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di Joe Tosini
Ad una recente conferenza per pastori, ospitata dalla nostra comunità, uno di essi ha domandato: “Perché siete così fanatici sul tema della chiesa locale? Non sono importanti anche quei ministeri che operano al di fuori delle chiese locali, con la TV, le scuole bibliche e le campagne di evangelizzazione? Voi proponete un tale impegno nella chiesa locale che, se facessimo come dite voi, tutti questi ministeri andrebbero in crisi”.
Io gli risposi con un’altra domanda: “Nella tua comunità, quale frutto hai avuto dall’assiduo sostegno dato a queste svariate opere esterne?” Egli ammise che, in effetti, la sua chiesa era in gravi difficoltà; per questo egli era venuto a cercare delle risposte dalla nostra conferenza sulla conduzione della chiesa locale! E aggiunse di avere notato che parecchie chiese che fanno come la sua si trovano anch’esse in difficoltà.
Il cantante cristiano Keith Green, prima della sua tragica morte, veniva ogni tanto dalle nostre parti; lo ospitavo a casa mia, e spesso siamo rimasti svegli tutta la notte a parlare insieme. Aveva un grande zelo per il suo ministero. Una notte continuava a ripetermi con insistenza: “Se sei così zelante per l’opera di Dio, cosa stai a fare in una chiesa? Mi sembra che tu faccia proprio sul serio; ma come è possibile che qualcuno che ha una visione ed è fervente per il Signore voglia stare in una chiesa?”
Stranamente, si è diffusa la mentalità che è incomprensibile avere zelo per la chiesa locale, mentre va benissimo avere una passione per le opere che esistono fuori delle chiese. La chiesa si è ridotta ad essere un luogo per spettatori, ma la vera azione è altrove.
Ora, non sto dicendo che queste opere siano sbagliate: probabilmente è stato Dio a volerle, almeno in parte. Ma non è con l’opera di pochi “grandi nomi” che Gesù conquisterà il mondo; questo avverrà solo quando tutti i credenti usciranno dalle tribune, smetteranno di fare gli spettatori e si impegneranno nell’opera di Dio!
Trionfo
Lo strumento privilegiato che Dio ha scelto per portare a termine il Suo trionfo è la chiesa locale: una chiesa che dovrà diventare visibile in ogni città e in ogni paese del mondo. I credenti dovranno esprimere un impegno molto più profondo che nel passato, e sarà allora che le comunità locali manifesteranno la potenza di Dio. Sono convinto che questo avrà sulla gente un impatto molto superiore di quanto non l’abbiamo con la carta stampata o i programmi TV via satellite.
Voglio dire che chi fa le pulizie nella vostra sala di culto deve avere lo stesso zelo di un Billy Graham, e una casalinga con sei figli lo stesso fervore di un Keith Green. Questo zelo nelle nostri, piccole chiese locali ci consentirà di cambiare la faccia delle nostre città. Possiamo vivere la nostra vita cristiana insieme in modo tale che la gente sappia che Gesù è veramente risorto!
Perciò, quando mi arrivano richieste di sostegno da fratelli impegnati in opere esterne alla chiesa locale, la mia risposta è sempre la stessa: “Io ho lo stesso zelo per la cosa di cui faccio parte come tu per la tua causa”.
Fare o essere?
In tredici anni di ministero, ho visto molte persone cadere lungo la strada. Sono partite in quarta, poi dopo un breve tempo, si sono fermate. Questo tipo di persona arriva, pieno di zelo, e chiede: “Che devo fare?” Ma questa è la domanda sbagliata da fare. Nessun individuo e nessuna chiesa può durare con la mentalità del “Che devo fare?” Piuttosto, il Signore vuole farci arrivare al punto di domandare: “Che devo essere?” Solo con questo fondamento potremo diventare veri discepoli, persone che resisteranno negli anni.
Chi ha capito che la questione è “Che devo essere?”, dedicherà tutta la vita e tutte le forze alla costruzione dei rapporti con i fratelli. Ha capito che la natura del cristianesimo non è vivere nell’isolamento e nell’individualismo, ma far parte di un qualcosa che è più grande di noi: la chiesa! È più importante la cosa di cui faccio parte, che non la parte che io ho in essa! Dio ci chiama, prima di tutto, ad essere parte del Suo popolo, membra del Suo corpo.
