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di Geoffrey Allen
Premetto subito che in questa serie di articoli parlerò del piano di Dio per la famiglia, quindi essenzialmente della situazione “ideale” in cui entrambi i genitori sono credenti sin dal momento del matrimonio, o almeno da quando i figli sono ancora piccoli.
Non sono insensibile a tutte le altre situazioni: so che ci sono nelle nostre chiese molte famiglie in cui i genitori sono diventati credenti con i figli già grandi, altre dove un solo genitore è credente o in cui per una ragione o l’altra manca uno dei due. A chi si trova in queste situazioni, può sembrare che io parli come il contadino della storiella, il quale rispose al turista che gli chiedeva indicazioni per arrivare in un certo posto: “Se io fossi in lei, non partirei proprio da qui!”
È chiaro che dobbiamo partire dal punto in cui ci troviamo, cercando di andare nella giusta direzione. Chi si trova dunque in una situazione “particolare” non si senta condannato se non riesce ad applicare pienamente i princìpi che esporrò. Faccia quello che può! Il Signore non gli chiede certamente di più, e per il resto deve confidare nella grazia di Dio che è sufficiente per ogni situazione.
La conferma dei fatti
Da molti anni insegno su questo tema, spiegando i princìpi della Parola di Dio. Oggi però posso dire che ho anche la conferma che funzionano, dopo averli collaudati con i miei sei figli! Infatti quando ci siamo sposati, nel 1970, io e mia moglie siamo partiti con la convinzione che la Bibbia ci dà istruzioni e princìpi chiari ed indispensabili per impostare la famiglia e per educare i figli nel modo giusto. Siamo stati anche molto aiutati da un libro di Larry Christenson, La famiglia cristiana (Ed. Uomini Nuovi, Marchirolo, VA, 3a ed. 1988) – forse l’unico del genere allora disponibile – che posso ancora raccomandare a tutti, anche se oggi ce ne sono diversi altri validi.
Tutte le famiglie cristiane che io conosco e che funzionano bene si basano su questi stessi princìpi della Parola di Dio. Sono ben diversi dai princìpi seguiti da questo mondo, per cui, se cercheremo di metterli in pratica, ci dovremo scontrare frontalmente con la mentalità, la cultura e i costumi della società in cui viviamo. Su certi punti la Parola di Dio contrasta con la cultura dell’Italia meridionale, su altri invece con quella nordica, su altri ancora con tutt’e due! Perciò dobbiamo avere il coraggio di andare contro corrente, di abbracciare la Parola di Dio e di mettere in discussione le cose che i nostri genitori ci hanno insegnate e il modo di fare della gente fra cui viviamo, e vivere invece secondo i princìpi di Dio.
La prima cosa che voglio sottolineare, dunque, è l’obiettivo che abbiamo nell’educazione dei nostri figli. Se abbiamo dei figli, essi costituiscono una delle responsabilità più grosse che abbiamo. La maggior parte delle cose che possiamo fare nella vita – far carriera, guadagnare soldi, mettere su casa, farci una posizione nella società – sono passeggere. Invece ciò che investiamo nella vita dei nostri figli, se costruiamo bene, rimarrà per tutta l’eternità. Il nostro obiettivo deve essere non soltanto quello di “sistemare” i figli o di farne dei buoni cittadini e buoni lavoratori, ma quello di portarli a realizzare il progetto di Dio per la loro vita nel Suo Regno e nella Sua Chiesa. Dio ama i nostri figli ed ha un piano meraviglioso per la loro vita, e vuole benedire le nostre famiglie in modo che siano per noi fonte di gioia e di consolazione spirituale, e non di dolore o di rimorso.
