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di Emilio Ursomando
La chiesa è un meraviglioso luogo di pace, ma può trasformarsi di colpo in un doloroso luogo di incomprensioni e conflitti: conflitti fra coniugi, conflitti tra credenti, e a volte, purtroppo, nascono anche conflitti tra coloro che occupano posizioni di autorità.
Tutte queste tensioni, causate per lo più da immaturità o da orgoglio, si traducono inevitabilmente in sospetti, rivalità, maldicenze, fino a concludersi, nei casi più gravi, in dolorose divisioni, che turbano la pace della comunità e indeboliscono l’opera di Dio.
Se può bastare a consolarci, è un problema che ritroviamo tra gli stessi apostoli di Gesù. In Marco 9:34 leggiamo che “discutevano” animatamente, litigavano tra di loro. Su cosa? “Su chi fosse il più grande”.
Proprio il modo in cui Dio ha stabilito che sia costruita la chiesa (nella cooperazione) è causa di conflitti.
Paolo (1° Corinzi 12) ci parla della necessità della collaborazione del piede, della mano, dell’occhio, per un corretto funzionamento del corpo. La “diversità” è dunque secondo Dio, ma la diversità deve muoversi nel rispetto delle diverse funzioni affidate da Dio alle varie membra.
Gli apostoli, quindi, non sbagliavano perché ragionavano su chi fosse il maggiore, ma perché ne “discutevano” con uno spirito di competizione e di affermazione di sé.
Gesù stesso aveva più volte insegnato che c’era uno “maggiore” (il Padre) a cui egli era sottomesso e in questo episodio spiega loro “come” diventare “maggiore”, quale spirito deve avere chi ambisce a diventare “il primo”. E questo vogliamo considerare insieme, perché i conflitti tra i leaders siano ridotti al minimo e la chiesa possa vivere e prosperare in pace.
Non siamo tutti uguali
La Bibbia afferma chiaramente che tra noi c’è uguaglianza, ma anche diversità. “Non c’è né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28). Qui Paolo sembra dire che c’è perfetta uguaglianza, e quindi nessuna diversità, ma leggiamo cosa scrive agli Efesini: “Il marito è il capo della moglie” (Efesini 5:23).
Si contraddice Paolo? No. Nel primo passo parla intorno alla “dignità” che abbiamo in Cristo, che è uguale per tutti. Nel secondo parla della “funzione”, della misura di autorità e di responsabilità affidataci da Dio, e questa non è uguale per tutti.
Se facessimo più attenzione ad avere il giusto atteggiamento di rispetto verso la “dignità”, eviteremmo di macchiarci di molte colpe, a volte gravi, contro la “funzione” e l’autorità.
Cosa voglio dire? Guardiamo alla vita di coppia: molte crisi sorgono perché non si rispetta la “dignità” dell’altro, solo in un secondo momento viene contestata anche la “funzione”.
Soprattutto nell’ambito della comunità, perché essa possa consolidarsi e poi allargarsi nella pace, è necessario ricordare che:
- abbiamo la stessa “dignità” ma diverse “funzioni” (dobbiamo quindi saperci sottomettere alla funzione più alta: Ebrei 13:17);
- abbiamo diverse “funzioni” ma la stessa “dignità” (dobbiamo quindi vivere nel rispetto reciproco, guardandoci da parole o comportamenti disonesti e offensivi).
Nella Bibbia è più volte ripetuto che esistono “capi”. C’è quindi chi è chiamato a decidere e chi è chiamato ad ubbidire. Può non piacerci, ma Dio ha deciso così: “Ma voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1° Corinzi 11:3). “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro” (Ebrei 13:17).
Ministeri uniti ma diversi
Anche per quanto riguarda i ministeri vale la stessa realtà. Anche se sono chiamati a lavorare insieme, sono cinque (Efesini 4:11), e hanno diversi “gradi” o “funzioni”: “E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori [insegnanti], poi i miracoli, poi i doni di guarigioni …” (1° Corinzi 12:28-29).
