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Emilio Ursomando
“Andate, dunque, e fate diventare miei discepoli gli uomini di tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandate” (Matt. 28:19-20).
Queste parole definiscono il mandato della chiesa, che non è solo quello di annunciare l’evangelo, ma anche di portare ogni uomo a diventare un discepolo di Gesù. E poiché nessuno può discepolare senza essere stato prima discepolato egli stesso, bisogna che la chiesa, oltre a credere, impari a “praticare” per prima gli ordini lasciati da Cristo nella sua Parola.
Ciò che Dio ha in mente è una comunità di “discepoli”, non solo di “credenti”. La scarsa attitudine al servizio, al sacrificio e all’ubbidienza, presenti spesso nelle chiese, denuncia invece un’altra realtà: molti, pur essendo diventati cristiani, non sono, in realtà, mai diventati “discepoli”. E la cosa non è così automatica come potrebbe apparire.
Folla e discepoli
L’evangelista Matteo (5:1) individua due categorie di persone intorno a Gesù: la folla e i discepoli. A prima vista sarebbero potuti apparire tutti discepoli, ma in realtà c’erano due categorie di persone che ruotavano intorno al Signore. Ed anche nelle nostre chiese, se guardiamo bene, sembra di poter individuare gli stessi due tipi di “cristiani”.
La folla è composta da quelli che si limitano ad “entrare” nel Regno, a “ricevere” il Regno. Sono quelli che dicono: “Non ho grandi ambizioni. Mi accontento di un posticino in paradiso”. Hanno la salvezza, ma poi … nient’altro. Sono uguali alle folle che seguivano Gesù. E poi ci sono i discepoli: sono quelli che “estendono” il regno, quelli che sono pronti a farsi seme, a cadere in terra e a morire perché l’albero di Dio possa crescere (Giov. 12:24).
Qual è la differenza? La “folla” viene per essere benedetta, per essere sfamata, per vedere miracoli. Ma appena il discorso si fa impegnativo, volta le spalle e se ne va. Non puoi contare sulla folla. Quando c’è bisogno di servire, si dilegua come la nebbia. Puoi riconoscerla anche da questo: nonostante gli anni, rimane sempre nella mediocrità. E non perché non sia capace di crescere, ma perché non vuole. La folla sembra umile, e in realtà non ha grandi aspirazioni … ma solo perché sa che, per diventare grande, deve imparare a servire. E non vuole servire: vuole essere sfamata e vedere miracoli.
A quale categoria appartieni tu? E come classificheresti la tua chiesa? È importante saperlo. Per il nostro servizio nel Regno di Dio dobbiamo sapere se siamo circondati dalla folla o da discepoli.
Matteo dice che “i discepoli si accostarono” (5:1). I discepoli si avvicinano, cercano il contatto con la loro guida. La folla, invece, conserva sempre una “distanza di sicurezza”. I discepoli crescono nella comprensione e nella rivelazione delle cose del Regno, ma la folla rimane cieca: la stessa distanza che la tiene al sicuro, le impedisce di ascoltare le rivelazioni che invece Gesù condivide con i discepoli (Matt. 13:18).
In più, la folla non farà mai l’esperienza della potenza. Il mandato di Gesù è per i discepoli. Le sue parole: “Io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni e tutta la potenza del nemico” sono rivolte ai discepoli, non alla folla (Luca 10:19).
Dobbiamo capire che, se vogliamo vivere la vera vita di Dio, non basta aver creduto e nemmeno credere oggi. Bisogna diventare discepoli: rinunciare realmente a noi stessi, prendere la nostra croce e incamminarci sulla strada dell’ubbidienza, dietro Gesù. Questo è molto più che credere in Dio, leggere la Bibbia o andare al culto una o due volte la settimana!