La Parola di Dio dice: “Ecco, i figli sono un dono che viene dall’Eterno; il frutto del grembo materno è un premio” (Salmo 127:3). Sono dunque una benedizione; e già qui andiamo a scontrarci con la mentalità del mondo, perché sempre di più oggi (soprattutto nel Nord) i figli sono visti come un fastidio e un peso economico: se dobbiamo proprio averne, ne facciamo uno o al massimo due. Invece Dio dice che sono una benedizione da accogliere con gioia; un privilegio e non un peso! Attenzione, però, non sto dicendo di farne quanti più possibile: lo stesso salmo prosegue (v.5): “Beati coloro che ne hanno piena la faretra”, e … la faretra non ce l’abbiamo tutti delle stesse dimensioni! Qualcuno è già al limite della propria capacità economica o educativa con un figlio o due, altri invece hanno la capacità di educarne di più, senza cadere nell’incoscienza. Dio intende che i figli siano per noi una gioia e una benedizione.
Non sono nostri
Detto questo, dobbiamo metterci in testa una cosa: i figli non appartengono a noi, ma a Dio. Infatti tutti gli uomini appartengono a Lui – “È Lui che ci ha fatti e noi siamo suoi” (Salmo 100:3) – e anche i figli non sono nostri, per farne quello che vogliamo noi, ma Suoi. Non ci vengono dati in primo luogo perché possiamo realizzarci attraverso di loro: appartengono a Dio e noi ne abbiamo soltanto la cura e l’amministrazione per un certo tempo, di cui poi gliene dovremo renderne conto. Egli ci chiederà: “Come hai formato, educato e curato queste persone che ho affidato, per un certo numero di anni, alla tua cura?”
Un grosso problema in molte famiglie è appunto il possessivismo. Troppi genitori, soprattutto le mamme, non sanno staccarsi dai propri figli: anche quando sono cresciuti, non sanno lasciarli andare a prendere la loro strada e assumersi la responsabilità della propria vita. Li guardano invece egoisticamente come fonte della propria realizzazione e soddisfazione.
Invece, come credenti, dobbiamo trovare la nostra realizzazione e soddisfazione solo in Dio: nell’amarLo, servirLo, cercare il Suo Regno e far parte della Sua Chiesa. È Lui la fonte della nostra gioia e lo scopo della nostra esistenza. I figli li abbiamo per un certo tempo, dopo di che dobbiamo lasciarli andare. Essi non appartengono a noi, per cui non siamo liberi di decidere autonomamente cosa farne né come indirizzarli, ma abbiamo la responsabilità di cercare il Signore e anche in questa sfera della vita realizzare la Sua volontà e non la nostra.
Può darsi che a qualcuno, per esempio, Dio chiami il figlio a partire lontano come missionario. Se Dio chiamasse tuo figlio ad andare in Giappone o in Nuova Guinea, cosa diresti? Penseresti alla tua soddisfazione personale, cercando di tenertelo stretto, o ti rallegreresti perché Dio lo ha chiamato a servirLo “fino alle estremità della terra”?
Dio ha veramente detto …?
Un’altra premessa. Troppi credenti fondano le speranze per il bene spirituale dei figli su un’interpretazione errata della Bibbia. In Atti 16, Paolo risponde al carceriere di Filippi che gli chiede cosa deve fare per essere salvato: “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia” (v.31). Molti confidano in questo versetto pensando che, siccome essi hanno creduto in Gesù, Dio si occuperà della loro famiglia. Ma non è questo che dice la Parola di Dio! È chiaro dal contesto che in realtà Paolo disse al carceriere: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato, (virgola) tu e la tua famiglia” (ricordiamo che le virgole le hanno messe i traduttori: non c’è punteggiatura nei manoscritti originali). Cioè, se tu credi sarai salvato, e questo vale anche per i tuoi familiari: anch’essi, se credono, saranno salvati.
