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di Giovanni Traettino
Tutta la Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, è attraversata da una profonda e vibrante tensione verso la crescita e la moltiplicazione, in vista del traguardo della “pienezza” finale. La creazione, l’umanità, il regno, la chiesa sono tutti in questo divenire. La “piccola pietra” di Daniele 2, il “monte della casa dell’Eterno” di Isaia 2, la “seconda casa” di Aggeo 2 e “l’edificio che ha da servire di dimora a Dio per lo spirito” di Efesini 2, sono tutte immagini di quell’unica, grande e gloriosa chiesa che, attraverso questo secolare processo di crescita e di perfezionamento, deve diventare “il compimento (la pienezza) di Colui che porta a compimento ogni cosa in tutti” (Ef. 1:22,23).
Fate discepoli!
Infatti il mandato di Gesù era stato chiaro: “Andando, insegnando, battezzando fate discepoli” (Mt. 28:18-20, trad. letterale). E i discepoli sono andati; per secoli hanno percorso la terra in lungo e in largo. A piedi e sui muli, lungo sentieri ed autostrade, in mezzo a foreste vergini e a deserti, tra i selvaggi e a contatto con grandi civiltà, a volte col saio e a volte col mantello, essi sono andati portando da per tutto la buona novella dell’Evangelo del Regno. A centinaia prima, poi a migliaia, individui e famiglie, tribù e nazioni intere si sono “convertiti” e sono diventati cristiani – almeno di nome – e così sono sorte delle chiese in molte nazioni e continenti. Solo che a questo punto, molti avevano perso gran parte dello zelo e della radicalità testimoniata nella chiesa degli Atti.
L’afflusso di masse enormi di persone non necessariamente convertite all’interno della chiesa, insieme alla perdita graduale di chiarezza sull’iniziazione alla vita cristiana e sulla natura della chiesa, rendeva difficile la verifica della conversione e il processo di discepolato. E la chiesa andò in tilt.
Lo stesso concetto di discepolato subì, in modo graduale ma risoluto, una profonda trasformazione, fino a riguardare solo una classe speciale di cristiani: il clero. Successivamente ci sarebbero stati i credenti “normali” (si fa per dire!) e i discepoli.
Il monachesimo, gli ordini religiosi, i movimenti ereticali medievali, la Riforma protestante, l’anabattismo, sono per alcuni versi tentativi di risposta a questa problematica.
Quale cristiano e quale chiesa? Chiesa di massa o comunità confessante? Chiesa nazionale e di popolo, o comunità di discepoli? “Israele naturale” o “Israele spirituale”?
Diverse enfasi nella chiesa
Il movimento evangelico moderno, erede della Riforma e, in gran parte, anche degli Anabattisti e dei movimenti revivalisti, ha storicamente affrontato in modo radicale le questioni relative alla natura del cristiano e della chiesa. Ma anche al suo interno c’è tensione tra enfasi sull’evangelizzazione di massa ed enfasi sul discepolato. Sono quindi sorte chiese con grande enfasi evangelistica e chiese con grande enfasi sulla maturazione dei credenti. Le prime hanno il cosiddetto problema delle due porte, quella d’entrata e quella d’uscita; le seconde si ritrovano a continuare a curare vecchi credenti “che imparano sempre e non possono mai pervenire alla conoscenza della verità” (2° Tim. 3:7), persone che “per ragioni di tempo dovrebbero essere maestri, ma che hanno ancora bisogno di latte e non di cibo solido” (Ebr. 5:12).
Per costruire la chiesa locale, è necessario un equilibrio tra queste due enfasi. Ogni chiesa che vuole crescere in modo armonioso deve comprendere entrambi gli aspetti nella propria visione e nella propria pratica. Ogni chiesa locale deve essere insieme evangelistica e pastorale.