Il discepolo ama
La strada del discepolato si può percorrere solo per amore. Se molti, ad un certo punto del loro cammino, vengono meno e si fermano, non sempre è perché sia venuta meno la fede; più spesso è venuto meno l’amore. Solo se amiamo Dio più delle cose, riusciremo a percorrere fino in fondo la strada dell’ubbidienza. Dema non lasciò Paolo perché perse la fede, ma perché perse l’amore (2° Tim. 4:10).
Più che la fede, la vera forza di Gesù era l’amore. Egli amava il Padre più di se stesso. Vediamo questo in Giov. 12:20-28. E un momento difficile per l’Agnello di Dio. L’ora del sacrificio è ormai prossima e un forte turbamento lo assale. È il momento della scelta: “Ora è turbata l’anima mia; e che dirà? Padre, salvami da quest’ora! Ma è per questo che sono venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!” (v. 27). Fu l’amore per il Padre che portò Gesù ad affrontare ed a superare il momento dell’angoscia.
Discepoli apparenti
Sembriamo tutti discepoli la domenica al culto, ma è nei momenti difficili che si vede chi sono i discepoli e chi, invece, appartiene alla folla.
“… Ora è turbata l’anima mia: e che dirò?” Quando è turbata l’anima tua, quali parole sente Dio dalla tua bocca? “Padre, salvami!”? O: “Padre, glorifica il tuo nome!”? È qui la differenza. Sono le nostre reazioni, le nostre scelte a bloccarci tra la folla o a spingerci sul sentiero dei discepoli.
La verità è che ci sono tre categorie di persone, non due: la folla, i discepoli e … i “discepoli apparenti”. Camminano, cantano e pregano insieme agli altri discepoli. Non c’è nulla in loro che li faccia ritenere diversi. La differenza appare solo quando Dio smette di dare soltanto, e comincia a chiedere.
Vediamo questo in Giov. 6:66. Appena il discorso di Gesù cominciò a farsi impegnativo, “molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro e non andavano più con lui”. Chi sarebbe così sciocco da andarsene quando si mangia, si beve, si viene coccolati e guariti? No, presero a ritirarsi quando Gesù cominciò a chiedere loro un coinvolgimento pratico e un’identificazione totale con Lui. Fu allora, quando avvertirono il pericolo, che presero le distanze di sicurezza, rivelando così dove era ancora il loro cuore.
Dio creerà tempi duri nella nostra vita per farci capire chi siamo realmente; creerà tempi difficili nella chiesa perché siano individuati i discepoli e la folla. Dobbiamo sapere chi siamo e che cosa siamo veramente pronti a fare per Dio.
Lucertole
Spesso facciamo come le lucertole. Credo che tutti noi, da bambini, ne siamo andati a caccia. Almeno io l’ho fatto.
Faceva molto caldo. Avanzavo lentamente tra l’erba per catturarne una. La intravidi e mi lanciai per prenderla, ma mi sfuggi sotto l’erba. La cercai con lo sguardo finché notai un nuovo movimento tra l’erba. Mi avvicinai fino a pochi centimetri, poi con un rapido colpo di mano aprii l’erba e guardai. Ero convinto che vi avrei trovato la lucertola, ma davanti a me non c’era altro che … una coda!
Quella mattina scoprii che la lucertola usa questo stratagemma per sfuggire alla cattura. Volontariamente rinuncia alla coda, che continua ad agitarsi tra l’erba ingannando il nemico, per salvarsi la vita.
Ma cosa c’entrano le lucertole con noi? C’entrano, eccome. Perché spesso ci comportiamo proprio come loro: cerchiamo di far credere di essere da una parte, mentre in realtà siamo da tutt’altra parte. Anche con Dio tentiamo di comportarci come lucertole, tentiamo di cedergli solo la “coda”, mentre Egli ci sta chiedendo la vita. Ma con Dio non funziona!