Questi uomini sono “uguali” ma “diversi”. Sono salvati per grazia come gli altri, ma sono “diversi” dagli altri in virtù della loro funzione e sono degni di doppio rispetto e doppio onore. È Dio a chiederlo (1° Timoteo 5:17). Nessun vero servo di Dio deve “pretendere” l’onore, ma la chiesa è chiamata direttamente da Dio a renderglielo.
La “funzione” diversa rende “degni” di diverse misure di onore. Come ministri di Dio non dobbiamo temere di insegnare queste cose, a costo di essere fraintesi e apparire ambiziosi, perché solo così il popolo che Dio ci ha affidato potrà entrare nell’esperienza della benedizione piena (Atti 2:42-47).
Questi principi, che regolano il rapporto tra i ministeri maggiori, devono regolare anche il rapporto tra quanti collaborano, in diversi ruoli e funzioni, nella conduzione di una chiesa locale. Anche qui, è necessario che ci sia un “capo”, che gestisca un’autorità in rapporto alla propria “misura” e che coordini il servizio degli altri collaboratori.
È proprio qui che spesso insorgono conflitti di autorità e di funzione, per cui è importante conoscere i giusti atteggiamenti da conservare, o proprio il nostro ministero diventerà la causa di tante nostre cadute e di crisi dolorose con Dio.
Così, definito che deve esserci un “primo”, vediamo cosa la Bibbia ci dice su quella che deve essere l’etica di questo “primo” e cosa sull’etica di quanti sono chiamati a collaborare con lui.
L’etica del “primo”
Si sappia, prima di ogni cosa, che è un posto scomodo. Un posto molto facile da giudicare ma molto difficile e doloroso da gestire.
- È servo di tutti, nel senso che dovrà accettare di essere visto come il colpevole (e talvolta lo è) di quello che va male e raramente l’artefice di quello che va bene.
- Porta il peso maggiore e subisce gli attacchi più forti, perché quando “il pastore viene percosso, le pecore si disperdono”(Matteo 26:31).
È un posto difficile, perché anche quando restare diventa molto doloroso, sa di non poter lasciare. È una chiamata fino alla morte, fino al sacrificio della vita. Il buon “primo” depone la vita per le pecore!
Perciò è scritto che “chi aspira all’ufficio di vescovo, desidera un’opera buona” (1° Timoteo 3:1 Riveduta) Significa che vuole fare un’opera buona alla chiesa! Si candida per caricarsi dei problemi di tutti, dell’incomprensione di tutti, del dolore di tutti.
“Noi non ti lasceremo mai, Signore!”. I discepoli erano pieni di entusiasmo. Così molti corrono per scalare il pulpito, sembrano pronti a dare la vita per la chiesa. Ma poi scoprono che dietro ogni pulpito c’è una croce, e allora, proprio come i primi discepoli, uno dopo l’altro vanno via …
Il “primo” è chiamato a portare la croce più pesante, a subire, senza difendersi, i colpi di pietre che gli vengono scagliati da … “quelli che amano veramente Dio”! Ma, se saprà restare fedelmente al suo posto, conoscerà la dolcezza delle consolazioni di Dio, riceverà il privilegio di sentirsi medicare dalle stesse mani del Padre e lì, stretto al petto di Dio, troverà la forza di ringraziarLo per quelle ferite e di benedire quelli che gliele hanno ingiustamente inferte.
Perciò, fratello mio, se cerchi “medaglie”, cambia carriera! E così anche se cerchi i riflettori e un palcoscenico.
Ma se nel profondo del tuo spirito sai di voler servire Dio con tutto il cuore e non hai paura del Getsemani, allora, coraggio! Ci sono grandi consolazioni per ogni ferita e tante parole d’amore per ripagarti di ogni offesa e di ogni disprezzo! Vale la pena essere “primo”, se tutto quello che cerchi è arrivare sempre più vicino a Gesù!
Il leader secondo Dio
Continuiamo a guardare nella scrittura, iniziando da Giovanni 17 e vi troviamo che “il primo” è uno che:
- Pregaper i suoi (11b-16). “Faccio continuamente menzione di voi … nelle mie preghiere”, scrive Paolo ai Romani (1:9-10). Il “primo” prega continuamente per i suoi. E tu?
