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di Ernesto Bretscher sr.
“Voi siete i figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri …” (Atti 3:25)
Va sottolineato il fatto che in questo brano lo Spirito Santo, ispiratore della Scrittura, s’indirizza non a coloro che credono ai profeti, che li leggono, che li ammirano o che si professano loro discepoli, ma ai figli dei profeti.
Essere “figlio” significa avere la medesima natura del padre; parla di un’eredità genetica, di una trasmissione di carattere e di un’identità di mentalità. Il detto: “Tale padre, tale figlio” trova il suo riscontro nella Scrittura stessa: “Gesù quindi rispose loro: `In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da sé stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente‘“ (Giovanni 5:19).
Quando pensiamo ai nostri “padri profeti”, vengono in mente non solo gli oracoli, le visioni e le profezie che essi ricevettero da Dio per i tempi vicini e lontani, ma soprattutto i segni e anche le “stranezze” che hanno accompagnato il loro ministero.
Sicuramente non ci dispiacerebbe far scendere il fuoco dal cielo per confondere gli adoratori di false divinità, come fece Elia, o risuscitare un morto, come fece Eliseo per il figlio della Sunamita; sanare minestre avvelenate o far galleggiare scure smarrite.
Ma non ci andrebbe troppo a genio andare in giro con brocche rotte e cinture marce, come dovette fare Geremia, per poi finire in carcere o dentro una cisterna! E nemmeno per sogno acconsentiremmo a stare coricati, legati con corde, per 390 giorni sul fianco sinistro e altri quaranta su quello destro, facendo cuocere tutto il cibo su un fuoco di escrementi, come dovette fare Ezechiele! O prendere una prostituta per moglie, come Osea; o essere inghiottiti da un pesce per una “semplice” disubbidienza, come Giona; o passare la notte in compagnia di leoni in una fossa sigillata, come Daniele … no grazie! Meglio non avere nulla a che fare con questa chiamata al profetismo!
Figli di Dio
Tuttavia non possiamo sottrarci alla chiamata ad essere profetici. Anzi, la nostra vocazione di credenti è molto più alta che non quella di essere “solo” figli dei profeti: siamo chiamati ad essere figli di Dio e a vivere la nostra vita secondo tutte le facoltà della natura divina, della quale siamo stati resi partecipi (2° Pietro 1:4).
Chiunque si considera un figlio di Dio non può non accettare di essere anche un figlio dei profeti: è necessariamente e per natura anche figlio dei profeti! Creati da principio a somiglianza di Dio (Genesi 5:1), nati di nuovo dallo Spirito di Dio e condotti dallo stesso Spirito (Romani 8:14), siamo chiamati ad esprimere l’essenza e tutte le caratteristiche della Sua natura. E la natura profetica è una delle espressioni essenziali di Dio.
Tale caratteristica fondamentale viene espressa in Romani 4:17, dove leggiamo che Dio “chiama le cose che non sono come se fossero” (Nuova Diodati). Ecco la definizione di un atteggiamento profetico: vivere già oggi la visione e la rivelazione che saranno pienamente realizzate solo in un tempo a venire.
Già prima della fondazione del mondo, Dio viveva la tremenda tragedia della croce nel designare Cristo quale Agnello senza difetto né macchia (1° Pietro 1:19-20). Nell’Eden, poi, Dio non solo anticipò la sofferenza e il dolore del sacrificio del Figlio sul Golgota, ma anche il Suo trionfo e la sconfitta di Satana, quando profetizzò: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15).
Da allora in poi, durante tutti i secoli, sono innumerevoli le Sue espressioni di gioia e di felicità nel vivere già nel presente la visione gloriosa di un futuro popolo totalmente consacrato a lui; di una Chiesa santa, pura, immacolata, irreprensibile, senza ruga o difetto alcuno. Sì, durante tutti i tempi passati, anche nei periodi più oscuri e più deludenti, Dio viveva la gloriosa realtà del domani.
Profezia e impegno
Ma Dio, anche se ha una chiara visione di quanto deve avvenire e se ne rallegra fin da ora, non rimane inattivo, cullandosi nell’illusione che tutto si compirà da solo. Al contrario, si impegna con forza a realizzare la visione profetica!
L’atto della creazione ne è un lampante esempio. Leggendo con attenzione il racconto di Genesi capitolo 1, riscontriamo che in ogni atto creativo si susseguono tre momenti diversi. Il primo: “Dio disse: Vi sia un firmamento …” È il momento della visione, dell’espressione profetica di una cosa che non esiste ancora. Poi: “E Dio fece il firmamento e separò le acque …” Egli si adopera per realizzare la visione, dando concretezza alla parola profetica. Infine: “E Dio vide che questo era buono”. La visione è compiuta, la profezia è diventata realtà.
Lo stesso principio si ritrova in tutti gli altri atti creativi: della vegetazione, del sole, della luna, le stelle, gli animali e tutti gli esseri viventi, e infine del coronamento di tutto il creato: l’uomo.