Dio ha dato la sua Parola, che rimane stabile. Egli ha detto chiaramente che, a meno che non rinunciamo veramente a tutto noi stessi, non possiamo essere suoi discepoli (Luca 14:25- 27). È la rinuncia che fa di un uomo un discepolo; l’egoismo, invece, lo trattiene tra la folla. C’è un costo da pagare. Ma non abbiamo alternative: non basta credere, Dio ci chiama a diventare discepoli.
Sottomissione e fiducia
Esaminiamo ora alcune altre qualità che contraddistinguono un discepolo, non per stabilire delle “classi” nella chiesa, ma per avere tutti la possibilità di confrontarci con le aspettative di Dio e, nel caso, per fare il salto e passare dalla riva della “folla” a quella dei “discepoli”.
Un discepolo non mette la sua fiducia in se stesso (sa che deve imparare), ma ha fiducia nel suo maestro e si sottomette alla sua parola… anche se non è d’accordo. Probabilmente alcuni dissentiranno da questa affermazione, ricordando che abbiamo la guida dello Spirito Santo. Ma non è l’unica nostra guida! Non basta essere sottomessi allo Spirito. Dobbiamo anche sottometterci alla Parola di Dio che, a sua volta, ci dice di sottometterci alla guida dei ministeri stabiliti da Dio nella chiesa (Ebr. 13:17)!
Molti errori sono stati compiuti e molte barriere sono state alzate nella migliore buona fede, più per un difetto di conoscenza che di buona coscienza. Troviamo questo in Luca 22:31-34, dove Pietro, certamente in buona fede, dissente dal giudizio espresso su lui da Gesù. Il problema nacque dal fatto che Pietro era convinto di conoscere se stesso: “Io non ti tradirò mai, Signore! Gli altri forse sì, ma io mai! Tu non mi conosci, non sai l’amore che ho per te. Io sarei pronto anche a morire per te”. Queste, più o meno, le sue parole.
La causa principale della sua caduta fu che dimenticò di essere soltanto un “discepolo”, ancora impegnato cioè a conoscere la verità, anche su se stesso. Si fidò di ciò che sentiva nel cuore e questo lo portò a sottovalutare le parole del suo maestro. La conseguenza? Possiamo leggerla al v.62: “E uscito fuori pianse amaramente”.
Potremmo risparmiarci molti pianti amari se ci fidassimo un po’ più delle autorità stabilite da Dio e un po’ meno di noi stessi. In Proverbi 3:7 è scritto: “Non ti stimare savio da te stesso”. Pietro trascurò questa esortazione e cadde. Facciamo attenzione a non imitarlo!
Decidiamo di fidarci maggiormente degli uomini che Dio ha stabilito sopra di noi e sottomettiamoci con spirito mansueto alle loro indicazioni e direttive. Questo ci risparmierà lacrime e giorni (se non mesi o anni) di confusione spirituale e di deserto.
Fedele
Il requisito che Dio cerca, prima di ogni altro, in un discepolo non è la forza, ma la fedeltà. La fedeltà garantisce che si manifesterà in futuro la forza (Giov. 12:26), ma la presenza della forza non garantisce la fedeltà. Scrivendo a Timoteo per consigliargli a chi trasmettere il deposito che era in lui, Paolo gli raccomanda di individuare uomini “fedeli” (2° Tim. 2:2). Non forti, ma fedeli!
Il discepolo, quindi, non è un “super”. Si può essere fragili ed essere discepoli, così come si può essere forti ed appartenere alla folla. Il discepolo, proprio come Pietro,
può anche cadere, ma è uno che, quando questo accade, è pronto a riconoscere i propri errori, a rialzarsi e a riprendere il suo cammino con Dio.
Dio un giorno mi disse: “Non mi interessa tanto quante volte cadi, ma come, con quale spirito, ti rialzi”. Pietro fu perdonato e ristabilito da Gesù, cosa che invece non avvenne per Giuda. La spiegazione è semplice: Pietro rinnegò il Figlio di Dio per paura, Giuda lo tradì per malvagità. La paura non è un peccato, il tradimento sì. La paura ha come origine la nostra debolezza, il tradimento nasce dalla nostra malvagità che ci rende increduli e quindi infedeli (Ebr. 3:12).