È vero che Dio assegna a ciascuno di noi un ruolo da svolgere, una “misura” diversa (F m. 12:3). Ma per possedere questa “misura” e farle portare frutto come Egli vuole, è necessario soddisfare le Sue condizioni, che sono rivelate in 1 Cor. 12:21,27: “L’occhio non può dire alla mano: lo non ho bisogno di te, né il capo può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi”. “Voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua”.
Due principi: dipendenza e appartenenza
Questo principio della dipendenza è fondamentale al cristianesimo: non posso raggiungere il pieno del mio potenziale in Cristo se non sono intimamente legato ai miei fratelli e se non dipendo da loro. Anche il grande apostolo Paolo iniziò la sua vita cristiana nella dipendenza da un umile, anonimo discepolo di nome Anania (Atti 9:9-18). È “nella misura del vigore di ogni singola parte”, e nella misura in cui “tutto il corpo è ben collegato e ben connesso, mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture”, che il Corpo di Cristo si può “edificare nell’amore” (Ef. 4:16).
Simile ad esso è il “principio dell’appartenenza”. Noi apparteniamo a Dio, siamo il Suo possesso più prezioso (Es. 19:5-6); e nella misura in cui Gli apparteniamo, anche noi Lo possediamo: “lo sono dell’amico mio; e l’amico mio … è mio” (Cant. 6:3).
Allo stesso modo, è nella misura in cui amiamo la chiesa, la consideriamo “nostra”, ci identifichiamo con essa, la stimiamo al di sopra di ogni altra nostra gioia (Sal. 137:6), soffriamo per le sue difficoltà ed esultiamo per le sue vittorie, che la chiesa diventerà forte e noi parteciperemo al suo trionfo. È solo se amiamo la chiesa, i nostri fratelli, che abbiamo visto, che possiamo dire di amare Dio che non abbiamo visto (1 Gv. 4:20).
Una squadra vincente
Il tipo di cristiano che Dio cerca possiede convinzioni incrollabili, una certezza del suo destino, e una profonda fedeltà alla persona di Cristo; è uno che può veramente dire “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Senza la consapevolezza che la propria vita è intimamente legata a Dio, il cristiano finirà per fare sempre lo spettatore.
Apparentemente, lo spettatore è molto coinvolto nella partita: si entusiasma, grida, dà il suo contributo economico. Ma si tratta sempre di cose da fare, non di quello che siamo. E rimaniamo liberi di arrivare in ritardo, di fermarci a mangiare il panino, e di andare via appena non abbiamo più gusto di stare là.
Ma sul campo di gioco, è un’altra storia. Arrivi presto e vai via tardi. Senti il peso e il sacrificio della partita. Ma quando arriva la vittoria, la puoi gustare appieno perché hai dato tutto te stesso per ottenerla.
Chiamati al lavoro
Per realizzare l’eterno disegno di Dio, c’è molto lavoro da fare. Gesù disse: “Il Padre mio lavora fino ad ora, e anch’io lavoro”. “Bisogna che io compia le opere di colui che mi ha mandato mentre è giorno; la notte viene in cui nessuno può lavorare” (Gv. 5:17, 9:4). Poi, quando Egli stava per lasciare questa terra, disse ai discepoli: “Andate … fate discepoli … insegnando loro a praticare tutte le cose che io vi ho insegnate …” (Mt. 28: 19-20). Non solo i discepoli dovevano lavorare, ma tutti coloro che avrebbero creduto alla loro parola avrebbero avuto ciascuno un lavoro da compiere.
Questo lavoro non si concluderà prima del Suo ritorno. E nella vita di ciascuno di noi individualmente, il lavoro che Dio ci ha chiamati a compiere può essere svolto soltanto mentre siamo in vita, non dopo che saremo morti! La morte, per un cristiano, non è la fine della sua vita; è soltanto la fine del suo lavoro (Apoc. 14:13).
Infatti, l’unico modo legittimo di ottenere il “biglietto” per entrare in tribuna e fare lo spettatore è quello di morire! In Ebrei 12:1, troviamo che gli eroi della fede dei secoli passati sono lì a riempire le gradinate dello stadio dell’universo, e fanno il tifo per noi, che ora stiamo sul campo di gioco a disputare la più grande gara dei secoli nella nostra generazione.
