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di Giovanni Traettino
Il principio del discepolato è strategico per la crescita e la continuità della Chiesa: “… le cose che hai udite da me … affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri” (2° Tim. 2:2).
Si tratta di un concetto che si applica in ogni tempo e ad ogni vocazione e cultura. I modi e le forme possono variare ma l’essenza rimane quella di una persona che insegna ad un’altra come fare qualcosa.
Formazione del carattere e formazione al servizio sono nell’ordine le aree su cui lavorare per prepararsi a discepolare tutte le nazioni. Questa azione sarà tanto più efficace quanto più inserita nel contesto di una chiesa locale che sta cercando di vivere e mettere in pratica in tutti i modi questi obiettivi e questa visione.
L’atmosfera della comunità locale è vitale anche perché il discepolo veda funzionare leaders e insegnanti nelle aree e nei soggetti che fanno parte del suo cammino di formazione. La presenza e la potenza di Dio dovrebbe riscaldare questo ambiente.
A contatto quotidiano con la vita e con gli altri fratelli, i discepoli evidenzieranno gli aspetti forti e quelli deboli dei loro caratteri, le fedeltà e le insufficienze nel servizio e saranno aiutati a sottomettersi alle discipline spirituali che sono la via all’intervento di Dio per la loro liberazione e la loro maturazione.
Il “maestro” sarà davanti ai discepoli sia con la vita che con la parola. L’esempio da solo non è sufficiente. Né lo è la parola. I due devono camminare insieme.
Il lavoro sarà essenzialmente interno, fatto soprattutto di esplorazione della vita profonda (attitudini, motivazioni, abitudini e mentalità). I risultati sono esterni e misurabili.
Il maestro ricorderà continuamente a se stesso che la giustizia è un dono di Dio. Lo sforzo umano e l’esercizio della volontà sono impotenti a purificare il nostro cuore. La trasformazione interiore è l’opera di Dio. La legge è aperta al rischio dell’esteriorità e della superficialità. La grazia non ce la possiamo guadagnare. Ma neppure è a buon mercato: c’è un prezzo da pagare.
Se vogliamo crescere, dobbiamo consapevolmente decidere di metterci davanti a Dio, sia come individui che come chiese locali, e li dargli appuntamento perché Egli operi la trasformazione di cui abbiamo bisogno. Questo è lo scopo della disciplina. Questo è il senso del discepolato.
Studio e meditazione della Parola di Dio, sottomissione, digiuno, preghiera, servizio e adorazione hanno tutti questa funzione: farci incontrare con l’Autore della nostra salvezza perché ci comunichi e faccia aumentare la Sua vita in noi. Si tratta di strumenti, non di “opere buone” che possano guadagnarci l’approvazione di Dio. Da sole, e liberate per così dire dal rapporto con Dio, possono renderci più religiosi, ma non più spirituali.
Il “maestro” sarà altresì attento al tempo, al luogo e al clima dei suoi incontri con i discepoli. Un’atmosfera informale e distesa è sempre grandemente desiderabile. Darà quindi una cura sensibile alle reali difficoltà del discepolo, evitando però di finire prigioniero della ragnatela di bisogni e di debolezze di persone apparentemente fragili ma con un forte ego.
Guai quando viene a mancare il senso della direzione, della necessità di fuoriuscire dall’ego, per mettere al centro della vita del credente Gesù Cristo e la sua casa, che è la Chiesa.
Il servizio pratico è uno strumento di crescita e di verifica decisivo, importante almeno quanto le attività “spirituali”.
La virtù più importante che si deve costruire nel discepolo è l’umiltà. Non un’umiltà strumentale, ma l’umiltà di chi diventa consapevole della propria impotenza, dipendenza e limitatezza; l’umiltà di chi sa di essere solo una parte, di chi sa che ha sempre da imparare e ricevere dagli altri; l’umiltà di chi ha messo il suo cuore e la sua gioia nell’edificazione della chiesa.
Il “maestro” infine conserverà anch’egli sempre uno spirito umile, grato al Signore per il cammino fatto, consapevole della grande responsabilità che gli è affidata, sempre pronto ad aprirsi al Signore che gli viene incontro per aiutarlo a portare a termine e a perfezionare il cammino che gli resta da fare.
A termine di queste considerazioni desidero sottolineare che noi, a questo punto della nostra esperienza, siamo profondamente consapevoli della necessità di continuare nella riflessione e nella messa a punto di un processo di discepolato che sempre meglio traduca in pratica le cose che abbiamo fin qui comprese.