Un vero discepolo è fedele, non abbandona. Potrà tremare, potrà anche abbandonarti, ma tornerà; a testa bassa, forse, ma tornerà a riprendere il giogo del suo Dio, perché il suo cuore è lì.
Sa apprezzare Dio
“Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino …” (Ebr. 11:4). Caino non ritenne che Dio fosse degno delle primizie dei suoi campi, Abele invece rivelò il valore che aveva per lui Dio, offrendogli la primizia, i primogeniti del suo gregge. “E l’Eterno guardò con favore Abele e la stia offerta, ma non guardò con favore Caino e l’offerta sua” (Gen. 4:4-5). Come ti sta guardando Dio? Qual è la qualità della tua offerta al Signore?
Un discepolo sa apprezzare e valutare degnamente il suo Signore. “Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” protestò Giuda, il giorno in cui Maria unse di un prezioso olio odorifero i piedi di Gesù. Sembrava interessato ai bisognosi della città, ma la testimonianza che dà su lui lo Spirito Santo è ben diversa: “Diceva così, non perché si curasse dei poveri, ma perché era ladro e, tenendo la borsa, ne portava via quello che vi si metteva dentro” (Giov. 12:6). Era tra i discepoli, ma era un ladro. Le motivazioni del suo cuore erano impure, seguiva Gesù, ma solo per il vantaggio che poteva trarne.
Giuda fu chiamato tra i discepoli, gli furono offerte le stesse possibilità che ebbero Pietro e Giovanni, ma fallì miseramente e perse il dono di Dio perché, nei momenti importanti, non seppe fare bene le sue scelte, non seppe apprezzare e valutare degnamente il suo Signore.
È un atteggiamento presente da sempre nella chiesa. Più volte gli apostoli ne hanno parlato e i profeti hanno tuonato contro di esso. Consideriamo un brano per tutti, Malachia 1:6- 8,14:
“Un figlio onora suo padre, e un servo il suo signore; se dunque io sono padre, dov’è l’onore che mi è dovuto? E se sono signore, dov’è il timore che m’appartiene? … Voi offrite sul mio altare cibi contaminati, e dite: ‘In che t’abbiamo contaminato?’ … Quando offrite una bestia cieca per immolarla, non è male? Quando ne offrite una zoppa o malata, non è male? Presentala dunque al tuo governatore! Te ne saprà egli grado? Avrà egli dei riguardi per la tua persona? dice l’Eterno degli eserciti … Maledetto il fraudolento che ha nel suo gregge un maschio, e vota e offre in sacrificio all’Eterno una bestia difettosa! Poiché io sono un re grande, dice l’Eterno degli eserciti, e il mio nome è tremendo fra le nazioni”.
Quante volte anche noi offriamo vittime zoppe, malate, rubate, consacrazioni imperfette al nostro Dio e poi ci meravigliamo di non vedere la sua gloria nella nostra vita! Ma se il fuoco non scende dal cielo è perché il sacrificio è impuro, inaccettabile per Dio. Paolo ci ricorda di presentare al Signore un “sacrificio vivente, santo, accettevole a Dio” (Rom. 12:1). Non basta offrire un sacrificio: anche Caino lo fece. Dio aspetta da noi un sacrificio “accettevole”.
Puoi riconoscere la folla da questo: è disposta a dare a Dio solo gli “avanzi”. Il discepolo è uno che ama e sa valutare il suo Dio più di ogni altra persona o cosa.
