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Geoffrey Allen
Il mio papà era (ed è) quello che molti considererebbero un padre ideale: si dedicava tutto al lavoro e alla casa, provvedeva a tutte le necessità dei quattro figli, ci teneva a farci studiare (ci siamo laureati tutti), ci amava sinceramente. Nondimeno, mi rendo conto sempre di più di quanto ho sofferto per la mancanza di un vero padre.
Faceva il pendolare (un’ora di viaggio la mattina e una la sera), e spesso doveva restare in ufficio fino a tardi; usciva di casa prima che mi alzassi dal letto e ritornava quando moglie e figli avevamo già cenato ed eravamo impegnati con i compiti (avevamo lezioni o attività ricreative nel pomeriggio). Il fine settimana era dedicato al suo orto (solo raramente riusciva a farsi aiutare da noi figli) e al suo amato pianoforte. Il risultato fu che praticamente lo vedevo solo nelle vacanze di Natale e per quindici giorni di ferie ad agosto. Inoltre, è stata sempre mia madre a comandare in casa, tranne che per le finanze e le grandi decisioni familiari.
Così son cresciuto senza un modello di come dev’essere un uomo. Mi rendevo conto vagamente che i padri dei miei compagni erano diversi dal mio; intuivo talvolta in loro qualcosa di forte, di decisivo; sentivo che le cose funzionavano diversamente nelle loro famiglie. Ma noi vivevamo molto appartati in un mondo di casa, scuola e libri, e da ragazzo non ho mai avuto veri amici; così non ho trovato neanche una figura paterna alternativa. Di conseguenza sono cresciuto senza un chiaro senso della mia identità, del mio ruolo, del mio valore: timido, solitario ed insicuro da una parte, fortemente spinto dall’altra alla conquista e all’agonismo per affermare il mio valore. Più di una volta avrei voluto morire piuttosto che dover affrontare il peso e le responsabilità della vita.
Si può immaginare la mia gioia, allora, quando a diciotto anni conobbi e sperimentai l’amore di Dio: qualcuno che mi accettava incondizionatamente, che mi assicurava di valere qualcosa indipendentemente dai miei sforzi, che mi avrebbe guidato col Suo consiglio nelle decisioni della vita. Egli divenne per me il mio Papà, ed io il Suo amato figlio. Il cambiamento della mia vita fu grande. Mi sono sposato, sono diventato padre di famiglia, e sono venuto come missionario in Italia, dietro una chiamata inconfondibile e una chiara guida divina.
Solo lentamente mi sono reso conto che non tutto era stato risolto con la “nuova nascita”: mio Padre non era contento che rimanessi per sempre un Suo “bambino”, anzi voleva che crescessi e maturassi in un uomo fatto all’immagine del Suo Figlio primogenito (Ef. 4:13). Non dovevo sempre dipendere passivamente da Lui per ogni decisione e gettare su di Lui ogni peso, perché Egli voleva educarmi a portare i pesi degli altri e prendere responsabilità per me stesso e per la moglie e i figli che Egli mi aveva affidati. Vedevo sempre più chiaro – anche attraverso insegnamenti biblici che ci giungevano in forma stampata dall’estero – la necessità di un rapporto formativo con un uomo più maturo che potesse supplire alle lacune della mia educazione e del mio carattere. Sapevo che Dio è mio Padre e che Egli già mi stava formando per essere un padre, ma sapevo anche che Egli agisce attraverso gli uomini, che è un Padre che forma i Suoi figli tramite dei padri. Così pregavo ed aspettavo che Egli mi aprisse questa strada.
Nel 1977, mentre io e mia moglie leggevamo un servizio da una rivista sulla “Settimana biblica” di Harrogate (Inghilterra), il Signore ci ha parlato: “Andate a quel convegno l’anno prossimo”. E’ stato lì che abbiamo conosciuto Chris Chilvers, pastore inglese già da alcuni anni coinvolto nell’opera di Dio in Italia, nel quale ho potuto riconoscere la statura di un uomo che fosse realmente tale e un grande cuore di padre e di pastore. Non ho usato una maniera forte o autoritaria, anzi con amore si è messo a nostra disposizione per servirci. E dopo un periodo servito per conoscerci come amici, gli ho chiesto di “adottare una coppia di missionari orfani” come suoi figli spirituali, ed egli ha accettato. Nello stesso periodo si è maturata anche una relazione di reciproco impegno con alcuni fratelli attivi nel servizio del Regno di Dio in Italia.
Quali sono stati i risultati di questa “adozione”? Prima di tutto, voglio precisare che, per quanto io possa giudicare (e altri lo confermano), la mia vita come uomo, marito e padre (ora) di sei bambini oltre che di alcuni “figli spirituali” non era un fallimento: al contrario, molti hanno detto di essere benedetti e incoraggiati nel vedere una vita familiare basata solidamente su principi biblici. Non è stato, dunque, un senso di crisi che mi ha spinto a cercare la “paternità spirituale”. Però, ho già potuto constatare dei risultati molto positivi.
Primo, c’è un nuovo senso di sicurezza. E’ vero che già avevo trovato sicurezza in Cristo e nella certezza che tutte le cose cooperavano, e l’avrebbero sempre fatto, al mio bene (Rom. 8:28). Ma ora ho una “rete di sicurezza” anche a livello umano. In special modo, mi sono trovato alleviato dalla paura di sbagliare. Mentre Dio corregge e disciplina ogni Suo figlio, la Sua disciplina è spesso lenta a manifestarsi, mentre un padre spirituale può intervenire appena vede uno sviamento e anche prima, nella fase della consultazione e del consiglio. Questo vale non solo per le azioni sbagliate, ma anche per l’inazione sbagliata: egli può stimolare e suggerire iniziative e cambiamenti da cui mi potrei rifugiare per questa stessa paura di sbagliare. Particolarmente questo è vero nell’esercizio dell’autorità. Ho potuto prendere una posizione molto più ferma e direttiva, specialmente con i credenti sottoposti alla mia guida spirituale, perché ho potuto dire loro: “Anch’io sono un uomo sotto autorità, perciò se mi vedi sbagliare in ciò che ti chiedo, hai una “corte d’appello” cui rivolgerti”. Così posso agire con sicurezza come rappresentante dell’autorità di Dio. Infine, ha portato un maggiore senso di responsabilità, specie nell’amministrazione del mio tempo e nell’educazione dei miei figli, perché so che c’è qualcuno che mi sorveglia e che può chiamarmi davanti al tribunale di Cristo (2° Cor. 5:10), quando sarà ormai troppo tardi per correggere gli errori.
Sono felice di essere stato inserito al posto preparatomi dal Padre nella Sua famiglia (Ef. 2:19) e nella “catena d’autorità” del Suo esercito (Ezech. 37:10). Vedo tanti Suoi figli, uomini che sinceramente cercano prima il Suo Regno, rimasto “orfani”, senza un padre spirituale e che spesso non hanno avuto neanche un padre naturale che sapesse adempiere al suo ruolo. Dio desidera “donare al solitario una famiglia” (Salmo 68:6); vuole riprodurre la Sua paternità in tanti figli che così diventeranno padri per i loro figli. E così farà, se Glielo permetteremo!