SCARICA PDF di questo articolo
di Ernesto D. Bretscher
Nel corso della vita, tutti noi viviamo situazioni di conflittualità, di tensione e di sofferenza fisica, psicologica e spirituale.
La sofferenza del bambino che subisce ingiustizia, disprezzo o rigetto in famiglia o a scuola; quella del ragazzo che vive il dramma di genitori che si insultano, litigano, si separano; la sofferenza di una moglie che non si sente amata dal marito e vede le promesse deluse; di un marito che non si vede rispettato e stimato dalla propria consorte; di genitori che assistono impotenti al dramma di un figlio ammalato o che si vota alla malavita e alla droga E ancora, il dipendente che si vede trattato ingiustamente dai propri datori o colleghi di lavoro, l’uomo tradito dall’amico, dalla moglie, dal figlio e viceversa, i fratelli che litigano finendo per non parlarsi più, il lutto per la morte di un figlio, di una giovane sposa, di un papà, di un caro amico … potremmo continuare all’infinito.
Quante volte abbiamo chiesto tra le lacrime: “Perché, Signore? Perché non sei intervenuto, non hai esaudito le nostre preghiere, non hai avuto misericordia? Perché, perché?” Abbiamo tutti vissuto la sensazione di essere stati dimenticati da Dio e di sentirci estremamente vulnerabili: chi di noi non è mai stato tentato di dubitare dell’amore di Dio, della sua presenza, addirittura della sua esistenza? Perfino Gesù ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Dolore, sofferenza, conflitti e tensioni: perché?
Ogni esperienza della vita contribuisce alla formazione della persona: la buona, la piacevole, la positiva come la cattiva, la spiacevole, la negativa. E, grazie a Dio, le relazioni umane sono piene di esperienze positive di amore, di gioia, di sensibilità, di fedeltà, di coraggio, di benedizione. Ci sono tuttavia anche tante esperienze che ci appaiono negative perché apportatrici di tensioni, malintesi, ferite, perdite, sofferenze e lutti. E in queste condizioni ci è spesso difficile riconoscere la fedeltà, l’amore e la saggezza del Signore.
È di tutti il rifiuto della sofferenza e del dolore. Ma molti sono tentati di esorcizzarla, identificandola con il diavolo e addebitando a lui, quando non semplicemente “agli altri”, la colpa di tutti i loro guai.
Un filosofo, Alan Watts, scriveva: “La coscienza umana deve coinvolgere sia il piacere sia il dolore, perciò lottare per il piacere, escludendo il dolore, è in effetti lottare per la perdita della coscienza”.
I conflitti, le tensioni, la sofferenza, come anche le tentazioni e le aggressioni del diavolo, sono strumenti di grande utilità per la formazione della nostra coscienza e quindi maturità. Saper soffrire è essere in grado di gestire gli eventi della vita. È saper vivere e difendere i valori in cui crediamo. Non è un caso se Gesù, presentatosi a noi come Figlio di Dio, ha voluto identificarsi interamente con la nostra natura. E lo ha fatto accettando di essere “disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza …” (Is. 53:3). La sofferenza fa parte dell’esperienza umana, come la disciplina dello studio fa parte dell’esperienza dello studente. Il suo diploma, la sua laurea, la sua maturità e professionalità dipendono totalmente dall’impegno e dal sacrificio con cui affronta la preparazione.
E la Parola di Dio ci rivela che siamo “coeredi di Cristo se veramente soffriamo con lui per essere anche glorificati con Lui” (Rom. 8:17). Possiamo essere tutto quello che Gesù è solo se siamo disposti a farci lavorare dalle situazioni difficili della vita. Essere glorificati con Lui significa proprio questo: diventare spiritualmente e moralmente maturi, delle persone belle “dentro”, forti, stimate e approvate.
Ma in che modo i conflitti, le tensioni e le sofferenze possono formare la nostra maturità e la nostra crescita?
- Prima di tutto, la Parola di Dio deve essere il nostro nutrimento quotidiano (Mt. 4:4). Da essa riceviamo le istruzioni necessarie per affrontarli nel modo migliore.