Segue per servire
“La folla, dunque, quando l’indomani ebbe visto che Gesù non era là; né che vi erano i suoi discepoli, montò in quelle barche e venne a Capernaum in cerca di Gesù. E trovatolo di là dal mare gli dissero: ‘Maestro, quando sei giunto qua?’ Gesù rispose loro e disse. ‘In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete veduto dei miracoli, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati’“ (Giov. 6:24-26). Lo cercavano, ma non perché lo amassero o volessero seguirlo. Non erano interessati alle cose spirituali, quanto a se stessi.
“Voi mi cercate perché avete mangiato dei pani”! Gesù mise a nudo le loro vere motivazioni. La folla segue or il proprio interesse, ma il vero discepolo segue per servire. Non ha obbiettivi personali, tutto quello che desidera è aiutare il suo maestro nella sua missione.
Guardiamo Eliseo, il profeta di Dio. Come cominciò e come si sviluppò il suo ministero? Egli si è messo al servizio di Elia. La Scrittura ce lo presenta come colui che “versava l’acqua sulle mani di Elia” (2° Re 3:11). Ha camminato alla sua ombra, non ha mai cercato di emergere, il suo desiderio era solo quello di essere vicino all’unto di Dio e di sostenerlo, di proteggerlo. Questo suo amore per Elia fu ciò che gli permise di essere dove tutti gli altri non erano arrivati (2° Re cap. 2) e di ricevere su di sé il mantello del profeta.
C’è un grande insegnamento qui. Se vuoi crescere nel ministero, servi colui che Dio ha messo sopra di te. Non impegnarti per il tuo ministero, ma per il suo. Impegnati a costruire la sua immagine, non la tua; preoccupati della sua vita, non della tua. Se farai così, se servirai fedelmente, nel tempo stabilito da Dio vedrai l’unzione di quell’uomo venire sopra di te e forse ne riceverai una misura doppia.
Non tutti siamo chiamati ad essere pastori o evangelisti, ma tutti possiamo esercitare un ministero che non è meno prezioso degli altri: il ministero del sostegno. I leaders hanno bisogno di essere sostenuti. Chi pensa di non averne bisogno sta illudendo se stesso (Eccl. 4:9-10). Gesù stesso si aspettava questo dai suoi discepoli. “Allora disse loro: ‘L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me’“ (Matt. 26:38). Non sapremo sostenere chi è davanti a noi, se saremo ancora a preoccuparci e a vivere per noi stessi.
Chi si preoccupa di se stesso fa parte della folla. Il discepolo segue per servire. Perché seguiamo Gesù?
E perché siamo nella chiesa? Per il nostro pane o per il Suo regno? Per essere serviti o per servire? Per diventare grandi o per sostenere gli altri?
Forse in questo contesto si comprende meglio il senso della richiesta di Gesù: “Se uno vuole venire dietro une, rinunci a se stesso” (Luca 9:23). A volte prendiamo sottogamba questa frase, ma la realtà rimane ed è che senza aver rinunciato veramente a noi stessi, non ce la faremo a seguire Gesù.
Dio verificherà la nostra disponibilità e la nostra reale consacrazione. Abramo aveva già lasciato Ur, la sua terra e la sua gente, aveva già camminato con Dio per anni, sembrava possedere tutti i requisiti, ma Dio verificò ancora una volta le sue attitudini, e lo fece chiedendogli Isacco, la cosa più preziosa che avesse.
Il nostro cuore tende ad “attaccarsi” alle cose e agli affetti di questo mondo. Per questo, anche se abbiamo camminato fedelmente per anni con Dio, Egli all’improvviso può decidere di sottoporci a verifica. La verifica è preziosa per noi, mette a nudo il nostro cuore, liberandoci dai suoi inganni.
Sentiamo quale fu la testimonianza di Dio su Abramo, dopo la verifica: “Ora so che temi Dio, perché non mi hai rifiutato il tuo. figliuolo, il tuo unico”. Possiamo pensare di aver già superato gli esami, solo perché abbiamo dato qualche prova di amore al Signore. Così forse pensava anche Abramo, ma per Dio non era così. Forse anche per noi la vera prova della nostra fedeltà deve ancora venire. Esaminiamo i nostri cuori, per essere trovati capaci di rispondere come Abramo e per ricevere la sua stessa benedizione (Gen. 22:16-18).