Come lo fu e lo è per Dio stesso, la creatività è il frutto di una natura profetica; si manifesta naturalmente in una persona in cui si sprigiona lo spirito profetico. Un “figlio dei profeti” non solo ha una chiara visione e un obiettivo ben definito per la propria vita personale, per la propria famiglia, per la propria comunità e soprattutto per la Chiesa, ma si impegna con tutte le sue forze perché si realizzi quella visione; la vive nel profondo della propria anima come se già esistesse. Come Dio, egli chiama la cosa che ancora non è come se già fosse.
Le stelle o le stalle?
Si racconta di tre operai che lavorano in un cantiere, in quell’apparente disordine che caratterizza qualsiasi cantiere, esposti al fango, al freddo, al vento, alla pioggia. Interrogati sul loro lavoro, il primo risponde imbronciato: “Boh, sto scavando una fossa …” Il secondo replica sgarbatamente: “In questo schifoso giorno non faccio altro che gelarmi le dita a costruire questo muro!” Ma il terzo, mentre corre fischiettando con la carriola, risponde con entusiasmo: “Sto edificando una cattedrale!”
Indubbiamente solo quest’ultimo dimostra un atteggiamento profetico: già vede il maestoso edificio finito e gremito da una folla che canta le lodi di Dio, accompagnata da bellissimi strumenti musicali. Sa di essere coinvolto in un progetto di maestosa bellezza; vive già dentro di sé una gloriosa realtà e ne gioisce mentre svolge anche il lavoro più umile per contribuire alla sua realizzazione.
E se dovessimo domandare ai credenti che la domenica mattina si recano al culto: “Dove vai?”, quale risposta si avrebbe? Quanti risponderebbero: “È domenica, vado in chiesa”, oppure: “Vado in chiesa per ascoltare un sermone”, o ancora: “Ho dei problemi, vado al culto perché ho bisogno di aiuto”? Quanti invece esprimerebbero la consapevolezza di andare a dare il loro contributo a costruire il Regno di Dio, la sposa di Cristo, la Chiesa santa, immacolata, irreprensibile e gloriosa degli ultimi tempi?
Solo questi ultimi manifesterebbero la natura di “figli dei profeti”. Solo loro, nonostante l’attuale confusione, le divisioni e il peccato nella Chiesa, vivono già nel loro profondo la sua gloriosa redenzione, il suo splendore, l’eterna bellezza destinata a rivelarsi in un tempo futuro. Si adoperano con zelo e impegno per la realizzazione di questo progetto divino, diventando così collaboratori di Dio, il quale “chiama le cose che non sono come se fossero”.
I nostri antenati
Tra i numerosi esempi che la Scrittura ci offre di uomini dalla natura profetica, ne citiamo solo due: Abramo e Mosè.
Abramo è il primo uomo chiamato “profeta” nella Scrittura (Genesi 20:7). All’età di settantacinque anni, egli ebbe una rivelazione straordinaria: vide uscire dai propri lombi una grande nazione, per mezzo della quale tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette (Genesi 12:1-4). Ma non accolse una tale rivelazione con quell’atteggiamento di “Ma … poi vediamo!” che troppo spesso si riscontra nei credenti. Al contrario, si mette senza indugio a disposizione dello Spirito profetico per la realizzazione della visione. Si mette in viaggio senza neanche sapere dove va, lasciandosi guidare man mano durante il cammino.
Più tardi la visione si fa più chiara, abbracciando diversi secoli: viene rivelato ad Abramo che la sua discendenza sarà ridotta in schiavitù in Egitto, che diventerà un popolo numeroso e poi sarà potentemente liberato per ereditare quella terra in cui egli andava piantando le sue tende (Genesi 15:13-16).
La natura profetica di Abramo e la sua disponibilità per essere utilizzato come una piccola, luminosa tessera nell’immenso e glorioso mosaico del progetto divino, consentirono a Dio, quando egli aveva già novantanove anni ed era vicino a diventare padre del figlio promesso, di confermare il patto per l’eternità e anche di conferirgli un nome nuovo (Genesi 17:1-8).
Visione profetica
Ma, come se non bastasse, Dio gli diede un’altra rivelazione ancora più straordinaria: Abramo vide la venuta del Cristo, un suo discendente, il liberatore, il Messia, che si sarebbe manifestato a distanza di circa duemila anni. Questa meravigliosa profezia trovò spazio nell’animo suo, egli visse questo evento straordinario come se fosse già realtà e se ne rallegrò, gioiendo nel profondo del suo spirito e lodando Dio (Giovanni 8:56).
Così Abramo ha fatto parte di quell’immensa schiera dei “figli dei profeti” che si sono addormentati nella fede senza aver toccato o ottenuto le cose promesse, ma che dopo averle viste da lontano nelle loro visioni e rivelazioni, le hanno accolte e “vissute” intimamente con grande gioia (Ebrei 11:13).
