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di Ernest Bretscher sr.
Anni ’50. Convertito da qualche anno, ero membro di una chiesa pentecostale di Losanna in Svizzera.
Già in quegli anni si pregava assiduamente per un risveglio spirituale e per un ritorno a una vita comunitaria simile a quella della chiesa primitiva. Eravamo assetati di crescita, di potenza, di miracoli.
Allora venne ciò che sembrava essere la risposta di Dio. Organizzata dagli “Uomini d’affari del pieno vangelo”, accompagnata da un’estesa pubblicità e coinvolgendo anche la nostra chiesa, fu annunciata una campagna evangelistica quale la Svizzera non aveva mai conosciuta. Enormi manifesti proclamavano dalle mura della città: “I ciechi ci vedono, i sordi odono, i paralitici camminano e il Vangelo viene annunciato”. Degli evangelisti famosissimi in America stavano per “invadere” la Svizzera. Tra i nomi allora sulla cresta dell’onda erano Tommy Hicks, David Nunn, il “profeta” William Branham, T. L. Osborn e altri.
L’organizzazione fu gigantesca. Enormi tendoni furono alzati per accogliere circa diecimila persone. Treni, autobus e tram furono mobilitati per corse speciali e la folla accorse portando i malati. Arrivarono innumerevoli sedie a rotelle; le ambulanze portarono i malati dagli ospedali. In breve, si era data appuntamento tutta la tremenda sofferenza dell’umanità.
Io stesso, sia a Losanna che a Ginevra, ho fatto parte del servizio d’ordine, appostato presso l’enorme palco dei predicatori, in primissima fila dunque e in un ottimo posto d’osservazione.
Quasi senza eccezione, la predicazione era basata su quel che si può chiamare “il vangelo dell’abbondanza e del successo” o, come lo esprimeva il titolo di una pubblicazione, “del corno di abbondanza”. Il succo del messaggio sembrava essere: “Più dai al Signore, più ne riceverai. Il Signore vuole darti l’abbondanza fisica …” (venne infatti sottolineata prevalentemente la guarigione del corpo) “… nella misura in cui tu gli offrirai dei tuoi beni materiali”.
Avvertivo un senso di disagio indescrivibile davanti allo spudorato, insistente invito – della durata di quasi un’ora – ad avvicinarsi al palco per depositare nelle apposite cassette le offerte di denaro. La predicazione non iniziava fino a quando le offerte non avessero raggiunto ciò che gli organizzatori consideravano una cifra adeguata.
Un altro “choc” mi venne dal modo in cui si trattavano i malati. Il predicatore o “profeta” di turno pregava personalmente per 15-20 persone al massimo e poi, dopo una preghiera generale per gli altri, se ne andava a riposare in albergo, mentre centinaia di malati delusi e amareggiati cadevano in una rassegnazione ancora più profonda. E se non erano guariti, se la pubblicizzata guarigione dei ciechi, dei paralitici e dei sordi non avveniva, la “colpa” era soltanto loro per non aver avuto fede nella parola comunicata dal predicatore: ecco la semplice spiegazione data loro. Oltre a non vedere la guarigione del corpo, furono anche colpevolizzati e feriti nel loro spirito e nella loro anima.
Questi episodi ed altri non meno sconvolgenti hanno profondamente segnato il ministero che, alcuni anni dopo, il Signore Gesù mi ha affidato e che tuttora svolgo in Calabria.
Un messaggio incompleto
Ora, fino ad oggi non ho alcun dubbio che il Signore Gesù desideri la guarigione sia del corpo che dell’anima e dello spirito. Il suo sacrificio espiatorio è sufficiente per ogni bisogno dell’uomo.
Ma parimenti, non c’è dubbio che, perché le guarigioni possano verificarsi, Dio ha posto delle condizioni precise, fra le quali la fede – per quanto importante – è solo una. Far dipendere dalla sola fede nelle promesse di Dio la soluzione di ogni problema umano, sia esso fisico, economico, lavorativo, emotivo o matrimoniale, vuol dire presentare un Vangelo squilibrato e sbilanciato che troppo spesso provoca turbamenti, depressioni, frustrazioni, sensi di colpa e di abbandono, perfino ribellione contro Dio.
A mio avviso si cita troppo spesso fuori contesto le promesse di Dio che si estendono a tutte le necessità del credente, come quella famosa contenuta in Marco 11:23-24: “Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete”.
Questa promessa è strettamente legata al comandamento di perdonare agli altri e di togliere dal proprio cuore ogni risentimento, odio e atteggiamento di rigetto o di rifiuto verso chiunque mi abbia ferito o offeso. Solo allora il braccio di Dio si potrà muovere con forza.
Anche la meravigliosa promessa di Dio contenuta nel libro di Giosuè, di far prosperare la mia vita e di far riuscire tutte le mie imprese, è strettamente collegata e condizionata dal comandamento di meditare la Parola di Dio “giorno e notte”, di non allontanarla mai dalla bocca e di mettere in pratica tutto quanto vi è scritto (Giosuè 1:1-9).
La preoccupazione di Paolo era quella di annunciare tutto il consiglio di Dio per non rendersi colpevole verso il popolo di Dio. Annunciare un Vangelo squilibrato può renderci colpevoli davanti a Dio e agli uomini.
Non voglio nascondere che anch’io sono stato molto influenzato da quella corrente spirituale che sottolinea con grande forza il messaggio della fede (Oral Roberts, E. W. Kenyon e altri). Ma davanti alla realtà che non sempre “funzionava” come ci si aspettava, ho dovuto arrendermi all’evidenza che ci sono tanti altri fattori da non tralasciare perché Dio possa intervenire con mano benedicente nella vita dei credenti. Molto onestamente mi sono messo in discussione, rifiutandomi di colpevolizzare i credenti ogni volta che il risultato si presentava deludente.
A poco a poco lo Spirito Santo mi ha condotto a valutare meglio il problema nel suo insieme e ad affrontarlo da un’angolazione diversa, più corrispondente alle esigenze di Dio per quanto concerne la santità della persona, invece di ricercare soltanto un evento spettacolare o miracoloso finalizzato soprattutto alla reputazione del predicatore.
Il risultato di questo diverso approccio al problema posto dal bisogno del credente è stato molto positivo, perché si affronta non solo l’aspetto “fede”, ma anche le questioni del peccato, degli eventuali legami occulti, del perdono e soprattutto dell’ubbidienza alla Parola.
Tutti aspetti sui quali è necessario concentrare l’attenzione, e che quasi sempre impediscono un atteggiamento di vera fede, che non sia cioè soltanto frutto di uno sforzo mentale o una presunzione basata sull’autoconvincimento.
In breve, credo di aver scoperto personalmente, “sulla mia pelle”, dei grossi errori da evitare per trasmettere un Vangelo autentico ed equilibrato che porti il credente a una posizione di fiducia, di riposo, di pace, di armonia e di stabilità; tutte condizioni essenziali perché lo Spirito Santo – che è anche Spirito di fede – possa formare il Regno di Dio nelle persone.