Alla ricerca di un modello
I Vangeli ci mostrano essenzialmente tre protagonisti: Gesù, le folle, i discepoli. Gesù, per stabilire il Suo regno, si muove essenzialmente su due piani: quello della proclamazione/dimostrazione del regno di Dio, e quello del discepolato in cui Egli “tiene con sé” (Mc. 3:14) degli uomini per esporli alla propria vita ed insegnamento, ordina loro di fare ed insegnare le stesse cose .(Me. 6:7), fa la verifica ed il rendiconto della loro risposta (Mc. 6.30). Il tutto in una pluralità di rapporti variamente articolati: i tre, i dodici, i settanta.
Anche dalla lettura degli Atti degli Apostoli emerge un equilibrio perfetto tra i due fattori essenziali alla costruzione della chiesa: evangelizzazione e strutture di crescita. Artificiale appare allora il conflitto che a volte ha addirittura diviso i cristiani su sponde opposte. Risulta chiaro infatti che l’obiettivo della missione, già chiaramente definito in Matteo 28:18-20, è fare discepoli che si riproducono e chiese che si riproducono.
La strada (“in pubblico”, Atti 20:20), il tempio (Atti 2:46), le case (Atti 2:42,46; 20:20) sono tutti momenti altrettanto necessari della stessa strategia.
Billy Graham e Luis Palau dicono che solo una piccola parte delle decisioni prese alle loro campagne di evangelizzazione si trasforma in impegno serio e definitivo nelle chiese. Essi sottolineano l’estrema importanza della pre-evangelizzazione e del follow-up.
Si tratta di un processo circolare, con più aspetti integrati, che ci viene chiaramente mostrato nei primi due capitoli degli Atti: la preparazione (Atti 1 e 2:1-13), la proclamazione con dimostrazione (Atti 2:14-40), la conversione, il battesimo, l’entrata nella chiesa (Atti 2:41), l’insegnamento e la comunione fraterna (Atti 2:42-46), di nuovo la proclamazione (Atti 2:47) e così via.
La necessità di otri nuovi
Nella storia della chiesa, nessun movimento di evangelizzazione è stato duraturo se non si è dato delle “strutture di crescita”. Whitefield, che non aveva mai strutturato i convertiti delle sue evangelizzazioni, alla fine della sua vita considerava i suoi risultati come “una fune di sabbia”.
D’altra parte sembra che tutti i movimenti spirituali più significativi del cristianesimo abbiano avuto, anche se in forme diverse, questo elemento in comune.
La Riforma protestante fu preparata ed avviata da gruppi di studio biblico e circoli o “cenacoli” di riflessione spirituale e teologica. Il Pietismo nacque e si nutri all’interno dei collegia pietatis, che non erano altro che incontri in casa di preghiera, studio biblico e discussione. Il risveglio wesleyano inglese proliferò attraverso gli “incontri di classe”. Anche il “movimento di santità” americano della seconda metà dell’ottocento, da cui sarebbe poi nato il movimento pentecostale, fu avviato e sostenuto da piccoli gruppi.
E in questo secolo, dopo e a fianco dei grandi evangelisti e dei movimenti di evangelizzazione, sono emersi i movimenti di discepolato e di strutturazione della vita del corpo con un ruolo centrale svolto dal piccolo gruppo:
– il risveglio delle “ chiese in casa “ degli ultimi venti anni in Cina;
– il risveglio in Corea col ruolo strategico delle “ cellule “ teorizzate da Yonggi Cho;
– il movimento delle cosiddette “ chiese nelle case “ in Gran Bretagna, considerato quello a crescita più veloce in quel paese nel corso degli ultimi dieci anni;
– il risveglio degli ultimi quattro anni in Argentina (Annacondia, Scataglini, ecc.);
– e ancora, Operazione Mobilitazione, Gioventù in Missione, Cristo è la Risposta;
tutti a confermare una tendenza generale verso la riscoperta nel mondo evangelico dei ruolo centrale del discepolato e dei nesso vitale tra evangelizzazione e discepolato in vista della crescita della Chiesa.
Lezioni della storia
Recentemente ho letto con sorpresa ed interesse che John Wesley, il grande padre del risveglio metodista del XVIII secolo, “si rifiutava di predicare in qualsiasi luogo nel quale non avrebbe potuto proseguire (l’evangelizzazione) organizzando delle società con una leadership adeguata”.