- Non punta a marcare la “differenza”o a conservare il “primato”. “Io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati” (24a).
E ci vengono in mente le parole bellissime contenute in Filippesi 2:6, dove ci viene presentato un Re che trova piacere nel condividere con altri la sua gloria, e le parole di raccomandazione dell’apostolo Paolo al discepolo Timoteo: “Le cose che hai udite da me … affidale [non trattenerle solo per te] a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri” (2° Timoteo 2:2).
L’unica cosa su cui Paolo richiama l’attenzione di Timoteo è la necessità di fare prima una selezione, di individuare, dopo averli messi alla prova, gli uomini che gli sono fedeli. Questo per evitare il pericolo di affidare le ricchezze di Dio ad uomini scorretti che le userebbero per il proprio beneficio, e anche contro di noi.
- Si santifica per i suoi: “Per loro io santifico me stesso”(v.19) Qui Gesù non parla solo in relazione al non peccare, ma alla necessità di “separarsi” dal mondo per proporsi come “modello” del nuovo uomo secondo Dio. San Francesco d’Assisi non solo predicò sulla povertà, ma lasciò le ricchezze. Per questo ha lasciato la sua impronta che sopravvive ai secoli. Viveva le cose che diceva.
Puoi dire tante cose, insegnare tante verità, ma se vuoi lasciare un’impronta in quelli che ti circondano, devi vivere le cose che dici. Più profondamente le vivrai, più profonda sarà l’impronta che lasci. Colui che è “primo” si santifica per i suoi. E tu?
- È amico.Non tiene a distanza, non ama vedere imbarazzo nelle persone. È amico. Vuole che gli altri gli si avvicinino. Ama conoscerli ed è pronto ad aprire la propria vita. Vuole condividere le cose che ha imparate dal Padre. “Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatte conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Giovanni 15:15).
Mai la “funzione” dovrebbe prevalere sul rapporto. Dio è il nostro padrone ma ci è amico! L’amico comunica sicurezza.
Più volte mi hanno detto: “Quando ti vedo, mi sento a disagio e non riesco ad avvicinarmi. Sarà per il tuo ministero …”. So che ad alcuni fa piacere sentirsi dire queste parole. Le leggono come una prova della loro superiore spiritualità. Ma per me sono un campanello d’allarme, mi avvertono della necessità di tornare da Dio per ricevere di nuovo la sua impronta.
Perché sono convinto di questo? Perché Dio, il solo Santo, colui dal quale ogni ministero discende, è anche la persona che mi crea meno disagio di qualunque altro, la persona con cui riesco ad aprire senza paura tutto il mio cuore, sicuro di non essere né respinto né tradito. La vera “santità” attrae, dà sicurezza non timore. È questa la santità verso cui corro … e ho ancora tanta strada da fare!
Dio ci è amico, non solo Signore. Colui che è “primo” deve saper essere amico. E tu?
- È padre, non pedagogo(1° Corinzi 4:15). Nel vangelo di Giovanni, Gesù ci dice che nella chiesa esistono due tipi di operai: il mercenario e il pastore (10:13).
Anche il mercenario sembra amare le pecore, ma solo per l’utile che ne riceve. Il mercenario evita le situazioni difficili e scappa, anche se questo significa abbandonare le pecore, perché non ama le pecore. Le pascola pure, ma per interesse.
Il padre, invece, è interessato al bene del figlio. Osserviamo un vero “padre” all’opera e le difficoltà che immediatamente incontra: “Sono diventato vostro nemico dicendoci la verità?” (Galati 4:16). Avrebbe potuto tacere, dire che tutto andava bene, avrebbe avuto anche la vita più tranquilla. Ma questo può farlo il pedagogo o il mercenario. Un padre non sa agire così. Anche a costo di apparire un loro nemico, Paolo sentiva che doveva dire la verità sulla loro condizione ai Galati.
Ci sono “molti pedagoghi e pochi padri”, anche oggi. Il pedagogo evita di creare situazioni “difficili”, che “costano”. Un “padre” è pronto anche ad essere giudicato male dal figlio, a vederlo reagire, ad esserne ferito e respinto, pur di renderlo “uomo”! “Qual è il figlio che il padre non corregga?” (Ebrei 12:7). “Piacque all’Eterno di percuoterlo, di farlo soffrire” (Isaia 53:10a Nuova Diodati). Che padre senza cuore questo Dio! Addirittura gli “piacque”, gli fece piacere far soffrire il figlio. Quale Dio d’amore è questo?