Infatti il brano prosegue: “Annunziarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua”: non bastava annunciarlo solo a lui perché fossero salvati anche gli altri! “… Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte … e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola e si rallegrava con tutta la sua famiglia perché aveva creduto in Dio” (Atti 16:32-34). Ognuno della famiglia udì la Parola e credette, tutti furono battezzati, e così furono salvati. Non c’è invece garanzia che, poiché noi abbiamo creduto nel Signore, tutta la nostra famiglia sarà salvata. Piuttosto abbiamo la responsabilità di annunciare e insegnare la Parola del Signore ai nostri in modo che anch’essi possano essere salvati.
Inculcare
La promessa di Dio per i genitori è piuttosto quella in Proverbi 22:6: “Ammaestra il fanciullo sulla via da seguire, ed egli non se ne allontanerà neppure quando sarà vecchio”. Se siamo fedeli nell’ammaestrare i nostri figli nelle vie di Dio, Egli ha promesso che anche quando saranno vecchi non se ne allontaneranno. Certo, i nostri figli poi sono liberi di scegliere, potranno anche rinnegare o allontanarsi dalla fede; ma Dio vuole rassicurarci che non dobbiamo avere paura per loro, vuole incoraggiarci a credere che se siamo fedeli nel fare la nostra parte e confidiamo in Lui, andrà tutto bene per loro.
La parola “inculca” o “ammaestra” non parla solo di nozioni e di versetti biblici, piuttosto è il genere di ammaestramento di cui ha parlato Gesù nel “Grande Mandato”: “Andate, ammaestrate [fate discepoli di] tutte le nazioni … insegnando loro a mettere in pratica tutte le cose che io vi ho comandato” (Matteo 28:19-20). È un ammaestramento pratico, applicato, non solo nozioni, ma che insegna a mettere in pratica la Parola di Dio e a vivere secondo i suoi princìpi. Ed è chiaro che per poter insegnare ai nostri figli a mettere in pratica l’insegnamento della Bibbia, dobbiamo prima farlo noi. Se non viviamo secondo quanto è insegnato nella Parola di Dio, non possiamo sperare che lo facciano loro!
Qualcuno ha detto: “Quello che fai grida così forte che non riesco a sentire quello che dici!” Spesso l’esempio che noi genitori diamo parla così forte che i nostri figli non sentono le nostre parole. Ma se mettiamo in pratica la Parola di Dio, fondando la nostra vita sui suoi valori e i suoi princìpi – anche se talvolta veniamo meno e non siamo perfettamente coerenti – possiamo anche insegnarli ai nostri figli.
Un esempio banale: quasi tutti i genitori dicono ai propri figli di non fumare, perché fa male. Ma quali sono i ragazzi più esposti a prendere il vizio del fumo? Quelli i cui genitori fumano. Lo fanno loro, per cui non possono pretendere che i figli non facciano altrettanto! “Un grammo di esempio – ha detto qualcuno – vale più di una tonnellata di parole”. Solo quando mettiamo in pratica la Parola di Dio possiamo insegnarla agli altri.
Buoni e innocenti?
Per formare bene i nostri figli, dobbiamo comprendere la posizione da cui partono. In Proverbi 22:15 è scritto: “La follia è legata al cuore del fanciullo, ma la verga della correzione l’allontanerà da lui”. Certi genitori partono dall’idea che i figli siano di natura buoni, bravi e innocenti. Non è vero! La Bibbia insegna la dottrina del peccato originale, cioè che tutti gli uomini nascono peccatori … anche i nostri figli! Essi nascono con la cattiveria e la ribellione nel cuore, con la faccia rivolta lontano da Dio, e appena sono in grado di camminare vanno in quella direzione. Anche i nostri figli hanno bisogno di convertirsi al Signore, e quanto prima possibile. Nel frattempo hanno bisogno di un freno, di una disciplina: non solo di capire le cose, ma di essere formati e indirizzati verso le cose giuste, perché lasciati a se stessi non cammineranno nelle vie giuste.