- La comunione con Gesù tramite lo Spirito Santo (Gv. 6:45-51,57,63) ci permette di contemplare Gesù per essere capaci di fare come Lui.
- L’ammaestramento e l’incoraggiamento dei ministeri (Ef. 4:11-16) ci accompagnano con gli interventi necessari per risolvere le situazioni di tensione, conflitto e sofferenza.
- Infine vi sono le situazioni difficili da dover superare. Infatti, come faremmo a imparare a “sopportare qualche torto” se non vi è chi logora i nostri nervi? Come impareremmo a perdonare se non vi è chi ci ferisce? Come faremmo a contare sul Signore se non ci trovassimo mai nelle condizioni di doverci fidare di Lui a dispetto delle circostanze? Non vi è scorciatoia perché lo spessore, la ricchezza e la profondità di Cristo possano apparire in noi.
“Se uno vuole venire dietro a me rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” (Mt. 16:24-25). Sono le difficoltà della vita a insegnarci a portare la croce e a “perdere” la nostra autosufficienza. E le nostre “palestre” sono la famiglia, l’ambiente di lavoro, la comunità in cui viviamo, gli attrezzi invece sono le relazioni difficili e le situazioni “pesanti” da sostenere e “sollevare”.
Riflessione
Quando nascono dei conflitti o delle tensioni nei rapporti, si impone a tutte le parti in causa un esame di coscienza. La tendenza di tutti è quella di “giustificarsi”, dando la colpa agli altri. Ma l’atteggiamento maturo si mette in discussione e si chiede: “Perché è sorto questo conflitto? Vi è una qualche mia responsabilità? Vi è qualcosa che posso fare per cambiare la situazione?” “La nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande e smisurato peso eterno di gloria …” (2° Cor. 4:17).
L’afflizione “produce” gloria solo se le permettiamo di essere educatrice dei nostri atteggiamenti! Gesù “ha imparato l’ubbidienza dalle cose che soffrì” (Ebr. 5:8) ed “è stato reso perfetto per via di sofferenze” (Ebr. 2:10). Gesù è il primogenito di molti fratelli. Ha inaugurato la via della scuola di Dio. Voler crescere da buoni discepoli del Signore e fortificarsi come Lui, “pieni di sapienza e di grazia” (Lc. 2:40), ci espone allo stesso processo di formazione, alla stessa scuola. Per questo l’apostolo Pietro afferma: “Non vi stupite … come se vi accadesse qualcosa di strano, anzi: rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo” (1° Pt 4:13).
Anche se nei Vangeli Gesù non esterna quasi mai la sua sofferenza e ci sembra sempre sereno, fiducioso, sicuro e autorevole, Pietro nella lettera agli Ebrei invece ce ne parlano spesso. Gesù aveva molti avversari e l’incredulità, l’ipocrisia e la cattiveria della gente erano evidenti sorgenti di sofferenza per Lui (Ebr. 12:3).
Tutti ricordano il suo pianto su Gerusalemme (Lc. 19:41) e sulla tomba di Lazzaro (Gv. 11:34), come pure il fatto che i suoi parenti non credessero in lui e che pensassero fosse “fuori di sé” (Mc. 3:21) e che la gente con cui era vissuto abbia tentato di assassinarlo buttandolo giù da una rupe (Lc. 4:24-29). È probabile tra l’altro che abbia vissuto il lutto per la perdita di Giuseppe, dato che dalla croce Egli affida la madre alle cure del discepolo Giovanni. A parte la drammatica sofferenza che ha preceduto la sua morte, Gesù ha conosciuto la sofferenza del rigetto e del rifiuto come delle costanti della sua vita.
Non sono forse queste anche per noi le cause più frequenti delle sofferenze? Il nostro bisogno di essere amati, ascoltati, rispettati, non viene troppe volte ingiustamente calpestato dall’egoismo e dall’insensibilità di quanti ci vivono vicino?