Ma Dio è amore, amore puro, amore vero. E Dio, nella sua sapienza, sa che è cosa buona “flagellare coloro che Egli ama” (Ebrei 12:6).
Lasciatemi dire qualcosa sulla correzione. La correzione è espressione d’amore! (Ebrei 12:11). Fa “maturare” nell’ubbidienza. “La verga e la riprensione danno saggezza” dice Dio (Proverbi 29:15), e: “L’uomo che corregge sarà, alla fine, più accetto di chi lo lusinga con la sua lingua” (Proverbi 28:23).
Colui che è “primo”, come un padre:
- Sa correggere(ma sempre per fare del bene, non per sfogarsi!). “Hai sbagliato. Avresti dovuto fare in questo modo. Riprova”. O anche: “Hai fatto del tuo meglio, ma non credo che Dio ti abbia chiamato a fare questo. Proviamo in quest’altro campo …”.
Veglia sopratutto sugli atteggiamenti di orgoglio o di giudizio. “Gesù sgridò i suoi discepoli” (Luca 9:55). E non fu l’unica volta: “Molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi” (Marco 10:31). “Non volete andarvene anche voi?” (Giovanni 6:67). “Che t’importa?” (di Giovanni – Giovanni 21:22). “Non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola?” (Matteo 26:40). “Vattene via da me, Satana!” (rivolto a Pietro – Matteo 16:23).
Non era facile e non era sempre bello camminare con Gesù. Le correzioni erano all’ordine del giorno. Voleva farli crescere e non sarebbero mai cresciuti se non avessero conosciuto i loro punti deboli.
Un buon “padre” corregge quelli che camminano con lui, anche se questo, per un tempo, significa apparire duro ai loro occhi.
Ma un buon “padre”, anche:
- Sa elogiare e onorare i suoi collaboratori davanti alla chiesa.Non è l’uomo “Ho fatto tutto io!” Non cerca tutte le medaglie per sé. “… Abbiate stima …” (di Epafròdito e Timoteo: Filippesi 2:29). “Vi mando Timoteo … non ho nessuno come lui” (Filippesi 2:19-20).
“Bravo! Mi hai benedetto”. “Grazie! Grazie per la tua fedeltà!” Un buon padre sa anche onorare i suoi figli.
- Sa incoraggiare nei momenti difficili. “Timoteo, figlio mio, io ricordo le tue lacrime. Conosco la fede sincera che è nel tuo cuore. Non abbatterti, Timoteo, soffri anche tu afflizioni come un buon soldato di Cristo. E, Timoteo, ricordati delle profezie che sono state pronunciate sulla tua vita. Combatti per esse, come vedi combattere me, anche se in catene. E ricordati che per tutto questo ci aspetta la corona della vita. Coraggio, figlio mio. La grazia del Signore Gesù sia sopra di te” (cfr. 2° Timoteo 1:4-14). Non meraviglia se Timoteo sia cresciuto e abbia vinto. Chi si fermerebbe con un padre così, che combatte al tuo fianco?
- Sa proteggere. “Quelli che tu mi hai dati … li ho custoditi”(Giovanni 17:12). E non erano solo belle parole, queste di Gesù. Guardiamolo nel Getsemani. Arrivano i soldati per prenderlo, e lui cosa fa? Si preoccupa dei suoi: “Sono io quello che cercate, lasciate andare questi” (Giovanni 18:7-9). Veramente “li amò sino alla fine”.
Che profonda umiliazione per tutti noi, e che grande sfida ci viene da questa pagina! Amare di questo amore! Siamo costretti ad inginocchiarci e a pregare: “Signore, dacci il tuo Spirito Santo, per saper amare così!”.