Ora, nessuno potrebbe accusare Wesley di scarso calore per l’evangelizzazione, ma è un fatto che più di due secoli fa egli aveva già compreso, a pochi anni dall’inizio del suo fruttuoso ministero itinerante, che per consolidare e moltiplicare i nuovi convertiti, era necessario organizzare delle strutture di discepolato. Il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi, altrimenti si perde. Per questo egli diede vita a quel sistema di classi, bande e associazioni che, strutturando in piccoli gruppi di discepoli le masse convertite, avrebbe consentito a tutto il movimento di crescere, maturare, produrre leaders e prosperare per più di un secolo.
Ogni “classe” doveva avere un leader (uomo o donna) che si assicurasse: 1) di discepolare ogni membro della classe; 2) di renderne conto al ministro responsabile per la “società” di cui faceva parte. (Per il dettaglio di queste disposizioni, vedi il riquadro “Le regole del metodismo”.)
La “classe”, praticamente una “chiesa in casa”, era formata da dodici discepoli, guidati da un leader, che si incontravano una volta la settimana per un’ora. Ogni membro portava all’incontro i suoi bisogni e i suoi problemi e parlava apertamente delle difficoltà e dei successi del suo cammino col Signore. “Consiglio o rimprovero veniva dato secondo necessità, le liti risolte, i fraintesi rimossi; e dopo un’ora o due spese in questo lavoro d’amore, essi concludevano con la preghiera e il ringraziamento” (Wesley).
Con questo sistema, veniva assicurata al neo convertito la crescita spirituale personale in un contesto di intensa comunione fraterna, una disciplina efficace, la partecipazione alla visione per l’espansione della chiesa, lo sviluppo del senso di responsabilità finanziaria nei riguardi dei ministri a tempo pieno e dei poveri.
Solo più tardi Wesley avrebbe scoperto con gioia e sorpresa che la struttura da lui pensata, partendo da considerazioni ed esigenze essenzialmente pratiche, era uno strumento decisivo per ricreare il clima spirituale della chiesa degli Atti.
Equilibrio
John Stott, l’autorevole esponente dell’ala evangelica anglicana, scrive: “Le folle possono perpetuare la solitudine invece di curarla. È pertanto necessario che le grandi comunità si dividano in gruppi più piccoli, come immaginiamo che fossero le chiese in casa nei giorni del Nuovo Testamento. Il valore del piccolo gruppo è che può diventare una comunità di persone in rapporto tra loro, e in esso non può mancare il beneficio dei rapporto personale, né venir meno la sua sfida… lo non penso che sia una esagerazione dire, pertanto, che i piccoli gruppi, famiglie cristiane o gruppi di comunione, siano indispensabili per la nostra crescita nella maturità spirituale” (One People, Falcon Books, 1969).
E però, come bene ha detto qualcuno, “un’eccessiva preoccupazione per la riparazione delle reti può farci dimenticare a cosa servono le reti … Le reti servono per andare a pescare”. I discepoli che ricevono insegnamento, vivono in comunione e sono curati, naturalmente diventano testimoni. E questo produce contatti e nuove conversioni.
Tra i ministeri di Efesini 4, c’è però anche quello dell’evangelista. E dobbiamo riconoscere il bisogno estremo che abbiamo di autentici e potenti evangelisti, non solo per proclamare e dimostrare l’evangelo dei Regno, ma anche per ispirare la chiesa e formare altri evangelisti.
Occorre però riportare gli evangelisti nelle chiese perché si muovano come espressione della chiesa. Bene è stato detto: “La Chiesa è il solo strumento ordinato da Dio per diffondere l’evangelo”.
L’evangelista, il pastore, il dottore, il profeta e l’apostolo insieme opereranno la saldatura di quelle funzioni previste ed ordinate da Dio, tutte necessarie per la crescita, il perfezionamento e la–manifestazione gloriosa della Chiesa.