Cause diverse
Possiamo individuare le cause delle nostre sofferenze in quattro diverse fonti:
- In noi stessi. I nostri peccati, errori ed egoismi e le nostre scelte sbagliate, il male e le ferite che con le nostre parole e i nostri atteggiamenti abbiamo procurato agli altri. I nostri atteggiamenti, le nostre parole, anche se spesso non corrispondono alle nostre più profonde intenzioni, spesso feriscono, fanno male, provocano reazioni dolo rose, in noi come negli altri. Anche le cattive abitudini, la vita disordinata, i vizi, la mancanza di saggezza, di esperienza e di tempestività, possono essere causa di tante complicazioni.
- Negli altri. La società in cui viviamo, la cultura, la mentalità della gente, sono di per sé causa di tanti errori nostri. A volte la responsabilità dei nostri drammi ricade interamente su quanti hanno relazioni con noi, a volte anche in modo consapevole, essendo colpevoli di insensibilità e di egoismo. Spesso, come accade a noi, vi è comunque l’ignoranza, la mancanza di saggezza, il loro “modo di essere”, le loro ferite e frustrazioni, e via dicendo.
- Nella natura. Tutto il creato “geme ed è in travaglio” (Rom. 8:22) perché sottoposto al processo della morte. L’invecchiamento, le malattie e le disfunzioni organiche dei nostri corpi, la morte fisica sia di noi esseri umani che degli animali, i cataclismi, gli sconvolgimenti e gli squilibri della nostra terra, sono spesso responsabili di sofferenze e lutti molto gravi.
- Nel diavolo. Egli fa di tutto per provocare, accentuare, intrigare e aggravare le tensioni, sfruttando anche la carnalità e l’egoismo delle persone. Ma ci sono anche suoi interventi diretti, definiti “fatalità”. Il diavolo spesso acquisisce dei “diritti” sulle persone perché queste hanno commesso l’errore di rivolgersi ai praticanti di arti occulte quali spiritismo, magia, esoterismo, misticismi orientali, ecc. Da queste oppressioni, sevizie e persecuzioni è possibile uscire solo grazie all’intervento di Gesù.
Saggezza e coraggio
L’apostolo Giacomo considera le sorgenti di sofferenza come opportunità uniche. “sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia pienamente l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi di nulla mancanti” (Giac. 1:3-4). La costanza è sinonimo di perseveranza, affidabilità, stabilità, sicurezza. E tutto questo scaturisce dalla solidità della fiducia che una persona ha in Dio malgrado tutto. Come dunque affrontare la sofferenza, le tensioni ed i conflitti?
- Mettendoci in discussione. Il modo migliore per farlo è confrontarci con Gesù: “fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta … affinché non vi stanchiate perdendovi d’animo” (Ebr. 12:8). Abbiamo bisogno di modelli per sapere in che modo agire e reagire nelle questioni difficili. E Gesù è certamente il modello per eccellenza. Se conosciamo il Vangelo, ci viene facile comprendere in che modo Gesù gestirebbe le nostre situazioni. Se in vece non sappiamo proprio come farebbe, non ci costa nulla chiederglielo. Egli non tarderà a risponderci mettendo nel nostro cuore la risposta appropriata, guidandoci a leggere un brano della Sua Parola o ad ascoltare un sermone che tratti proprio il nostro quesito.
- Ricevendo la sua capacità. “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebr. 4:16). Non sempre riusciamo a gestire le situazioni difficili della vita come lo farebbe Gesù. È per questo che dobbiamo rivolgerci a Lui per ottenere non solo la saggezza ma anche l’autocontrollo necessari per fare ciò che Lui farebbe. E ricordiamo che “Dio può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo” (Ef. 3:20). Questo richiede lo sviluppo di una vita di preghiera per ricevere ogni giorno la forza interiore, la sapienza e l’abilità di affrontare le situazioni come farebbe Lui. Ciò può portarci a ripagare il male con il bene (Rom. 12:17), oppure a doverci confrontare con le persone che ci hanno ferito per informarle della nostra sofferenza: Questo tuo atteggiamento mi ha molto ferito. Te ne parlo perché desidero risolvere la questione senza rancore! E per le mie responsabilità ti chiedo sinceramente perdono” Ma può anche voler dire dover aspettare pazientemente l’intervento sovrano di Dio, o accettare la situazione chiedendo a Dio la grazia di riuscire a sostenerla. “Tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno” (Rom. 8:28). Ogni situazione della nostra vita coopera all’adempimento dei disegni di Dio per noi! Fidiamoci!