Questo lavoro di ammaestramento dei nostri figli per formarli nelle vie di Dio potrà sembrare a qualcuno troppo pesante. È infatti una grossa responsabilità. Nell’epistola di Giacomo leggiamo: “Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, poiché manchiamo tutti in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo” (Giacomo 3:1-2). Eppure al compito di ammaestrare i nostri figli non possiamo sfuggire. Ma dobbiamo renderci conto che non è necessario essere perfetti. “Tutti sbagliamo in molte cose”, ed io so che nell’educare i miei figli ho sbagliato molte cose e sono mancato in molte altre: non sono certo un genitore perfetto. Allora dobbiamo confidare nella grazia di Dio che supplisce alle nostre mancanze e che viene incontro ai nostri figli là dove noi veniamo meno alle nostre responsabilità.
Dobbiamo però avere anche l’umiltà di ammettere i nostri errori e le nostre manchevolezze quando ce ne accorgiamo. Ad esempio, quando commettiamo un’ingiustizia nei confronti di un figlio, quando manchiamo in qualcosa che avremmo dovuto fare, se abbiamo fatto una promessa e non l’abbiamo mantenuto o se li abbiamo puniti frettolosamente … Ci sono genitori che pensano di dover mostrarsi perfetti e temono di perdere la loro autorità se ammettono davanti ai figli di avere sbagliato. Non è così. Al contrario, è quando riconosciamo i nostri errori e siamo pronti a confessare le nostre colpe, e a chiedere loro perdono se è necessario, che guadagniamo il loro rispetto e acquistiamo autorità ai loro occhi, perché “chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato” (Luca 14:11).
Non solo, ma dobbiamo anche renderci conto che anche i nostri figli commetteranno degli errori e mancheranno in molte cose e, senza trascurare la disciplina, usare grazia nei loro confronti, come il nostro Padre celeste è misericordioso verso di noi.
Responsabilità paterna
Un altro principio fondamentale per la famiglia lo troviamo in Efesini 6:4: “Voi, padri, non irritate i vostri figli, ma allevateli nella disciplina e nell’istruzione del Signore”. Nella maggior parte delle famiglie l’educazione dei figli è lasciata in gran parte alle mamme. C’è la mentalità che il compito del padre sia solo quello di provvedere economicamente alla famiglia: quindi lavora e porta a casa lo stipendio, dopo di che è finito il suo compito ed ha il diritto di mettersi in pantofole davanti al televisore, oppure di andare al bar con gli amici. Tutto il resto è compito della moglie che si occupa della casa, della cucina e dell’educazione dei figli.
Ma non è una mentalità biblica. La Parola di Dio dà ai padri la responsabilità dell’educazione dei figli. Quando davanti al trono di Dio ciascuno di noi renderà conto di se stesso e di quello che ha fatto, è ai padri, in primo luogo, che Dio chiederà conto dei loro figli. È anche per questa ragione che la Parola di Dio insegna che chi aspira ad essere un anziano o un diacono deve avere la famiglia in ordine e i figli rispettosi e sottomessi, perché è compito suo assicurare che le cose siano così. Dio dà la responsabilità principale ai padri. Ora, è chiaro che in pratica, quando il padre è fuori otto o dieci ore al lavoro – specialmente con i figli piccoli – gran parte del lavoro verrà fatto dalla moglie che sta più a contatto con loro. Ma lo fa per conto e per delega del marito, sotto la sua copertura, in base alla direzione e alle decisioni prese da lui. È evidente che in questa situazione è fondamentale l’unità tra i genitori, che siano sulla stessa linea, anche perché i figli – lo insegna l’esperienza – sono molto furbi: se riescono a mettere un genitore contro l’altro lo faranno. Ricordo che quando i miei figli, da piccoli, venivano da me a chiedere se potevano fare qualcosa o andare da qualche parte, ho imparato presto a domandare: “L’hai già chiesto alla mamma?” e loro tante volte: “Sì”. “E cosa ha detto la mamma?” “Ha detto di no”. “E allora, perché lo vieni a chiedere a me?”
