
Alcuni pastori trascurano i credenti fedeli ed impegnati per darsi ai più bisognosi. Una volta, durante un periodo di burrasca nella nostra chiesa, un altro pastore mi offrì questo consiglio: “Cammina con quelli che vogliono camminare e da’ da mangiare al gregge”. Voleva dire che tutte le pecore avevano dei bisogni, ma che quelli che andavano avanti avrebbero ripagato meglio le attenzioni e meritavano uno sforzo particolare. Gesù, infatti, ammaestrava e guariva le moltitudini, ma dava il meglio del suo tempo ai discepoli.
I credenti che stanno ricevendo una dieta buona e sana difficilmente si lamenteranno se i pastori dedicano più tempo a certi individui. Alcuni sono stati sospettosi delle nostre priorità, e sono ancora delusi perché quando cercavano il pastore, è venuto un altro. Ma i più capiscono che questa è una strategia biblica. Quando rendiamo personale ed efficace il ministero, delegando responsabilità e formando nuove guide, la maggior parte delle tensioni scompare e possiamo costruire una comunità più forte.
Paul Anderson è uno dei due pastori della Trinity Lutheran Church, San Pedro, California. Il suo collega, Larry Christenson, è noto come autore de La famiglia cristiana.