Quando la situazione non cambia o peggiora
Nessuno meglio di Gesù conosce questa condizione. Oppresso da tristezza mortale, Egli esclama: “Che dirò? Padre, salvami da quest’ora? … No, Padre glorifica il tuo nome!” (Gv. 12:27). Per Lui ciò che è importante è che il Padre possa compiere nella Sua vita tutto il suo proposito. Più tardi, affranto e distrutto dalla sofferenza interiore, nel Getsemani, cerca se possibile una via d’uscita che sia tuttavia in perfetta armonia con il Padre: “Se vuoi, allontana da me questo calice. Però, non la mia volontà ma la tua sia fatta … Allora apparve un angelo per rafforzarlo” (Lc. 22:42). E conosciamo il seguito. Viene condotto davanti ai suoi nemici, picchiato a sangue e barbaramente crocifisso, morendo dopo un’atroce agonia. Rafforzato dall’angelo di Dio!
Nella sofferenza tutti vorremmo vedere la luce in fondo al tunnel. Ma bisogna avere il coraggio di fidarsi della sapienza di Dio. Egli sa cos’è meglio per noi. E la capacità di fidarsi di Dio, qualsiasi cosa accada, si chiama “Fede”. “Quelli che soffrono affidino le loro anime al fedele Creatore, facendo il bene” (1° Pt 4:19). Esattamente come fece Gesù: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Lc. 23:46). Nel lungo elenco di eroi della fede citati in Ebrei 11, viene evidenziato che molti soffrirono atrocità indescrivibili senza ottenere ciò che era stato loro promesso, perché “Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio onde non giungessero alla perfezione senza di noi” (Ebr. 11:36-40). La sofferenza dunque porta alla perfezione, e Dio può ritenere cosa migliore lasciare che la sofferenza compia il suo corso senza intervenire per liberarcene! E se è questa la Sua decisione per noi, non mancherà di mandare al nostro fianco i suoi angeli per rafforzarci e sostenerci.
Il rifiuto della sofferenza, dell’ingiustizia, della cattiveria, e anche della malattia e della morte, sono comprensibili. Ma queste sono realtà con cui tutti prima o poi siamo chiamati a fare i conti. Ed è lì che è necessario essere saggi, forti e pronti. La differenza tra noi credenti ed “il mondo” sta nel fatto che abbiamo la benedizione di avere accesso al Signore che è per tutti sorgente di consiglio, sapienza, forza e speranza. E laddove la soluzione non è più tra le nostre mani, dobbiamo “riposare nella saggezza di Dio” e fidarci di Lui, per quanto la realtà possa essere difficile da accettare.
È questo il processo che ci porterà a “conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze divenendo conforme a Lui nella sua morte” (Fil. 2:10). La forza, la potenza, la capacità di regnare sulle circostanze difficili della vita si sviluppano solo se la capacità di identificarci con le sofferenze di Cristo diventa una nostra scelta di vita. Se impariamo a soffrire con Lui, saremo anche glorificati con Lui. È una scelta; difficile ma vincente. E il matrimonio, la famiglia, la Chiesa, tutto serve a questo proposito: farci diventare simili a Gesù. “A sua immagine e somiglianza”! Il cui felice epilogo è: “Venite voi, i benedetti del Padre mio, ereditate il Regno che vi è stato preparato fin dalla fondazione del mondo!” (Mt. 25:34).
È possibile regnare nella vita e tenere sotto controllo tutte le situazioni, con un morale stabile e sereno, solo dopo aver perseverato alla scuola della fede. Il Regno di Dio diventa così esperienza straordinaria di forza, gioia, pace, riposo, visibile da tutti.
Signore, venga il tuo regno, la tua volontà sia fatta in me come in cielo. Amen!