Sì, i figli sono furbi e dobbiamo farci più furbi di loro! Se sanno, per esempio, che la mamma è più indulgente del papà, da chi andranno a chiedere le cose? Perciò i genitori devono essere uniti nell’educazione dei figli: “una casa divisa contro se stessa non può restare in piedi”. Bisogna stabilire una linea unitaria, regole chiare, limiti, princìpi di comportamento. E la responsabilità principale in tutto questo appartiene al padre. È chiaro che c’è consultazione, ci si mette d’accordo – è un lavoro che i genitori devono fare insieme – ma la decisione finale spetta al padre. A volte poi toccherà alla donna applicare e far rispettare, per sottomissione, una linea di condotta decisa dal marito senza essere pienamente d’accordo con lui, sapendo che è lui che se ne assume la responsabilità davanti a Dio.
Tempo prezioso
È d’importanza vitale che anche i padri trovino del tempo da dedicare ai figli. So che è difficile, ma è una delle cose che più spesso i nostri figli ci rimproverano. Al giorno d’oggi è facile, per la maggior parte di noi padri, regalare delle “cose” ai figli. Ma il bene più prezioso siamo noi stessi, cioè il nostro tempo e la nostra attenzione. Un famoso uomo di lettere amava ricordare con gioia una giornata speciale che aveva segnato profondamente la sua infanzia, quando il padre l’aveva portato fuori con sé tutto il giorno a pescare. Anni dopo ritrovò il diario del padre e andò a vedere cosa avesse scritto di quella giornata. “A pesca con mio figlio – lesse. – Una giornata sprecata”.
I bambini, sia i maschi che le femmine, hanno bisogno non solo di una mamma ma anche di un papà. Oggi ci sono problemi sempre più grossi nella società per la mancanza di modelli. Perché c’è tanto aumento di omosessualità? Perché in sempre più famiglie mancano i modelli. I maschi hanno bisogno di capire cosa vuol dire essere un uomo: se vivono sotto l’influenza solo di donne (e a scuola questo succede sempre di più), è chiaro che non avranno le idee chiare su cosa voglia dire essere uomini. E la TV non propone loro degli esempi sempre raccomandabili: se devono scegliere tra Arnold Schwarzenegger e Michael Jackson …! Hanno bisogno del papà per vedere cosa vuol dire essere maschi, e soprattutto uomini di Dio che Lo amano e Lo temono. Ma anche le bambine hanno bisogno di capire cosa vuol dire essere uomini: quando verrà il momento per scegliersi un marito, dovranno avere le idee chiare su come debba essere un uomo cristiano. I figli hanno dunque bisogno del contatto e dell’attenzione del padre, e non solo della madre.
Non tutti uguali
Un ultimo principio chiave è che ogni figlio è un individuo: non possiamo trattarli tutti allo stesso modo. Piuttosto dobbiamo studiare e conoscere i nostri figli come persone. Anche i gemelli, pur essendo uguali fisicamente, dimostrano spesso due caratteri diversi. Ognuno di noi ha la propria personalità: ciò che va bene per un’altra persona non va bene per noi. Così anche i nostri figli vogliono e hanno bisogno di essere trattati come individui.
La Bibbia dice: “Ammaestra il fanciullo sulla via che [egli] deve seguire”. Ci sono nella Parola di Dio dei princìpi universali uguali per tutti, ma al di là di questi non possiamo trattare tutti allo stesso modo. Anche per quel che riguarda la correzione e la disciplina, abbiamo bisogno di trattare i bambini diversamente. Ci sono alcuni ai quali fa un grande effetto un rimprovero, altri invece a cui non fa né caldo né freddo e bisogna usare le maniere forti. Occorre studiare e capire la personalità e il carattere dei nostri figli per poterli guidare come individui.
Se impostiamo la nostra vita familiare su questi principi della Parola di Dio, sarà veramente “fondata sulla roccia” e in grado di resistere a tutte le tempeste e alle inondazioni che il mondo le potrà mandare contro.