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di Massimo Loda
La mentalità che il mondo inculca fin dall’infanzia è quella secondo la quale il benessere, la soddisfazione e la realizzazione dipendono dal riconoscimento e dalla posizione sociale. Tutti lottano per diventare qualcuno di importante. Molte risorse economiche ed emotive vengono investite nell’arrampicata in società. Si cercano abiti che parlino del livello sociale, si acquistano beni-status e ci si sente “qualcuno” solo se laureati, ricchi e belli.
Tale mentalità è presente anche nella chiesa; vi è stata importata dal mondo e non è mai stata sradicata a sufficienza. Molti pastori si sentono ripetere con ossessione: “Ma qual è la mia funzione in chiesa?”, oppure: “Certo che, se tu mi offrissi un incarico più adeguato, non mi sentirei così inutile”.
Questa è una mistificazione della verità. Il Salmo 137 dice: “Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia destra le sue funzioni, resti la mia lingua attaccata al palato … se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia allegrezza”.
Le funzioni e i ruoli perdono senso se non sono la conseguenza del desiderio di vedere Gerusalemme innalzata. Se la chiesa non è al di sopra di ogni mia soddisfazione personale, tutto ciò che faccio con le mani e con le parole diventa inutile (mano destra atrofizzata, lingua attaccata al palato …). Qui cambia l’ordine dei fattori: il mio primo interesse non è più la ricerca di una mia collocazione, piuttosto da ciò che è utile per la chiesa risulterà il mio ruolo.
Dio guarda innanzitutto alla purezza delle motivazioni del nostro cuore, poi alla funzione che possiamo avere nel Corpo. Spesso siamo talmente arroccati in difesa del “nostro ministero”, della nostra posizione, che perdiamo di vista l’essenza di quello che Dio ha in cuore: la Chiesa e il Suo regno stabilito sulla terra.
Nell’economia divina, dove pure è obbligatorio che ciascuno giochi la sua parte, le funzioni sono meno importanti dell’adempimento del desiderio che Dio ha nutrito fin dalla fondazione del mondo.
La nostra chiamata ha quindi senso solo se adempie la volontà di Dio, solo se va incontro al progetto di Dio, che è la sua Chiesa, la sposa del Figlio. La chiamata prende la sua giusta dimensione nella misura in cui muoiono le nostre ambizioni e i nostri sogni di realizzazione. Perciò Dio chiama solo le persone che hanno a cuore ciò che Egli ha nel cuore.
Solo chi ama la chiesa può veramente servirla. Chi è innamorato del proprio ministero prima che delle persone che Dio ha salvate, sta ancora vivendo per se stesso, e quasi sicuramente è alla ricerca in chiesa di posizioni che non ha raggiunto nel mondo. Qualsiasi ministero – che, ricordiamoci, è servizio – perde la sua efficacia se la chiesa non precede ogni altra nostra gioia. Qualunque sia la tua chiamata, ricorda che non ti è stata rivolta per la tua propria soddisfazione.
Bene dice l’apostolo Paolo ai Corinzi: “Se soltanto per fini umani ho lottato contro le belve ad Efeso, che utile ne ho?” (1° Cor. 15:32). Egli era consumato dal desiderio di vedere compiuta l’opera di Dio, che è più grande di qualsiasi aspetto della nostra vita. Anche Gionathan, il figlio di Saul, era un uomo che aveva imparato che il bene di Israele era più importante della propria posizione di legittimo erede al trono. Dopo aver salvato Davide dalla morte, poté dirgli: “Non temere … tu regnerai sopra Israele, e io sarò il secondo … “ (1° Sam. 23:17).
La chiesa di oggi ha bisogno di uomini di questo calibro; non di gente che arde per il proprio ministero, ma di persone che diventano ministri perché mosse dal desiderio di vedere finalmente una chiesa gloriosa e potente.