Esame
Vogliamo farci adesso delle domande per comprendere dove ci vede Dio: tra la folla o tra i discepoli.
- Quanto vale Dio per te? Cosa gli dai, le primizie o lo scarto? Lo ami più di tua moglie, di tuo figlio, della tua casa, della tua auto, della tua carriera, della tua dignità? A chi (o a cosa) stai dando il tuo tempo, i tuoi soldi, i tuoi talenti, il tuo cuore? Qualunque sia la tua risposta, sappi che Dio ti sottoporrà a verifica, ti farà conoscere la verità su te stesso.
- Hai calcolato bene il costo della chiamata? Hai contato i mattoni di cui disponi? Hai esaminato il tuo esercito, cioè la tua fede e la tua disponibilità a combattere (Luca 14:28-32)? Altrimenti la gente riderà di te… e tu piangerai su te stesso.
- Hai deciso di sottometterti alla Sua parola e ai ministri che Egli ha stabiliti sopra di te, e di non fidarti troppo di te stesso? (Ricorda l’esperienza di Pietro!) Se l’hai deciso veramente, forse lo Spirito ti sta facendo sentire che devi andare ad esprimere fedeltà e sottomissione a un fratello o forse anche al Signore. Fallo! Questo ti porta fuori dalla folla e ti colloca tra i discepoli.
- Sei disposto all’ubbidienza assoluta? A rispondere, cioè, anche nelle difficoltà: “Signore, non la mia, una la tua volontà sia fatta”? Se lo desideri, ma non riesci, chiedi aiuto ai tuoi responsabili spirituali.
- Perché segui Gesù? E perché segui il tuo pastore? Per servire o per ricevere? Per il Regno o per te stesso?
- Hai scelto di trattenere le mani sull’aratro, senza mai voltarti indietro? (Luca 9:62). Sappi che dobbiamo staccare il nostro cuore dal passato. Esso ha su noi lo stesso effetto che ebbe sulla moglie di Lot: ci paralizza e ci toglie, la giusta visione delle cose.
Infine
Se hai risposto sinceramente a queste domande, ti sarai già fatta un’idea abbastanza chiara di dove sei spiritualmente. Voglio darti ora qualche suggerimento che, credo, potrà rendere più rapido e diritto il tuo cammino con Dio:
– Sii fedele nelle piccole cose di oggi e Dio ti stabilirà in cose più grandi, perché chi non è fedele nelle cose minime non lo sarà neanche nelle grandi (Luca 16:10);
– Comincia ad ubbidire nelle cose che Dio ti mostra oggi. Molti aspettano sempre di ricevere una grande visione con un grande mandato … che non arrivano mai. Servi Dio in quello a cui Dio ti chiama oggi, questo consentirà una rivelazione più grande della volontà di Dio nella tua vita.
Ricorda: è la nostra ubbidienza di oggi a determinare il nostro ministero di domani. Servi il ministero che Dio ha messo oggi sopra di te e onoralo, e Dio non mancherà di onorarti. Non starlo a valutare con la tua sapienza. Fino a prova contraria sei tu il discepolo e lui è il maestro. Rispetta i ruoli che Dio stabilisce in mezzo alla chiesa e Dio rispetterà il tuo nome, accrescendoti nel suo regno.
C’è un futuro per ognuno di noi, ma prima del futuro c’è il presente. Il nostro futuro è condizionato dalle scelte e dai comportamenti del nostro presente.
Non potremo accusare nessuno. Noi decidiamo, oggi, dove saremo domani: se indietro, tra la folla, o se tra i discepoli, più accanto a Gesù, con rivelazioni più grandi. Che sia così, per ognuno di noi!