Questa gara è una staffetta. Ora, ti può sembrare che i cristiani delle generazioni passate abbiano accumulato tanto ritardo sugli avversari che ormai la gara è perduta e non c’è più nulla da fare. “La Chiesa è troppo piccola, troppo povera, troppo debole e non ce la farà mai; tanto vale metterci seduti e aspettare che venga Gesù!” Se è questa la nostra mentalità, Dio, dalla sua tribuna d’onore in cielo, dovrà dire: “Che disastro! Ora mi rimane solo da aspettare che muoiano tutti questi, e che nasca un’altra generazione disposta a correre a tutta forza con l’intenzione di vincere!”
Infatti, la Parola di Dio ci dice che la gara sarà vinta, che il terreno perduto sarà recuperato (è questo il significato della parola “restaurazione”). Ma perché la Chiesa trionfi, Dio ha bisogno di una generazione di cristiani disposta ad impegnarsi al cento per cento.
Perdere per vincere
È questa la ragione per cui Dio ci chiede di rinunciare alle nostre ambizioni e ai nostri desideri personali. Non è che Egli prenda piacere a vederti soffrire o a. privarti delle cose; ma ha tanto lavoro da affidarti, ha per te delle ambizioni così grandi e: dei desideri così forti, che non c’è spazio nella tua vita per nient’altro! È importante che sappiamo, non solo quello che dobbiamo sacrificare, ma soprattutto quello che dobbiamo abbracciare, il che è infinitamente più grande. Non c’è assolutamente paragone tra quello che dobbiamo perdere e quello che possiamo guadagnare!
Per questo siamo esortati a “a sbarazzarci di tutto ciò che è di peso… e correre con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù” (Ebr. 12:1). Tra questi “pesi” sono, per esempio, il desiderio di viaggiare e di vedere il mondo; di fare nuove esperienze e gustare tutto quello che la vita offre; di avere successo e diventare qualcuno che conta. La vita è troppo breve per poter fare tutte queste cose ed insieme compiere la nostra parte nel piano di Dio!
Gesù disse: “Il mio cibo è di fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua” (Gv. 4:34). Anche nel nostro caso, quello che ci nutre e ci dà forza è compiere l’opera di Dio. È importante, dunque, che abbiamo la visione dl quale sia questa “opera di Dio”.
In Colossesi 1:18, è scritto: “… affinché in ogni cosa, Cristo abbia il primato”. Noi, il popolo di Dio, dobbiamo dimostrare la supremazia di Cristo in qualunque ambiente dove ci troviamo: nel lavoro, negli affari, nella famiglia, in ogni cosa! Un fratello della mia comunità è il gestore di una gelateria. Fa questo perché ha una chiamata da Dio, esattamente come io ho la chiamata ad essere il pastore della chiesa. La sua chiamata è quella di stabilire la supremazia di Gesù nel settore dei gelati: la sua gelateria fa i migliori gelati della città, dà il migliore servizio, ed ottiene i più alti guadagni, per il Regno di Dio! Un altro è titolare di una concessionaria di automobili: la sua chiamata è di dimostrare la supremazia di Gesù nel campo delle automobili.
Dunque, al lavoro! Abbiamo una sola vita da spendere sulla terra. La nostra morte fisica segnerà la fine, non della nostra vita, ma del nostro lavoro. Un grande lavoro ci aspetta: dobbiamo compiere le opere di Dio mentre è ancora giorno.
L’opera alla quale Dio ci ha chiamati è quella di costruire una chiesa che dimostri la supremazia di Gesù in ogni cosa. Come al tempo di Salomone vennero i re di tutte le nazioni per ascoltare la sapienza di Salomone e meravigliarsi della magnificenza del suo regno, così Dio intende che la Sua chiesa sia una chiesa gloriosa, ammirata da tutte le nazioni della terra, suprema in ogni settore della vita (Ef. 5:27, Is. 60:2-7). Alleluia!
Tutti gli articoli di questo numero sono basati sui messaggi predicati durante la Conferenza Biblica (“Spirito e Vita” tenutosi a Pescasseroli nel mese di agosto 1986.