Anche Mosè era un uomo di tempra profetica, ed è per questo che Dio ha potuto servirsi di lui per far progredire il proprio progetto. Osea 12:14 ce lo presenta come profeta, il primo del popolo d’Israele. Per portare a buon fine un compito così arduo come quello di guidare un popolo ribelle, incredulo e lagnoso attraverso i deserti, le difficoltà e le opposizioni interne ed esterne occorreva un uomo dalla natura profondamente profetica.
E Mosè, in mezzo alle più grandi difficoltà, quando tutto era fatto per scoraggiarlo, amareggiarlo e farlo rinunciare, non perse mai la visione di Dio: l’entrata trionfale di un Israele vittorioso nella sua eredità nella terra promessa. Durante tutto quel cammino, irto di innumerevoli ostacoli, rimase fermo avendo continuamente davanti agli occhi Colui che è invisibile (Ebrei 11:24-27). Attraverso tali “figli dei profeti” Dio porta avanti il Suo piano. Non c’è nulla che possa ostacolare il cammino e il ministero di tali uomini.
Profezia e fede
C’è un rapporto strettissimo tra la natura profetica e l’essere uomini (o donne) di fede. Infatti l’uno non è pensabile senza l’altro: una natura profetica sfocia spontaneamente in una vita di fede, e viceversa la fede evidenzia con molta chiarezza la natura profetica. Se Abramo è il primo ad essere chiamato “profeta” nella Scrittura, è scritto di lui anche che è il padre di un’innumerevole posterità che vive per fede.
In Ebrei 11:17-19 troviamo forse l’episodio più significativo della vita di un uomo in cui si è manifestata la natura profetica, nella prova più difficile della sua vita. Solo perché aveva lo sguardo profetico fissato su quell’innumerevole discendenza che doveva uscire dai lombi di Isacco, suo figlio, Abramo fu capace di offrirlo sull’altare. La sua fede era fortemente sostenuta dalla visione profetica che vedeva la cosa che ancora non era come se già fosse. E poiché nel suo intimo Abramo già vedeva quella progenie, egli era certo che, anche se Isacco fosse stato sacrificato sull’altare, Dio non poteva far altro che risuscitarlo.
Come per Abramo, la fede di ogni credente è condizionata dalla sua misura e dalla sua visione profetica. E sono certo che tale visione profetica si può valutare nella misura in cui produce le opere della fede, il solo mezzo per il quale la visione profetica si può concretizzare. Se Daniele, Samuele, Elia e tutti gli altri riuscirono a compiere il loro ministero di profeti, è perché erano anche uomini di fede; ed erano uomini di fede a causa della loro natura profetica.
Gesù stesso non faceva nulla se non aveva prima una chiara visione dal Padre di quel che doveva fare (Giovanni 5:19). Ma appena aveva quella visione, nulla poteva impedirgli di compierla.
Segni della natura profetica
In conclusione, ecco alcuni segni che manifestano la natura profetica:
- La ricerca della presenza di Dio per conoscere la Sua visione, il Suo progetto e la Sua volontà.
- La determinazione ad ubbidire a tale visione, anche se ciò significa fare cose strane, incomprensibili o irragionevoli, come talvolta dovettero fare gli antichi profeti.
- Una fede attiva che si impegna senza esitazione per realizzare il progetto di Dio.
- L’esercizio di un’autorità spirituale. Esempi: Samuele davanti al re Saul (1° Samuele 15:10-35); Nathan davanti al re Davide (2° Samuele 12:1-12).
- La forza spirituale sprigionata dalla profezia. Esempio: 1° Sam. 19:20-24 (cfr. 1° Corinzi 14:24-25).
- La perseveranza che corre verso il traguardo senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà. Esempio: Mosè durante l’Esodo.
- Lo spirito d’intercessione a favore del progetto di Dio. Esempi: Mosè, Daniele, Nehemia e altri.
- L’accettazione della sofferenza (le doglie del parto) perché nasca il progetto di Dio.
È ovvio che questo elenco dei “segni” non è esauriente e che si potrebbero aggiungere altri non meno importanti.
La nostra visione
Sappiamo tutti che Dio ci ha posto davanti una visione molto chiara del suo progetto finale, ma che alla ragione umana sembra impossibile da realizzare. Citiamo soltanto alcuni dei suoi propositi:
- Egli ha dato i ministeri “per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo, fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” (Efesini 4:12-13).
- “Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei … per farla comparire davanti a sé gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile” (Efesini 5:25-27).
- “Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa del Signore [Sion, la Chiesa] si ergerà sulla vetta dei monti, e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso” (Isaia 2:2).
Certo, siamo ben lontani dal veder realizzarsi tali gloriosi progetti, ma … cominciamo anche noi a chiamare le cose che ancora non sono come se fossero! Come Gesù, “corriamo con perseveranza [profetica] la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù … Per la gioia che gli era posta davanti egli sopportò la croce, disprezzando l’infamia” (Ebrei 12:1-2). E un giorno, seduti con Lui sul Suo trono, vedremo realizzate le cose che il Padre ci dà il privilegio di vedere oggi per visione profetica.