“Lasciateli andare”, gridò Gesù. E guardate cosa accade: Pietro, estratta la spada, colpì Malco (v.10). Espose la sua vita, ma vi fu costretto da quell’esempio di amore. Fu come un’ondata che lo travolse. Sì, credo che in quel momento Pietro avrebbe saputo anche morire per Gesù. E chi di noi non ne sarebbe stato capace?
Un buon “primo” sa proteggere i suoi, anche a costo della vita.
- Sa far conoscere ai suoi la loro nuova identità.Gesù cambiò il nome a Simone (canna) e gliene attribuì uno nuovo, Pietro (roccia), e a Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, pose nome “Boanerges” (figli del tuono – Marco 3:17). Questi nuovi nomi definivano quello che sarebbe stata la loro nuova identità nel Signore. Un buon “primo” deve saper cambiar nome ai suoi, deve saperli fare diventare quello che Dio li ha chiamati ad essere, sa dare identità, sa trasformare secondo il proposito di Dio, sa introdurli nel progetto di Dio per loro.
- Ascolta Dio per i suoi.Non è sufficiente che sappia parlare bene o che porti studi biblici. Deve saper portare “la parola” del Padre per il loro cammino e il loro ministero. Sa guidarli “spiritualmente”. “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Giovanni 6:63).
- Sa ridare fiducia.Può accaderci, nel corso del nostro servizio, di cadere miseramente, fino al punto di abbandonare e tradire.
Fu questa l’esperienza di Pietro. Ultrasicuro di sé, fallì miseramente, rinnegando il Signore a cui aveva promesso fedeltà. Gesù seppe ridargli fiducia. Tuttavia, prima di richiamarlo al ministero, pretese una garanzia: “Pietro, mi ami tu?” (Giovanni 21:15-17).
Come “primo” è importante saper ridare fiducia, ma anche assicurarci di quello che è rimasto nel cuore di è venuto meno. Bisogna domandargli: “Mi ami tu?” Chi non ti ama, non saprà camminare con te. Reagirà ad ogni cosa che non capirà, invece di sostenerti ti colpirà alle spalle, ti tradirà.
“Chi osserva i miei comandamenti, quello mi ama” spiegò Gesù. Solo chi ti ama saprà ubbidire alle tue parole. Solo chi ama accetterà di essere anche corretto.
Ma il leader deve saper ridare fiducia a chi torna a lui con un cuore veramente pentito e col desiderio di riprendere il cammino interrotto. Il nuovo rapporto non potrà che esserne benedetto, perché arricchito di una nuova esperienza della propria debolezza e della nostra tendenza all’indurimento e all’abbandono.
Buoni collaboratori
Passiamo ora a considerare rapidamente quella che deve essere l’etica del collaboratore nel rapporto col “primo”.
- Si lascia ministrare e discepolare.
- Accetta la testimonianza del leader su di sé(Marco 4:31).
- Ubbidisce alle sue decisioni.
- Vigila sul suo leader per proteggerlo(Proverbi 27:18b; Matteo 26:37-40).
- Lo sostiene nei momenti cruciali(Esodo 17:12; 2° Timoteo 1:15).
- È leale, non tradisce, non cospira(2° Samuele 15:1-6).
- Non approfitta delle sue debolezze per esporlo(Genesi 9:20-25).
- Mette il proprio dono al servizio del leader.Giuseppe aveva dei sogni (Genesi 37:5-9), ma seppe metterli da parte per servire quelli degli altri e Dio, nel tempo stabilito, fece realizzare anche il suo sogno.
- Onora il suo leader(1° Timoteo 5:17).
- Lo “rinfresca”(2° Samuele 23:14-17).
Siamo uguali, ma diversi. Siamo diversi, ma uguali. In tutti c’è lo stesso desiderio di vedere una chiesa santa, viva, forte, che mostri la gloria e le virtù di Dio. Ma la chiesa va costruita nel rispetto del progetto stabilito da Dio.
Riceviamoci dunque l’uno l’altro, facciamo morire ogni spirito di parte e di vanagloria. Quello che conta non è chi è “primo” o “secondo” ma che la chiesa sia costruita. Da parte mia, sarei pronto a cedere ad un altro il mio “primato” oggi stesso, non appena sentissi nel mio cuore che questo farebbe del bene alla chiesa.